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Impugnazione tardiva: appello inammissibile per errore

Una madre impugna un decreto in materia di affidamento del figlio minore, ma commette un errore procedurale applicando le nuove norme della Riforma Cartabia a un procedimento iniziato prima della loro entrata in vigore. La Corte d’Appello rileva l’errore d’ufficio e dichiara l’impugnazione tardiva, in quanto il termine corretto secondo il vecchio rito era di soli 10 giorni. L’appello viene dichiarato inammissibile con condanna alle spese.

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Impugnazione tardiva: quando un errore procedurale costa caro

Nel complesso mondo del diritto di famiglia, l’attenzione ai dettagli procedurali è fondamentale. Un errore, anche se apparentemente formale, può precludere l’esame nel merito di questioni delicatissime come l’affidamento di un minore. Una recente decisione della Corte d’Appello di Trieste evidenzia come un’impugnazione tardiva, derivante dall’errata applicazione delle norme introdotte dalla Riforma Cartabia, possa portare a una declaratoria di inammissibilità, con significative conseguenze per la parte ricorrente.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un conflitto genitoriale riguardante le condizioni di affidamento, frequentazione e mantenimento di un figlio minore. Il Tribunale di primo grado aveva emesso un decreto definendo tali aspetti, stabilendo l’affidamento condiviso, il collocamento prevalente presso la madre e una dettagliata disciplina dei tempi di permanenza con il padre.

La madre, ritenendo il provvedimento pregiudizievole, decideva di impugnarlo. Nel suo ricorso, sollevava diverse critiche, tra cui presunte condotte maltrattanti del padre, un’eccessiva liberalizzazione delle visite paterne, l’inadeguatezza del contributo al mantenimento e la regolamentazione delle spese legali. La difesa si basava sull’applicazione delle nuove norme procedurali introdotte dalla cosiddetta Riforma Cartabia.

La Decisione della Corte d’Appello: L’Impugnazione Tardiva

La Corte d’Appello, prima ancora di entrare nel merito delle doglianze della madre, ha sollevato d’ufficio una questione preliminare e dirimente: la tardività dell’impugnazione. I giudici hanno infatti dichiarato il ricorso inammissibile non perché le motivazioni fossero infondate, ma perché era stato presentato fuori tempo massimo. La decisione si fonda su un’attenta analisi della disciplina transitoria che regola il passaggio dal vecchio al nuovo rito processuale in materia di famiglia.

Le Motivazioni: Errore sulla Norma Applicabile

Il cuore della decisione risiede nell’articolo 35 del D.Lgs. n. 149/2022 (Riforma Cartabia). Questa norma stabilisce che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati a partire dal 28 febbraio 2023. Per tutti i procedimenti pendenti a quella data, invece, continuano a valere le regole procedurali previgenti.

Nel caso di specie, il procedimento di primo grado era stato avviato nel 2021. Di conseguenza, non era applicabile il nuovo rito unificato in materia di famiglia (che prevede l’appello ex art. 473 bis.30 c.p.c.), bensì il vecchio rito camerale. Secondo quest’ultimo, il mezzo per contestare il decreto del Tribunale non era l’appello, ma il “reclamo” previsto dall’art. 739 c.p.c. La differenza non è solo nominale, ma sostanziale: il termine per proporre reclamo è di soli 10 giorni dalla notifica del provvedimento.

La madre aveva ricevuto la notifica del decreto l’8 aprile 2024, ma aveva depositato il suo ricorso solo l’8 maggio 2024, ben oltre il termine perentorio di 10 giorni. Questo ritardo ha reso l’impugnazione tardiva e, quindi, irrimediabilmente inammissibile. La Corte ha sottolineato che questa interpretazione era già stata confermata in un precedente provvedimento, rendendo l’esito inevitabile.

Le Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Decisione

Le implicazioni di questa pronuncia sono severe. In primo luogo, l’inammissibilità dell’appello rende definitivo il decreto di primo grado, con tutte le sue disposizioni sull’affidamento e il mantenimento che la madre intendeva contestare. In secondo luogo, la ricorrente è stata condannata a rifondere alla controparte le spese legali del grado di appello, quantificate in € 5.000,00 oltre accessori. Infine, è stata dichiarata la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato a suo carico.

Questo caso serve da monito sull’importanza cruciale della corretta individuazione della norma processuale applicabile, specialmente nei periodi di transizione normativa. Un errore in questa fase preliminare può vanificare le ragioni di merito e comportare un notevole aggravio di costi, chiudendo di fatto la porta a un secondo grado di giudizio.

Per quale motivo l’appello è stato dichiarato inammissibile?
L’appello è stato dichiarato inammissibile perché considerato una impugnazione tardiva. La parte ricorrente ha erroneamente applicato le nuove norme della Riforma Cartabia, mentre il procedimento, essendo stato avviato prima del 28 febbraio 2023, era ancora soggetto al vecchio rito, che prevedeva un termine perentorio di soli 10 giorni per impugnare il provvedimento.

Quale norma procedurale avrebbe dovuto essere applicata in questo caso?
Secondo la Corte, avrebbe dovuto essere applicata la disciplina previgente alla Riforma Cartabia. In base a tale disciplina, il mezzo di impugnazione corretto non era l’appello, ma il reclamo previsto dall’art. 739 del codice di procedura civile, da proporsi entro il termine di 10 giorni dalla notifica del decreto.

Quali sono state le conseguenze economiche per la parte che ha presentato l’impugnazione tardiva?
La parte ricorrente è stata condannata a rifondere al resistente le spese del procedimento, liquidate in € 5.000,00 oltre al rimborso forfettario, IVA e CPA. Inoltre, la Corte ha dato atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato a suo carico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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