Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6483 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6483 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
sul ricorso 16331/2020 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, in persona della procuratrice speciale, elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e di fesa dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-ricorrente –
–RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.; NOME COGNOME, elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l ‘AVV_NOTAIO COGNOME, rappres. e difesi dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti; NOME COGNOME, elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappres. e difeso dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-controricorrenti-
-nonché-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.; NOME COGNOMECOGNOME elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e difesi dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti ;
-ricorrenti incidentali-
-contro-
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, in persona della procuratrice speciale, elett.te domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e difesa dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
NOME COGNOME, elett.te domic. in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e difeso dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-resistenti al ricorso incidentale- avverso la sentenza definitiva n. 1588/2019 della Corte d’appello di Ancona, pubblicata il 6.11.2019, e la sentenza non definitiva n. 39/2019, della Corte d’appello di Ancona, pubblicata il 15.1.2019 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 /01/2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE proponeva appello, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e dei chiamati in causa, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per la riforma della sentenza non definitiva emessa nel 2011 dal Tribunale di Ancona, con la quale, in ordine all’azione d’accertamento di nullità negoziale e ripetizione dell’indebito promossa dalla suddetta società, era stata dichiarata l’illegittimità degli addebiti effettuati sui conti correnti circa l’anatocismo, gli interessi ult ralegali e le commissioni di massimo
scoperto, e della sentenza definitiva emessa nel 2012 con la quale il medesimo Tribunale, ricostruito il saldo finale del conto corrente e dei conti secondari, effettuate le compensazioni, aveva condannato la banca appellante al pagamento della somma di euro 1.823.691,52 a favore della RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima si costituiva, proponendo appello incidentale.
Con sentenza non definitiva del 2019, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l’appello principale – riducendo la somma oggetto di indebito per rimesse solutorie e della condanna di pagamento- e rigettava l’incidentale, osservando che: premessa la nat ura di contratto autonomo di garanzia stipulato dagli appellati il 17.4.90, era infondata la doglianza della banca in ordine alla legittimità dell’anatocismo trimestrale degli interessi passivi, mentre gli interessi ultralegali non erano dovuti per mancata pattuizione; era altresì infondato il motivo di gravame relativo alla c.t.u. (perchè aveva applicato i tassi legali in luogo di quelli previsti dall’art. 117 TUB ); gli addebiti degli interessi passivi dei 108 conti-finanziamento avrebbero dovuto essere conteggiati al momento della chiusura dei singoli conti, e non alla data della chiusura del conto principale; le spese di tenuta dei conti oggetto di ripetizione avrebbero dovuto essere solo quelle dei conti principali e non, in assenza di specifica domanda, quelle dei conti secondari di finanziamento ; al riguardo, dall’entrata in vigore della l. n. 154/92 e del dlgs. 385/93, era stata stabilita la nullità delle clausole sul tasso d’interesse in caso d’indeterminatezza, nullità che s’estendeva anche ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore delle suddette leggi; pertanto, in difetto di specifiche pattuizioni accettate per iscritto dall’istante, l’irretroattività della disciplina sull a nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione d ei tassi d’interesse , prevista dall’art. 161, c.6, dlgs. 385/93, inibiva l’applicazione di interessi
ultralegali, ex art. 1284 c.c. , con l’automatica sostituzione con gli interessi legali, ex art. 1419, c.2, c.c.; dalla c.t.u. emergeva che gli interessi maturati sui conti secondari erano stati separatamente rideterminati, derivandone l’infondatezza dell’assunto della loro contabilizzazione nel conto principale; era infondata l’eccezione di prescrizione, rilevando ai fini della decorrenza del termine, prima della chiusura del conto, il momento in cui viene effettuata la rimessa solutoria (il pagamento che ripiana il debito in assenza di affidamento o in misura eccedente quello concesso) senza tener conto del fido cd. di fatto; l’ appello incidentale era infondato poiché il correntista, agendo per la restituzione dell’indebito, non aveva dimostrato la ricostruzione del rapporto, non essendo possibile muovere dal saldo zero.
Disposta la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza per espletare c.t.u.- diretta alla ricostruzione dei movimenti del conto corrente, espungendo le voci ritenute nulle- con sentenza definitiva del 6.11.19, la Corte d’appello rideterminava la somma dovuta dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, riducendola a euro 101.709,88, osservando che: sulla base della c.t.u., non erano provati affidamenti a favore della società, per cui tutte le rimesse effettuate prima del 17.11.93, in corrispondenza del saldo di conto passivo, erano da considerare come avvenute in assenza di fido; il saldo finale era ricostruito tenuto conto della somma oggetto di prescrizione.
RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione con sette motivi- illustrati da memoria- avverso entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva (considerando quelli numerici- 1 e 2- e quelli contrassegnati con lettere- da A a E).
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME– questi ultimi quali fideiussori- resistono con controricorso (i primi due con memoria) al ricorso principale.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso incidentale avverso entrambe le sentenze.
RITENUTO CHE
Il primo motivo (n.1) denunzia nullità delle due sentenze per violazione degli artt. 112, 116, 191, 132, n.4, c.p.c., 2697, 1284, c.c., 117 TUB, nonché mancata valutazione di fatto decisivo relativamente alle risultanze istruttorie e d ella c.t.u., per non aver la Corte d’appello tenuto conto delle valide pattuizioni degli interessi attivi contenute nella lettera-contratto di fido, datata 18.4.94. prodotta in atti, che riportava condizioni accettate dalle parti.
Al riguardo, la ricorrente assume che, sebbene parte dei documenti da essa allegati fossero sta ti prodotti tardivamente, la Corte d’appello aveva posto a fondamento della pronuncia gli elaborati del c.t.u. senza considerare che la correntista attrice non aveva dimostrato, come era suo onere, il credito relativo alle poste indebite sui conti correnti, come si evinceva dal fatto che il c.t.u. di primo grado aveva eliminato il saldo iniziale, a debito della correntista, relativo al 1° trimestre 1991.
In particolare, la ricorrente lamenta che entrambe le c.t.u. redatte erano viziate da vari errori, quali: l’aver conteggiato interessi attivi ad un tasso eccessivo, pari al 13,65%, dal 1992 al 2003, applicando il tasso lordo di aggiudicazione dei bot, riferiti al periodo 7/91-7/92, lasciandolo così immutato per 11 anni, sebbene dopo il 1992 i tassi bot si erano sensibilmente ridotti; erano state annullate le competenze relative ai c onti d’appoggio, peraltro estinti da oltre dieci anni, senza riconteggio al tasso legale; l’aver completamente eliminato il saldo iniziale del conto, le spese e commissioni addebitate, anche in ordine ai conti d’appoggio, senza interessi.
Su quest’ultimo punto, la ricorrente si duole altresì del fatto che i suddetti errori del c.t.u. trovavano riscontro anche nei vari atti di
riconoscimento del debito verso la banca, prodotti in causa (bilanci approvati della debitrice e conti economici).
Il secondo motivo (lettera A) denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto i documenti prodotti dalla società correntista non dimostravano le poste indebite, per cui la c.t.u. era stata redatta in mancanza di documentazione contabile utilizzabile per la prova del diritto alla ripetizione dell’indebito.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 1284 c.c. e 117 TUB, nonché omesso esame di fatto decisivo in ordine alle risultanze istruttorie, per aver la Corte d’appello , recependo le conclusioni del c.t.u., applicato i soli tassi legali anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 154/92, data a partire dalla quale avrebbe dovuto essere applicato il principio di cui al predetto art. 117, e per aver conteggiato il tasso legale sui conti-finanziamento solo dal 2003, pur essendo essi stati accesi dal 1991 ed estinti successivamente.
Il quarto motivo denunzia violazione dell ‘art. 116 c.p.c. per aver la Corte territoriale, recependo le conclusioni del c.t.u.: escluso le commissioni di massimo scoperto a danno della banca senza tener conto del contratto di conto corrente ordinario del 18.4.94 nel quale erano chiaramente indicate le competenze a tale titolo da applicare trimestralmente al massimo scoperto di periodo per gli sconfinamenti; considerato prescritta la richiesta di ripetizione di tutte le competenze addebitate sul conto corrente dall’inizio del rapporto fino al 17.11.93, sebbene tutte le rimesse anteriori al fido del 18.4.94 fossero da ritenere solutorie.
Il quinto motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per ave r la Corte d’appello rilevato d’ufficio la nullità del contratto per mancanza di forma scritta in ordine alle spese del conto relative ai contratti di
finanziamento, pur in mancanza di una domanda specifica della correntista e della relativa documentazione di sostegno.
Il sesto motivo deduce nullità delle sentenze per violazione degli artt. 116 e 191, c.p.c., 2697, c.c., nonché per erronea valutazione delle risultanze della c.t.u. Al riguardo, la ricorrente lamenta che la consulenza era stata redatta sulla base di documentazione incompleta, mancando un intero faldone del fascicolo della convenuta contenente gli estratti-conto di un bienniocome verbalizzato all’inizio delle operazioni del c.t.u. del 3.12.18-, avendo la Corte territoriale autorizzato la redazione della c.t.u. sulla base di un elaborato peritale di primo grado, contestato tempestivamente.
La ricorrente lamenta al riguardo anche che il proprio consulente non aveva avuto accesso ai fogli di calcolo contenenti le formule utilizzate dal c.t.u., facoltà poi concessa in secondo grado.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso incidentale avverso entrambe le sentenze, con tre motivi, illustrati da memoria.
Il primo motivo denunzia nullità delle sentenze, per violazione degli artt. 112, 116, 191, 132, n.4, c.p.c., 2697 c.c., ed omesso esame di fatto decisivo relativamente alle risultanze istruttorie della c.t.u., per aver la Corte d’appello accolto l’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito, pur non avendo la banca dimostrato che le rimesse avessero natura solutoria.
Il secondo motivo denunzia artt. 112, 116, 191, 132, n.4, c.p.c., 2697, 1284, c.c., per aver la Corte d’appello affermato, nel ritenere fondata la predetta eccezione di prescrizione, che il conto non fosse affidato, escludendo la configurabilità di un fido di fatto.
Il terzo motivo deduce la nullità della c.t.u. esperita in appello per violazione degli artt. 112, 116, 191, 132, n.4, 198, c.p.c., 2697, 1284,
c.c., nonché omesso esame di fatto decisivo circa le risultanze della c.t.u., per aver la Corte d’appello disposto una c.t.u. suppletiva, rispetto a quella espletata in primo grado, nonostante la mancanza di documentazione fondamentale, smarrita dalla cancelleria del Tribunale, utilizzando- nel caso di mancato rinvenimento del faldone smarrito, come poi accaduto- i dati acquisiti in primo grado, anche per la mancata richiesta di autorizzazione alla stessa Corte.
Il ricorso principale avverso entrambe le sentenze (non notificate) è inammissibile perché tardivo, relativamente alla sentenza non definitiva, in quanto notificato il 16.6.2020, oltre il termine annualeessendo applicabile la previgente normativa ex art. 327 c.p.c., poiché la causa era stata promossa con citazione del 2003- a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza, 15.1.2019; all’ udienza immediatamente successiva, in data 29.1.2019, il procuratore della banca non formulava r iserva d’impugnaz ione.
Al riguardo, la sentenza non definitiva può essere impugnata entro i termini per appellare previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c. e, quindi, in caso di sua mancata comunicazione o notificazione, entro un anno, per le cause promosse prima del 3 luglio 2009, data dell’entrata in vigore della l. n. 69/2009 , a norma dell’art. 58 secondo il cui disposto
. Né costituisce ostacolo la previsione di cui all’art. 340 c.p.c., che consente l’esercizio dell’impugnazione differita, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e comunque non oltre la
prima udienza successiva alla comunicazione, atteso che tale norma è volta a restringere i termini di impugnazione nel caso in cui la prima udienza successiva intervenga prima dello scadere degli stessi (Cass., n. 27720/21).
La parte, la quale abbia formulato la riserva di impugnazione differita di una sentenza non definitiva, non ha l’onere, quando sia sopravvenuta la sentenza definitiva, di impugnare ambedue le sentenze, e ciò sia in ragione della finalità dell’istituto della riserva e dell’impugnazione differita, che è quella di impedire la vanificazione del principio dell’unicità del processo di impugnazione, sia perché gli artt. 340, comma 1, e 361, comma 1, c.p.c. non prevedono alcun criterio di collegamento – formale o sostanziale – tra le diverse impugnazioni, sia, infine, perché risulta dall’art. 129 disp. att. c.p.c. che la caducazione degli effetti procrastinatori della riserva ed il determinarsi del “dies a quo” per l’impugnazione della sentenza non definitiva, non sono ontologicamente connessi alla pronuncia della sentenza definitiva – e “a fortiori” alla sua impugnazione -, ma rimangono esclusivamente ancorati al prodursi di un evento cui l’ordinamento giuridico riconduce quegli effetti (Cass., n. 14193/13; n. 3805/22).
Nella specie, delineati i suddetti principi generali, premesso che entrambe le sentenza d’appello non sono state notificate, e rilevata la mancata riserva d’impugnazione differita da parte del difensore della banca ricorrente, il ricorso avverso la sentenza non definitiva è pertanto tardivo in quanto notificato oltre il termine annuale, a nulla rilevando che esso sia stato notificato nel termine a decorrere dalla pubblicazione (6.11.2019) della sentenza definitiva.
Infatti, nel sistema di riserva facoltativa d’impugnazione contro la sentenza non definitiva, la mancata o tardiva esplicitazione della riserva comporta solo la decadenza dall’impugnazione differita di quel
provvedimento, ma non ne preclude quella immediata, che deve avvenire nel rispetto dei termini ordinari (breve o lungo, a seconda che la sentenza sia stata, o meno, notificata dalla parte vittoriosa) ex artt. 325 e 327 c.p.c. (Cass., n. 2188/16).
Nel sistema di riserva facoltativa d’impugnazione contro la sentenza non definitiva, la mancata dichiarazione di riserva o la sua irritualità o tardività producono la decadenza del diritto oggetto della riserva, ma non precludono l’esercizio del potere di impugnazione della sentenza non definitiva, secondo le regole generali (Cass., n. 212/17).
Nel caso concreto, come detto, la sentenza non definitiva non è stata però impugnata nel termine ordinario, per cui, in mancanza della riserva d’impugnazione differita, la stessa è ormai passata in giudicato. Da quanto esposto consegue che l’inammissibilità del ricorso avverso la sentenza non definitiva, perché tardivo, comporta anche l’inammissibilità del ricorso avverso la sentenza definitiva, poiché la prima di tali pronunce risulta logicamente pregiudiziale rispetto alla seconda. Invero, come detto, la sentenza non definitiva si è pronunciata sulle varie censure formulate riguardo alle somme indebitamente registrate sul conto corrente della società correntista; la sentenza definitiva è stata pronunciata sulla base delle statuizioni della sentenza non definitiva, che disponeva un supplemento della c.t.u., riducendo la somma oggetto della condanna della banca MPS a euro 101.709,88.
Va altresì rilevato che la banca, nella propria memoria, non ha replicato all’eccezione in questione sollevata dalla società controricorrente (che ha allegato al riguardo il verbale dell’udienza successiva alla pubblicazione della sentenza non definitiva).
La predetta inammissibilità del ricorso principale, per il suo carattere logicamente prioritario, esime dalla verifica delle altre eccezioni
d’inammissibilità sulla mancanza d’interesse della banca ricorrente e sulla carenza di autosufficienza dello stesso ricorso.
Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile. Secondo l’orientamento di questa Corte, in materia di rapporti bancari, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass., n. 31927/19; n. 18144/18).
La doglianza della ricorrente incidentale tende, dunque, a rimettere in discussione il suddetto orientamento- a tenore del quale grava sul correntista dimostrare i presupposti dei pagamenti indebiti effettuati alla banca- che ha trovato anche recente conferma nella giurisprudenza di legittimità (Cass., n. n. 34997/2023: in tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi aventi causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385 del 1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non
facciano valere, a norma dell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs., la nullità stessa).
Il secondo motivo è inammissibile, tenendo parimenti al riesame dei fatti, a vendo la Corte d’appello escluso che il conto corrente fosse affidato.
Al riguardo, occorre ribadire il principio- al quale il collegio intende dare continuità- secondo il quale, in tema di contratti bancari, l’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità, a meno che non sia già prevista e disciplinata nel contratto di conto corrente, stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera C.I.C.R. del 4 marzo 2003, in applicazione dell’art. 117, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993, non essendo pertanto sufficiente a provarne l’esistenza la circostanza che l’affidamento risulti dal “libro fidi”, né che il suo contenuto possa essere ricostruito attraverso l’esame del “regolamento di portafoglio”, destinato solo a raccogliere l’insieme delle procedure tecnico operative per la gestione dei titoli (Cass., n. 926/22).
Il terzo motivo è del pari inammissibile, anzitutto per carenza di autosufficienza. Invero, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia disposto il supplemento di consulenza contabile in mancanza della documentazione contenuta nel faldone smarrito dalla cancelleria del Tribunale di Ancona, eccependo la nullità della c.t.u. in quanto esperita sulla base dei documenti disponibili in atti, sebbene tale modalità fosse stata indicata dalla stessa Corte come ipotesi subordinata alla predetta acquisizione, non avvenuta.
Al riguardo, va osservato che da entrambe le sentenze impugnate non si evince il provvedimento invocato sulle modalità della c.t.u.; né la ricorrente allega il verbale d’udienza relativo al conferimento dell’incarico al c.t.u., o le proprie deduzioni circa la predetta mancata acquisizione, nonostante il provvedimento.
Inoltre, i ricorrenti incidentali non hanno allegato la rilevanza e la decisività dei documenti che il c.t.u. non avrebbe esaminato.
Attesa la reciproca soccombenza, le spese del giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensando tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella ca mera di consiglio dell’8 gennaio 2024 .