Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25161 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 25161 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 20142-2020 proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1384/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/02/2020 R.G.N. 903/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Accertamento subordinazione
R.G.N. 20142/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 02/07/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso e assorbimento degli altri; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Lecce, in riforma di sentenza del Tribunale della stessa sede, disposta CTU contabile, dichiarava che tra COGNOME NOME e COGNOME NOME era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con espletamento di mansioni riconducibili al IV livello del CCNL settore terziario dal 15.3.2000 all’11.10.2007; condannava COGNOME NOME al pagamento in favore di COGNOME NOME della somma di € 208.679,78, di cui € 20.927,08 a titolo di TFR, per differenze retributive, oltre accessori; condannava la s.RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME NOME della somma di € 84.706,01, di cui € 4.643,03 per TFR, a titolo di differenze retributive, oltre accessori, maturati in costanza del rapporto di lavoro costituitosi il 12.10.2007 e cessato il 31.3.2010, con espletamento di mansioni rientranti nel IV livello del CCNL settore terziario.
2. Ricorre in cassazione per la riforma integrale della predetta sentenza NOME COGNOME, con quattro motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso il lavoratore; RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha svolto attività difensiva; entrambe le parti hanno depositato memoria per l’odierna pubblica udienza; il PG ha concluso per l’accoglimento
del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; la causa è stata discussa dalle parti e trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso per cassazione viene denunciata violazione dell’art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 42 c.p.c., sostenendosi che la pronuncia di primo grado di inammissibilità e di mero rito poteva essere impugnata esclusivamente con regolamento di competenza.
Con il secondo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 57 d. lgs. 159/2011, quale violazione di norme di ordine pubblico.
Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia v iolazione dell’art. 360, n. 2, c.p.c. in relazione agli artt. 5 e 42 c.p.c. e 57 d. lgs. 159/2011, affermando che correttamente il Tribunale aveva chiarito che i diritti di credito rivendicati dal lavoratore non potevano essere tutelati davanti al giudice del lavoro, sussistendo la competenza esclusiva del giudice della misura di prevenzione, e che la Corte territoriale ha errato nel radicare la propria competenza, insussistente al momento della proposizione dell’atto d’appello, in ragione di un fatto sopravvenuto.
I primi tre motivi, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto tutti riguardanti la dedotta inammissibilità dell’appello, sostenendosi che la sentenza di primo grado poteva e doveva essere impugnata solo con regolamento di competenza, non sono fondati.
5. Essi partono dal presupposto errato che la pronuncia del Tribunale sia consistita in una declaratoria di incompetenza, anziché di temporanea improseguibilità del procedimento.
Osserva il Collegio che la controversia riguarda un rapporto di lavoro non regolarizzato; iniziato il procedimento nel 2011, con provvedimento del 18.12.2012 veniva disposto il sequestro preventivo dei beni di NOME COGNOME, seguito da confisca e da fallimento della società litisconsorte; in primo grado, dopo interruzione del processo e sua riassunzione, era stata dichiarata l’inammissibilità della domanda (dopo che erano state espletate le prove orali) per la competenza del giudice della misura di prevenzione, di cui alla procedura di cui al d. lgs. n. 159/2011 e alla legge n. 228/2012; a seguito di appello del lavoratore, in contumacia dei resistenti litisconsorti in primo grado, venivano acquisiti il decreto della Corte d’Appello dichiarativo dell’inefficacia della confisca e visura dalla quale risultava che la società litisconsorte era in liquidazione.
Ora, dato atto che il Tribunale si è pronunciato in termini di inammissibilità della domanda attorea (in relazione all’applicazione, in corso all’epoca della pronuncia, di misura di prevenzione), osserva il Collegio che, come chiarito dalle SS.UU. di questa Corte con sentenza n. 38596/2021, l’ordinanza del giudice civile che abbia reputato competente un giudice penale del medesimo ufficio non è impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c., atteso che la distinzione tra le varie sezioni – anche civili e penali – del medesimo Tribunale si riferisce a mere articolazioni interne di un unico ufficio, con la conseguente esclusione della possibilità di qualificare le rispettive attribuzioni come “questione di competenza” nel processo civile, dovendosi altresì escludere
l’applicazione, sia in via diretta che in via analogica, delle soluzioni normative sancite dall’art. 28 c.p.p.
In tale pronuncia delle SS. UU. si evidenzia che i precedenti della Suprema Corte sull’ammissibilità del regolamento di competenza in caso di conflitto tra giudice civile e giudice penale, avuto particolare riguardo alla posizione della Cassazione civile, sono nel senso che la violazione delle norme che disciplinano la ripartizione della potestas iudicandi tra i detti giudici non può costituire oggetto di un’istanza di regolamento di competenza, ai sensi degli artt. 42 e 43 c.p.c. (sia con riferimento al caso in cui i due giudici appartengano ad uffici giudiziari diversi, sia quando facciano parte dello stesso ufficio).
In quest’ottica, appare consolidato il principio per cui attengono alla competenza, e possono quindi formare oggetto dell’istanza di regolamento ai sensi degli artt. 42 e 43 c.p.c., le sole questioni concernenti l’identificazione, tra i vari organi investiti di giurisdizione in materia civile, di quello cui spetti la cognizione della controversia, onde non è configurabile giuridicamente una questione di competenza allorché l’alternativa si ponga tra il giudice civile ed il giudice penale.
Allorché il giudice civile adìto ritenga che “competente” in ordine alla domanda formulata dall’attore sia un collegio penale del medesimo ufficio, non si pone una questione di competenza suscettibile di essere risolta con il regolamento di competenza, ma di ripartizione delle cause tra magistrati appartenenti allo stesso ufficio giudiziario, risultando inammissibile il ricorso per regolamento di competenza (cfr. anche Cass. SS. UU. n. 26296/2008).
Dunque, non attenendo alla competenza, non è impugnabile ai sensi dell’art. 42 c.p.c. l’ordinanza che pure abbia reputato competente un giudice penale del medesimo
ufficio; le sezioni sono articolazioni interne dell’ufficio, che non possono avere riparti o conflitti di competenza con altre sezioni del medesimo ufficio giudiziario, essendo la suddivisione degli affari tema di rilievo tabellare. Ne consegue che, nel riparto delle liti tra le sezioni ordinarie del Tribunale, la soluzione di chi debba trattare la causa va risolta in via interna, mediante gli strumenti previsti nel caso di errata assegnazione tabellare dei fascicoli; il giudice assegnatario rimetterà il fascicolo al Presidente del Tribunale, il quale lo ritrasmetterà al giudice stesso, laddove ritenga errato il rilievo tabellare dal medesimo operato, o provvederà all’assegnazione alla sezione corretta; e, se il giudice ad quem neghi la propria esatta designazione, il conflitto sarà comunque deciso dal Presidente del Tribunale.
12. Le Sezioni Unite hanno avuto cura di segnalare che un problema di difetto di tutela può porsi qualora il giudice adìto, anziché rimettere la controversia al Presidente del Tribunale ritenendo non individuata la sezione corretta, abbia pronunciato in rito, con una declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità della domanda. Ma si tratta, in tal caso, di una decisione che non verte “sulla competenza” in senso tecnico, per le ragioni esposte, ma con la quale, pur tuttavia, il giudice si è spogliato del potere decisorio come ufficio giudiziario, invece che rimettere la nuova designazione al presidente di questo. L’individuazione del rimedio impugnatorio (ordinario, o il regolamento di competenza) richiede, a questo punto, due accertamenti, dovendosi, in primo luogo, qualificare il provvedimento, derivando da ciò il mezzo di impugnazione correttamente applicabile; e, in secondo luogo, valutare se l’«apparenza» abbia deposto in altro senso. Non trattandosi di pronuncia sulla competenza e avendo, comunque, il Tribunale concluso il giudizio innanzi a sé e all’ufficio, mediante una
declaratoria di inammissibilità della domanda ( rectius improseguibilità), il rimedio è quello impugnatorio ordinario.
13. In relazione al secondo motivo, in particolare, occorre muovere dalla considerazione che in applicazione dell’art. art. 5 c.p.c. la giurisdizione e competenza si determinano con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistenti al momento della domanda. Nel nostro caso quindi, poiché per come pacifico, all’epoca della proposizione della domanda non era ancora intervenuto il sequestro, il sopravvenire del sequestro con la connessa giurisdizione del giudice penale sulla domanda si configurava come causa temporanea di improcedibilità, destinata quindi a venire meno una volta rimosso ‘l’ostacolo’ alla decisione da parte del giudice adito.
14. La sentenza gravata è dunque conforme ai principi suddetti, perché correttamente la sentenza del Tribunale è stata impugnata mediante appello ordinario, non trattandosi di questione di competenza in senso stretto.
15. E’ altresì conforme al principio della tassatività dei casi di rimessione al primo giudice da parte del giudice dell’appello, di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., posto che il sistema processuale civile italiano circoscrive a ipotesi ristrette e tassative la rimessione della causa al giudice di primo grado, in base a scelta legislativa razionale e sistematica, anche in relazione al principio di ragionevole durata del processo; al di fuori di tali casi, il giudice d’appello, anche in caso di riforma o annullamento della sentenza di primo grado, deve decidere la causa nel merito, rimuovendo, nel caso, il vizio della sentenza di primo grado (v. Cass. n. 3283/2025).
16. Con il quarto motivo, parte ricorrente deduce v iolazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 2094 c.c., per
omessa deduzione in ordine all’esistenza del potere direttivo e disciplinare.
17. Il motivo non è ammissibile.
L a valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. n. 22846/2022); detta valutazione in fatto, rimessa al giudice del merito, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivata, come nel caso di specie, è insindacabile in sede di legittimità, ove è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass n. 14434/2015, n. 5436/2019, n. 33652/2022).
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto nel suo complesso.
20. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza
21. Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.500 per compensi professionali, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 luglio 2025.