Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31489 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31489 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23809/2022 R.G. proposto da: COMUNE DI SAN NICOLA LA STRADA, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME -ricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME
-intimata-
Avverso la SENTENZA del GIUDICE COGNOME CASERTA n. 1110/2022 depositata il 25/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME conveniva in giudizio il Comune di San Nicola La Strada per far accertare la prescrizione del credito vantato dall’ente locale nei suoi confronti con la fattura n. 5405 di euro 402,00 per consumi idrici 2016-2017;
il Giudice di Pace, con sentenza n. 1110 del 14 aprile 2022, dichiarava estinto il credito ritenendo applicabile la prescrizione biennale di cui alla legge n. 205 del 2017, art. 1, commi 4 e 10, trattandosi di fattura con scadenza di pagamento successiva al 1° gennaio 2020;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Comune di San Nicola La Strada articolando un motivo unico;
è rimasta intimata NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’ unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 10, della legge n. 205 del 2017, legge di Bilancio 2018, poiché il Giudice di Pace avrebbe errato mancando di considerare che la norma aveva riguardo ai consumi idrici successivi al 1° gennaio 2020, riferendosi alle fatture a scadenza successiva, e del resto lo stesso giudice di merito aveva concordato con tale conclusione ancorando la decorrenza del regime alla «scadenza delle bollette» posteriore alla sopra detta data, sicché la prescrizione precedente era o quinquennale per periodicità oppure, al più, biennale ma con decorrenza dal 1° gennaio 2020;
Il ricorso è inammissibile.
Mette conto rilevare come il ricorrente non abbia specificato preliminarmente la natura del procedimento nell’ambito del quale è stata resa la sentenza impugnata, ovvero se si sia trattato di un procedimento di cognizione ex art. 311 ss. cod. proc. civ., di una opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ. o di
un’opposizione ad ingiunzione di pagamento ex art. 3 r.d. 639/1910.
In base all’art. 339 cod. proc. civ. possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado, purché l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti.
Esclusa tale ultima ipotesi, quanto agli eventuali limiti normativi, l’art. 113, comma secondo, cod. proc. civ. prevede che: “Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro …”, e l’art. 339, comma terzo, cod. proc. civ. dispone che “Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”. La previgente formulazione della norma, invece, escludeva l’appellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, così permettendo il ricorso diretto per cassazione.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all’art. 1342 cod. civ., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ. (v. Cass. 15 gennaio 2024, n. 1517; 19 gennaio 2021, n. 769; 3 aprile 2012, n. 5287; 25 febbraio 2005, n. 4079; 3 agosto 2001, n. 10667; 26 ottobre 2001, n. 10086; 1° agosto 2001, n. 10086; 26 ottobre 2000, n. 14099; 6 aprile 2000, n. 4326; sez. un., 23 settembre 1998, n. 9493).
È stato, altresì, evidenziato da questa Corte che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, 3° comma, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione,
ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli art. 10 e ss. c.p.c. (v. Cass. 12 febbraio 2018, n. 3290).
Dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.lgs. n. 40 del 2006 e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge in modo incontestabile che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell’art. 339 cod. proc. civ., è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, fatta eccezione per la revocazione per motivi ordinari (v. Cass., sez. un., 28 maggio 2020, 10063; 18 novembre 2008, n. 27339; sez. III, 4 giugno 2007, n. 13019).
‘Tale conclusione – non desumibile esplicitamente da detta norma, posto che l’avverbio «esclusivamente» che in essa figura potrebbe apparire riferibile non al mezzo esperibile, bensì ai motivi deducibili con il mezzo stesso, onde l’interprete potrebbe avere il dubbio (peraltro per il solo vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.) che contro la sentenza sia esperibile, prevedendolo altra norma, altra impugnazione ordinaria per i motivi esclusi e segnatamente il ricorso per cassazione – si giustifica, oltre che per un’elementare ragione di coerenza, che esclude un concorso di mezzi di impugnazione non solo per gli stessi motivi, ma anche per motivi che rispetto a quelli ammessi in riferimento ad un mezzo rappresenterebbero un loro allargamento, si giustifica in forza della lettura dell’art. 360 nuovo testo, là dove nel primo comma prevede l’esperibilità del ricorso per cassazione soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado.
Poiché la sentenza equitativa del giudice di pace non è né una sentenza pronunciata in grado di appello né una sentenza pronunciata in unico grado (atteso che è, sia pure per motivi limitati, appellabile e, dunque, è sentenza di primo grado), appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i
vizi diversi da quelli indicati dal terzo comma dell’art. 339 e particolarmente per quello di cui al n. 5 dell’art. 360.
Né, d’altro canto è ipotizzabile la configurabilità del ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 sulla base dell’ultimo comma del nuovo testo dello stesso art. 360, che ammette il ricorso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti diversi dalla sentenza per i quali – a norma del settimo comma dell’art. 111 Cost. – è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge per tutti i motivi di cui al primo comma e, quindi, nelle intenzioni del legislatore, anche per quello di cui al n. 5 citato. Invero, la sentenza del giudice di pace pronunciata nell’ambito della giurisdizione equitativa, essendo appellabile, sia pure per motivi limitati, sfugge all’ambito di applicazione del suddetto settimo comma, che pertiene alle sentenze ed ai provvedimenti aventi natura di sentenza in senso c.d. sostanziale, per cui non sia previsto alcun mezzo di impugnazione e non riguarda i casi nei quali un mezzo di impugnazione vi sia, ma limitato a taluni motivi e la decisione riguardo ad esso possa poi essere assoggettata a ricorso per cassazione (com’è quella resa dal giudice d’appello sulle sentenze del giudice di pace ai sensi del terzo comma dell’art. 339, la quale, naturalmente, lo sarà con adattamento dei motivi di ricorso all’ambito di quelli devolvibili al giudice d’appello stesso)’ (così Cass. n. 13019/2007; e, da ultimo, Cass. 11 aprile 2024, n. 9870). Considerato che la sentenza impugnata è stata resa su una domanda tesa alla dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del credito di euro 402,00, oggetto della fattura inviata e che in violazione del principio di specificità e del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c. il ricorrente non ha dedotto e comprovato l’essere intervenuta la sentenza nell’ambito di un rapporto giuridico relativo a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all’art. 1342 cod. civ.,
deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto poiché, come già detto, l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339, comma terzo, cod. proc. civ., costituisce l’unico rimedio impugnatorio ammesso, oltre alla revocazione per motivi ordinari, avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria.
Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza