Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31852 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31852 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
2.
il motivo non è fondato; 3. è in effetti mal richiamato il tema della ‘minima unità di fatto -normaeffetto’ idonea al giudicato, perché essa certamente resta
integrata da una pronuncia, come quella del Tribunale, che valorizzi (‘fatto’) l’esistenza del giudicato esterno proveniente da altra pronuncia, la ‘norma’ sul giudicato (non espressamente indicata, ma chiaramente consistente nell’art. 2909 c.c., di cui il Tribunale ha valorizzato certe ritenute conseguenze rispetto ai rapporti di durata) e gli ‘effetti’ di definitività dell’accertamento anche per copertura del dedotto e deducibile che ne derivano;
4.
non è poi vero che l’argomentazione del Tribunale non individuasse un capo autonomo risolutivo di questioni controverse;
tale carattere ricorreva invece in pieno, avendo il Tribunale ritenuto che, a sorreggere il diritto rivendicato, potessero essere sia l’assetto e gli sviluppi sul piano sostanziale della vicenda, sia in sé il giudicato da esso valorizzato;
il diritto che, secondo il Tribunale, poteva derivare pienamente dall’una o dall’altra fattispecie, individua una situazione giuridica soggettiva, cui si attribuiva tutela e di cui è incontrovertibile l’autonomia, se del caso ulteriormente accentuata dal fatto che quanto deriva dal giudicato ha addirittura effetti propri e per certi versi distinti (v. ad es. art. 2953 c.c., in tema di termine di prescrizione) da quelli del diritto originario;
5.
non è ancora vero che le sopravvenienze evidenziate con l’appello al fine di contestare la sussistenza degli obblighi sul piano squisitamente sostanziale o la permanenza di essi presso le nuove ASL (successione tra enti, con quanto ciò può comportare) fossero elementi comuni e decisivi per far ritenere impugnato anche il capo riguardante il riconoscimento del giudicato;
infatti, sebbene sia pacifico l’incentrarsi delle questioni agitate in causa sul rilievo da attribuire a certe sopravvenienze della vicenda successoria tra enti, è tuttavia cosa ben diversa discutere sugli effetti di una certa sopravvenienza successoria quale ragione del
venire meno di un dato obbligo sul puro piano sostanziale e discutere di essa come ragione di superamento di un pregresso giudicato;
il superamento del giudicato impone valutazioni del tutto autonome, tra cui centrale è il rapportarsi delle sopravvenienze rispetto alla deducibilità di esse nel processo da cui esso proviene, avendo non a caso il Tribunale ragionato anche in termini di c.d. dedotto e deducibile;
5.1
il motivo di ricorso per cassazione, non riportando il contenuto concreto del ricorso di appello almeno nelle parti di interesse, non dimostra né che con il gravame si fosse mai parlato del giudicato, né che si fosse preso in considerazione il profilo appena evidenziato della preclusione da dedotto e deducibile il quale, in generale, ma anche in specifico nel caso concreto per avervi fatto esplicito riferimento il Tribunale, è del tutto qualificante;
in definitiva, manca nella censura qui in esame l’indicazione di aspetti decisivi per far concludere che non sia vero quanto afferma la Corte territoriale, ovverosia che la ratio decidendi del Tribunale incentrata sul giudicato fosse stata oggetto di impugnazione in appello;
d’altra parte, per quanto in sede di legittimità, i profili processuali consentano l’accesso della S.C. alla disamina diretta degli atti, vale ciononostante il principio per cui ciò può avvenire se già il motivo di ricorso contenga almeno quanto necessario ad introdurre le censure con sufficiente pregnanza (Cass. S.U., 22 maggio 2012, n. 8077 e successive sempre conformi), non potendo essere il giudice e ricercarne officiosamente gli elementi essenziali;
nel caso di specie, neanche il motivo afferma che con l’appello si fosse parlato del giudicato o del tema della preclusione da dedotto e deducibile e quindi quanto addotto ed argomentato resta su un
piano di astrattezza inidoneo ad una favorevole valutazione dell’impugnativa;
6.
va allora qui ribadito il principio (Cass. 13 luglio 1995, n. 7675; Cass. 8 giugno 2001, n. 7809; Cass. 30 agosto 2007, n. 18310 e poi sempre applicato: v. Cass. 17 marzo 2023, n. 7790) per cui, nonostante la maggiore ampiezza dell’effetto devolutivo, anche nel rapporto tra pronuncia di primo grado e giudizio di appello la mancata impugnazione di una tra più rationes decidendi sviluppate nella prima sentenza consolida la ratio non gravata, che resta idonea a stabilizzare la decisione di merito ed a rendere inammissibile l’appello;
tale conclusione è del resto ulteriormente giustificata dal dettagliato rilievo testuale che il principio di specificità dell’appello ha ricevuto negli artt. 343 e 434 c.p.c. in forza delle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012 e poi ora ulteriormente dal d. lgs. n. 149 del 2022;
7.
su tali basi è sterile discutere qui se quel giudicato vi fosse, perché non è questo il punto, che consiste invece nel non avere la ricorrente censurato la sentenza di primo grado che ne aveva riconosciuto l’esistenza e gli effetti e che aveva fondato su tale autonoma ratio decidendi il riconoscimento di quanto rivendicato in causa;
8.
alla reiezione del ricorso per cassazione segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di cassazione,
che liquida in euro 8.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro