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Impugnazione ordinanza 702 bis: la via corretta

Un avvocato ha agito contro una ex cliente per ottenere il pagamento dei compensi professionali, utilizzando il rito sommario di cognizione. Insoddisfatto della decisione del Tribunale, che gli ha liquidato una somma inferiore a quella richiesta, ha proposto ricorso diretto in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la corretta impugnazione dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. è l’appello e non il ricorso diretto, basandosi sul principio che la forma del rito adottata dal giudice determina il mezzo di gravame esperibile.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Impugnazione ordinanza 702 bis: La Cassazione chiarisce la via corretta

Nel labirinto delle procedure legali, la scelta del rito processuale e del corretto mezzo di gravame è fondamentale. Un errore in questa fase può compromettere l’esito di una causa, a prescindere dalla fondatezza delle proprie ragioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la corretta impugnazione dell’ordinanza 702 bis, emessa a conclusione di un rito sommario di cognizione. La vicenda, che nasce da una controversia sul compenso di un avvocato, offre un importante monito sulla necessità di seguire scrupolosamente le regole procedurali.

I Fatti di Causa

Un avvocato si rivolgeva al Tribunale per ottenere la liquidazione dei compensi dovuti da una sua ex cliente per attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale. Per farlo, sceglieva di avviare un procedimento sommario di cognizione, ai sensi dell’art. 702 bis del codice di procedura civile.

Il Tribunale, decidendo in composizione monocratica, accoglieva solo parzialmente la richiesta del professionista, liquidando un importo inferiore a quello preteso. Ritenendo la decisione ingiusta, l’avvocato decideva di impugnarla, ma commetteva un errore procedurale decisivo: invece di presentare appello, proponeva ricorso direttamente dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Scelta del Rito e le Conseguenze sull’Impugnazione

Il punto centrale della questione risiede nella scelta iniziale del ricorrente. L’avvocato aveva introdotto la causa con un ricorso ex art. 702 bis c.p.c., e il giudice di primo grado aveva seguito tale rito per tutta la durata del procedimento. Sebbene esistesse un rito speciale per le controversie in materia di onorari di avvocato (previsto dal D.Lgs. 150/2011), la scelta consapevole è ricaduta sul rito sommario ordinario.

Questa scelta ha una conseguenza diretta e ineludibile sul regime delle impugnazioni. La legge, infatti, stabilisce chiaramente quale sia il percorso da seguire per contestare le decisioni prese all’interno di un determinato procedimento. Nel caso della corretta impugnazione dell’ordinanza 702 bis, la norma di riferimento è l’art. 702-quater c.p.c., che prevede l’appello come unico mezzo di gravame.

La Decisione della Corte di Cassazione: L’inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte, investita del caso, ha rilevato d’ufficio l’inammissibilità del ricorso. Gli Ermellini hanno sottolineato che, indipendentemente dalla natura della controversia, ciò che determina il regime di impugnazione è la forma del provvedimento adottata dal giudice di merito. Poiché il giudizio si era svolto interamente secondo le forme del rito sommario di cognizione, l’ordinanza conclusiva era appellabile e non ricorribile per cassazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione sul principio consolidato secondo cui la forma del procedimento seguita dal giudice qualifica l’azione e, di conseguenza, determina il mezzo di impugnazione esperibile. Il giudice di primo grado aveva consapevolmente adottato il rito sommario, come richiesto dallo stesso ricorrente, senza mai disporre un mutamento del rito. Di conseguenza, l’ordinanza emessa era a tutti gli effetti un provvedimento reso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c.

L’articolo 702-quater c.p.c. stabilisce in modo inequivocabile che contro tale ordinanza si può proporre appello. Il ricorso diretto per cassazione è, pertanto, un rimedio non previsto dalla legge per questo tipo di provvedimento, il che lo rende irrimediabilmente inammissibile.

La Corte ha inoltre precisato che non era necessario sottoporre preventivamente la questione di inammissibilità alle parti, poiché si tratta di una questione di rito rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chi opera nel diritto: la forma è sostanza. La scelta del rito processuale non è un dettaglio trascurabile, ma un atto che condiziona l’intero svolgimento della causa, compresa la fase delle impugnazioni. Aver ragione nel merito non è sufficiente se si sbaglia la strada per far valere i propri diritti. L’errore procedurale, come in questo caso, può portare a una declaratoria di inammissibilità, vanificando ogni sforzo e precludendo la possibilità di un riesame della decisione.

Come si impugna un’ordinanza emessa a seguito di un procedimento sommario di cognizione (art. 702 bis c.p.c.)?
Secondo la Corte, l’ordinanza emessa all’esito di un rito sommario di cognizione è appellabile ai sensi dell’art. 702-quater del codice di procedura civile.

È possibile presentare ricorso per cassazione direttamente contro un’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c.?
No, il ricorso diretto per cassazione è inammissibile. Il corretto mezzo di gravame previsto dalla legge è l’appello davanti alla Corte d’Appello.

Cosa determina il mezzo di impugnazione corretto per un provvedimento giudiziario?
Il mezzo di impugnazione corretto è determinato dalla forma del procedimento adottata dal giudice in base alla qualificazione, esplicita o implicita, che egli ha dato all’azione esercitata in giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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