Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28956 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28956 Anno 2025
Presidente: TRICOMI IRENE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29590-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 557/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/09/2021 R.G.N. 1149/2018;
Oggetto
Arbitrato
irrituale – Lodo –
Annullamento
–
Riproposizione domanda.
R.NUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 16/10/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale della medesima città che dichiarava l’improcedibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME.
1.1. Per quanto qui ancora rileva, il ricorrente chiedeva, avvalendosi della procedura di conciliazione ed arbitrato prevista dal contratto collettivo nazionale quadro del 23.2.2001, l’annullamento delle sanzioni disciplinari indicate nella sentenza impugnata.
1.2. Il lavoratore esponeva al riguardo di aver ottenuto lodo a lui favorevole che veniva tuttavia annullato dal Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3222 del 2011. In conseguenza di detto annullamento, egli aveva nuovamente riproposto il giudizio innanzi al Tribunale di Catania, al fine di ottenere una pronunzia di merito sull’illegittimità delle sanzioni, il giudice adito dichiarava l’improcedibilità del ricorso, ritenendo inammissibile qualsiasi azione giudiziaria in considerazione del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del lodo. 2. Avverso detta pronunzia il lavoratore propone ricorso per
cassazione articolato in nove motivi ed altresì assistito da
memoria di discussione depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Resiste con controricorso il Comune di Fiumefreddo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dato atto, in risposta all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente, che, benché la tecnica redazionale utilizzata nell’esposizione dei motivi non risponda pienamente alle esigenze di chiarezza e sintesi che dovrebbero connotare il ricorso per cassazione, essendo l’atto infarcito di una serie di rinvii ad allegati qui non più esaminabili anche in ragione del mancato rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., è comunque possibile cogliere il senso delle singole doglianze nei sensi di seguito esposti, dando ad esse specifica risposta.
1.1. Con il primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. oltre che dell’art. 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il ricorrente sostiene che il Comune di Fiumefreddo di Sicilia non abbia sollevato né ritualmente, né tempestivamente l’eccezione di improcedibilità poi accolta dal giudice di prime cure, avendo, invece, la parte datoriale eccepito solo la maturazione del giudicato.
Rappresenta di aver sollevato la questione nel ricorso in appello ( cfr. pagg. 30-33).
Aggiunge che il giudizio di impugnazione del lodo irrituale è un giudizio rescindente che attiene alla validità del lodo e non al merito, con la conseguenza che alcun giudicato poteva essere maturato in ordine alla legittimità/illegittimità delle sanzioni.
1.2. È assorbente la considerazione della rilevabilità ex officio dell’inammissibilità/improcedibilità , nella specie del ricorso proposto innanzi al Tribunale di Catania, sicché la sollevata doglianza è inconferente con il decisum.
Il motivo è, inoltre, e ancor prima, inammissibile in quanto difetta di specificità sub specie di autosufficienza, nemmeno avendo parte ricorrente in cassazione riportato sinteticamente il contenuto del motivo di appello, evidentemente insufficiente il mero rinvio operato alle pagg. 30-33 del ricorso per cassazione, senza ulteriori indicazioni.
1.3. Quanto innanzi rilevato conserva la sua efficacia, pur a seguito della pronunzia, da parte della Corte Edu, della sentenza COGNOME contro Italia del 28.10.2021.
La RAGIONE_SOCIALE (cfr. Sez. U. n. 8950/2022) ha infatti avuto modo di puntualizzare che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, corollario del requisito di specificità dei motivi, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., va comunque rispettato, sebbene non debba essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa.
Sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite si è ulteriormente chiarito che il principio di autosufficienza è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenerlo rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o
trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (cosi Cass. n. 12481/2022).
Nulla di quanto innanzi è stato compiuto nel caso di specie -come detto -nemmeno riportato sinteticamente il contenuto del motivo di appello.
Con la seconda doglianza è denunziata, del pari, la violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c., oltre che dell’art. 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., sebbene sotto altro profilo.
Il ricorrente deduce esservi stata una omessa pronunzia nella sentenza qui impugnata per non aver la Corte Territoriale deciso sulla domanda di accertamento della nullità della sentenza di improcedibilità, oltre che su quella proposta, in via subordinata, per violazione, nel processo di primo grado, dell’art. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 111, comma 2, Cost.
Il motivo ruota, poi, intorno all’asserito difetto di prova, che, secondo quanto argomentato nel mezzo, sarebbe a carico del Comune di Fiumefreddo di Sicilia, della persistente validità dell’accordo di arbitrato, vieppiù avendone il lavoratore eccepito l’a brogazione. Si sostiene nello strumento che solo la perdurante vigenza dell’accordo di arbitrato avrebbe consentito di affermare permanesse una rinunzia convenzionale delle parti all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione, laddove, nel caso di
specie, l’accordo di arbitrato non era, all’epoca dei fatti, più in vigore.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Quanto alla prima articolazione del mezzo, si osserva che il lavoratore avrebbe dovuto indicare e riportare almeno sinteticamente non solo il contenuto dei motivi di appello proposti sul punto, laddove di tanto non vi è traccia nell’articolazione della cen sura, ma anche -a monte -il contenuto del ricorso ex art. 414 c.p.c., essendo in difetto impossibile a questa Corte qualsiasi valutazione in ordine al dedotto difetto di pronunzia, rinviando a quanto si è già detto al punto 1.3.
A questa considerazione, si aggiunge quanto già evidenziato al punto 1.1.1., in ordine ai poteri officiosi del giudice in relazione alla pronunzia di improcedibilità, altresì rimarcato che è il percorso motivazionale tutto della sentenza della Corte territoriale che contrasta la ricostruzione proposta nella doglianza.
2.2. In ordine alla seconda sottocensura che, riaffermando l’abrogazione della convenzione di arbitrato, assume che a detta abrogazione conseguirebbe il venir meno della rinunzia convenzionale all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, con c onseguente proponibilità dell’azione innanzi al giudice ordinario, se ne deve rimarcare l’inammissibilità, per l’inconferenza con il percorso motivazionale della Corte territoriale che non ha affatto posto a fondamento della decisione l’intervenuta abrogazione dell’arbitrato che resta riportata nella sentenza impugnata a pag. 3 solo quale
contenuto del primo mezzo del ricorso in appello, senza fondare poi la ratio decidendi .
Con il terzo mezzo viene ancora denunziata la violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c., oltre che dell’art. 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il nucleo del motivo, pur introdotto ai sensi del n. 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ovvero l’intervenuta inoperatività ed inefficacia della convenzione arbitrale prevista dal CCNQ del 23.1.2007. La corretta valutazione di detta circostanza non poteva che condurre all’affermazione si rimarca – che il precedente giudizio arbitrale non poteva costituire impedimento all’introduzione di un nuovo giudizio di primo grado innanzi al giudice ordinario.
3.1. Con il terzo motivo, quindi, si reiterano, sotto altro profilo, le doglianze già innanzi esaminate nella valutazione della seconda sottocensura del secondo mezzo.
Ebbene, il motivo è inammissibile in ragione del mancato confronto con il decisum, per le stesse ragioni già evidenziate al punto 2.2.
Il quarto motivo denunzia la violazione degli artt. 99 e 132, comma 1, n. 3 c.p.c., oltre che dell’art. 111 Cost. comma 6, lamentando, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza.
Il lavoratore, premessa l’erronea interpretazione da parte del giudice di merito di alcune sue difese, assume che, dopo la caducazione del lodo nel giudizio rescindente, intervenuta la riforma dell’arbitrato con l’abolizione della figura dell’arbitro
unico, egli ben potesse, al fine di ottenere una pronunzia di merito, riproporre la domanda innanzi al Tribunale di Catania.
Rimarca che, essendo venuto meno nelle more il CCNQ del 23.1.2001, in seguito alle novelle legislative, l’unico modo per ottenere una pronunzia di merito era rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Con il quinto motivo è lamentata la violazione degli artt. 99, 112 e 132, comma 1, n. 4 c.p.c., oltre che dell’art. 118 disp. att c.p.c. e dell’art. 111, comma 6, Cost.
È denunziata la pronunzia per aver valicato i limiti della domanda e per aver esposto una motivazione apparente e viziata.
In particolare, è lamentato che la sentenza di appello verifica e valuta la necessità di proporre ricorso per cassazione avverso la pronunzia del Tribunale di Palermo che aveva annullato il lodo, esorbitando dai limiti della domanda.
Con la sesta censura è dedotta la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c., dell’art. 111, comma 6 Cost., il vizio di motivazione e la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione per aver valorizzato una ininfluente volontà del lavoratore, che si sarebbe opposto alla decisione del lodo nel merito, nella fase rescindente, di modo che la fase rescissoria – per queste ragioni – non aveva avuto luogo.
Nega vi fosse una volontà contraria alla decisione nel merito ed assume, comunque, che in ragione del vizio che aveva
cagionato l’annullamento (vizio di ultrapetizione), vi fosse la possibilità per il giudice di pronunziare nel merito.
In via gradata, rispetto al sesto motivo, con il settimo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 830 c.p.c. e, in particolare dei commi 2 e 3, oltre che dell’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., e dell’art. 808 quinquies c.p.c., l’ error in procedendo e la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Nell’articolazione del la censura ( cfr. ricorso pag. 31) si sostiene che, essendo stato disposto l’annullamento del lodo per i motivi di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, la decisione sul merito è espressamente esclusa, dovendo il giudice dell’impugnazione limitarsi ad annullare il lodo, ai sensi dell’art. 830 c. p.c.
7.1. I quattro motivi di cui innanzi possono esaminarsi congiuntamente involgendo l’esame delle medesime questioni ovvero la possibilità, negata nella sentenza impugnata, di riproporre la domanda innanzi al giudice ordinario.
7.2. Tutte le doglianze innanzi richiamate sono inammissibili (con rinvio a quanto già detto al riguardo al punto 1.3.) in ragione del mancato rispetto del principio di specificità, con riguardo alla insufficiente indicazione dei contenuti essenziali, sia del lodo, sia soprattutto della sentenza del Tribunale di Palermo di annullamento dello stesso, oltre che quanto all’affermazione (si veda il sesto motivo), contrastante con quella contenuta nella sentenza qui impugnata, della mancata richiesta al giudice della fase rescindente di fermarsi ad essa, omettendo qualsivoglia pronunzia di merito (in relazione a detto aspetto difettando del tutto il dove ed il quando) ;
Tanto premesso va pure rimarcata la contraddittorietà delle difese articolate nei motivi, atteso che nel sesto mezzo si sostiene che il giudice investito dell’impugnativa del lodo dovesse comunque decidere nel merito e nel settimo (irrilevante la proposizione in via subordinata) si argomenta, invece, che al giudice del Tribunale di Palermo fosse preclusa la decisione nel merito (sul punto si veda anche infra) .
7.3. Breviter va aggiunto che il quarto mezzo è altresì inammissibile per le ragioni esposte al punto 2.2., nuovamente lamentando la parte ricorrente la mancata valutazione della sostenuta abrogazione dell’accordo di arbitrato che come detto -non costituisce ratio decidendi della decisione impugnata che si fonda su plurime motivazioni, fra le quali, in primis, la volontà espressa dal lavoratore che il giudice investito del lodo non pronunziasse anche nel merito.
7.4. In relazione alle residue tre doglianze già inammissibili – lo si ricorda – per le ragioni esposte al punto 7.2. giova altresì rimarcare quanto segue.
La Corte territoriale ha escluso che si potesse procedere alla decisione nel merito, fra l’altro, in ragione della volontà in tal senso espressa dal lavoratore nel giudizio di annullamento del lodo ( cfr. pag. 7 della sentenza impugnata in fine; quanto all’inammissibilità della deduzione di segno contrario di cui al sesto mezzo si veda quanto già detto al punto 7.2.).
Conseguenza di tali premesse è che il dedotto errore del giudice investito dell’impugnativa del lodo, ovvero l’omessa decisione nel merito ( cfr. motivi 5^ e 6^), non poteva che essere fatto
oggetto di impugnazione in quel giudizio di annullamento del lodo e non certo nel presente.
La censura proposta dall’odierno ricorrente che verte sull’errore in cui il Tribunale sarebbe incorso nel giudizio impugnatorio del lodo, giudizio distinto da quello in esame e promosso ai sensi dell’art. 412 -quater, non considera che, come già affermato da questa Corte nelle procedure di arbitrato irrituale in materia di lavoro privato, il lodo non è impugnabile nelle forme e nei modi ordinari ma, ai sensi dell’art. 412 quater c.p.c., in unico grado innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro, la cui sentenza è ricorribile in cassazione (Cass., 10988 del 2020); di talché avverso la sentenza di annullamento del lodo il rimedio esperibile è il ricorso per cassazione, non potendo le critiche alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 412 -quater, cpc, essere fatte valere in un autonomo giudizio.
Tanto premesso, il settimo motivo, in cui in contraddizione con il sesto si assume che al giudice di merito non potesse, di contro, pronunziare nel merito, non si confronta con il segno della decisione qui impugnata della Corte territoriale che ha escluso la possibilità che il giudice investito del lodo pronunziasse anche sul merito in ragione dell’espressa richiesta in tal senso del lavoratore, difettosa di specificità -come detto innanzi -ogni deduzione rivolta a contrastare tale affermazione della sentenza di appello ed impossibile a questo Collegio ogni (ri)valutazione del dovere del giudice investito dell’impugnativa del lodo di procedere anche alla decisione nel merito, in ragione dell’ insufficiente indicazione dei contenuti essenziali, sia del lodo, sia soprattutto della sentenza del Tribunale di Palermo di
annullamento dello stesso (cfr. innanzi punto 7.2.) anche questo mezzo è inammissibile.
Con l’ottava doglianza è denunziata la violazione dell’art. 99 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., la violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c., dell’art. 101 c.p.c., dell’art. 24 e del principio di terzietà del giudice; si lamenta l’ error in procedendo e la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il motivo lamenta che la Corte di appello avrebbe introdotto di propria iniziativa fatti inerenti il procedimento rescindente dinnanzi la giudice di Palermo, ove il ricorrente difendeva il lodo a sé favorevole e -insiste ancora – che al giudice investito della decisione del lodo era preclusa la decisione del merito.
8.1. Valgono qui le ragioni di inammissibilità esposte al punto 7.2. e 7.4. ricordato breviter che la valutazione del contenuto della sentenza di annullamento del lodo e – a monte – del lodo stesso sono indispensabili per la valutazione del motivo.
Con il nono ed ultimo motivo è lamentata la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 99 c.p.c., nonché la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost, l’omessa pronunzia su un motivo di appello e sulla domanda ad esso correlata, l’ error in procedendo , la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Il nucleo del motivo ruota sull’insistita nullità delle sanzioni disciplinari e sulla mancata pronunzia del giudice di appello su detta domanda.
9.1. Il residuo censorio è anch’esso inammissibile.
La ritenuta improcedibilità della domanda precludeva, evidentemente alla Corte territoriale l’esame della fondatezza
delle doglianze relative alla dedotta illegittimità/nullità delle sanzioni disciplinari.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro del 16.10.2025.
La Presidente NOME COGNOME