Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13508 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13508 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 595-2019 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 489/2018 del TRIBUNALE di PADOVA, depositata il 11/10/2018 R.G.N. 999/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 498/2018, ha rigettato la domanda, proposta da NOME COGNOME
nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, di cui era dipendente, con la quale era stato impugnato il lodo -emesso dal Collegio arbitrale in data 20.2/5.3/2018- che aveva ritenuto congrua l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione, come previsto dall’art. 101 CCNL di categoria, riducendola da ‘cinque ad uno’ e che aveva posto le spese della procedura, quale onorario del Presidente del Collegio, a carico di entrambe le parti nella misura del 50% ciascuna; spese che sarebbero state comunicate con separata notula.
Il Tribunale ha rilevato, precisati i limiti del sindacato giurisdizionale sull’arbitrato, che: a) non vi era stata induzione in errore del Collegio arbitrale per la produzione, innanzi allo stesso, da parte della società di due documenti alterati e falsi: l’ordine di servizio del 15 marzo 2017 ed il mansionario privo di data, mancando in entrambi i casi il requisito della essenzialità dell’errore; b) per le stesse ragioni, per le quali non era stato ravvisato il vizio dell’errore, doveva escludersi anche l’asserito vizio del dolo; c) quanto alle altre doglianze (formulazione della contestazione disciplinare in modo non conforme a legge, ricostruzione e valutazione della vicenda in fatto), riguardando il puro merito dell’apprezzamento del Collegio arbitrale, il sindacato giurisdizionale era precluso; d) non vi era stata alcuna lesione del principio del contraddittorio in quanto il lavoratore era stato sempre assistito da un rappresentante sindacale e, successivamente, anche da un legale e, per quanto riguardava le altre censure, non risultava violata alcuna norma di legge ovvero alcuna regola convenzionalmente pattuita.
Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione delle norme procedurali del rito del lavoro, in particolare degli articoli 415, 420 e 429 cpc, in relazione all’art. 112 Cost., per non essere stati osservati i termini, nel giudizio di impugnazione del lodo arbitrale, in tema di: 1) fissazione dell’udienza di discussione; 2) personale presenza delle parti in udienza; 3) adozione di provvedimenti di rinvio non consentiti; 4) definizione del giudizio con lettura del dispositivo alla fine della udienza di discussione e deposito del provvedimento nei successivi quindici giorni; il tutto in un contesto in cui era stata evidenziata l’eccessiva complessità del procedimento arbitrale e la sua inevitabile dilazione temporale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere omesso il Tribunale di considerare i motivi di ricorso nella loro esatta articolazione, con violazione degli artt. 112 e 115 cpc: in particolare, sull’induzione in errore derivata dalla produzione di due documenti falsi (ordini di servizio diversi e mansionario all’epoca dei fatti insussistente e comunque invalido), sull’omessa valutazione della normativa che esso ricorrente avrebbe dovuto seguire, sull’imputazione di un addebito disciplinare non contemplato da alcuna disposizione, sul tentativo di modificare la contestazione, sulla procedura seguita che aveva determinato una violazione del principio del contraddittorio (assistenza e mancato rispetto dei termini di deposito).
Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere omesso il Tribunale di pronunciare su tutti i motivi di ricorso, con violazione dell’art. 112 cpc, in quanto, come testualmente riportato nella doglianza, ‘dalla lettura del ricorso e della sentenza emerge come il Giudice non abbia proprio pronunciato alcunché sul punto ‘competenze del Presidente del Collegio’. E’ chiara la violazione dell’art. 112 cpc che pone a carico del Giudice l’obbligo di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. La conseguenza non potrà che essere la nullità della decisione impugnata. In sede di condanna poi non ha considerato l’assenza, fin dalla prima udienza di discussione, di parte resistente’.
Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ senza dubbio infondata la asserita violazione dell’art. 415 cpc, per il mancato rispetto dei termini ivi previsti, in quanto secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità ( ex plurimis Cass. n. 745/1989, Cass. n. 1956/1992), mai oggetto di rivisitazione, si tratta di termini ordinatori la cui inosservanza non produce alcuna decadenza né nullità purché siano rispettati quelli di comparizione per il convenuto.
Quanto alle altre dedotte violazioni di legge (art. 420 e 429 cpc), deve rilevarsi la inammissibilità delle stesse sia per la mancata allegazione di un concreto ed effettivo pregiudizio subito dall’andamento processuale (che si è concluso peraltro in sei mesi) sia per difetto di specificità della censura, in ordine alla denunciata mancata lettura del dispositivo, in quanto non è stata indicata e riportata tutta la documentazione necessaria (verbali di udienza, attestazione circa il deposito del dispositivo e registrazione dello stesso da parte della Cancelleria) a valutare la fondatezza della doglianza.
Il secondo motivo è infondato.
Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre infatti quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020).
Nella fattispecie, come è agevole rilevare, entrambe le violazioni non sussistono perché il Tribunale si è pronunciato sui punti oggetto dell’impugnazione del lodo arbitrale rilevando che le doglianze proposte riguardavano accertamenti di merito il cui esame era precluso in sede di impugnazione del lodo arbitrale.
Non si verte, pertanto, né in ipotesi di omessa pronuncia, nel senso sopra delineato, né di violazione dell’art. 115 cpc, come specificato dalle Sezioni Unite di questa Corte.
Il terzo motivo, riportato nella sua interezza nello storico della presente ordinanza, è anche esso inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza in quanto non è stata indicata, con sufficiente precisione, quale fosse la esatta censura presentata al Tribunale e che cosa con esattezza riguardasse il riferimento alle ‘competenze del Presidente del Collegio’, così impedendo a questo Collegio il corretto scrutinio del vizio denunciato, in primo luogo, ai fini della sua ammissibilità e, in secondo luogo, in ordine alla sua fondatezza.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 2.750,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 27 febbraio 2024