Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24777 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24777 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14522/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 6854/2018, depositata il 29/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 8/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
Con lodo arbitrale del 14 giugno 2013 è stata respinta la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di condanna della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 4.760.653, pari alla differenza tra la somma corrisposta dalla convenuta (euro 13.981.687,20) sulla base dello stato dell’avanzamento dei lavori sottoscritti dalle parti e l’importo di euro 18.742.320 calcolato dai consulenti di parte della RAGIONE_SOCIALE appaltatrice in relazione al contratto di appalto per la realizzazione di 80 villini edificati in Roma.
Il lodo arbitrale è stato impugnato davanti alla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 6854/2018, ha respinto l’impugnazione.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Memoria è stata depositata dalla ricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo contesta ‘violazione degli artt. 101, 816 -bis e 829, n. 9, c.p.c., violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., nullità della motivazione’: la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’assegnazione alle parti di termini sfalsati per il deposito dell’unica memoria autorizzata non ha leso il diritto di difesa della ricorrente, dato che il diritto alla presentazione delle repliche non costituirebbe un elemento essenziale dell’arbitrato; la libertà degli arbitri, in difetto di prescrizione delle parti, di regolare l’articolazione del procedimento nel modo più opportuno, incontra il limite
inderogabile del rispetto del principio del contraddittorio, che si traduce nel diritto delle parti di esercitare su un piano di uguaglianza le facoltà processuali a loro attribuite.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha sottolineato come gli arbitri abbiano assegnato un primo termine all’appaltatrice per replicare alla comparsa di costituzione della committente e a quest’ultima un ulteriore termine per replicare a sua volta, consentendo poi a entrambe le parti di discutere oralmente la causa all’udienza. Avendo le parti avuto la possibilità di fare valere le proprie difese prima per iscritto, sia pure una dopo l’altra, e poi ambedue oralmente di fronte agli arbitri, non vi è stata lesione del loro diritto di difesa e del principio del contraddittorio, nonché del principio di parità delle armi. È infatti principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che ‘ nel giudizio arbitrale, qualora le parti non abbiano determinato nel compromesso o nella clausola compromissoria le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno e, quindi, anche di discostarsi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l’unico limite del rispetto dell’inderogabile principio del contraddittorio, posto dall’art. 101 c.p.c., il quale, tuttavia, opportunamente adattato al procedimento dinanzi agli arbitri, va inteso nel senso che deve essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva per tutto il corso del procedimento medesimo, la possibilità di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo’ (così, ex multis , Cass. n. 10809/2015).
Il secondo e il terzo motivo sono strettamente connessi:
il secondo motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 24 Cost., anche in relazione all’art. 829, n. 4, degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., grave vizio di motivazione’: il lodo arbitrale era stato impugnato dalla ricorrente per la violazione del diritto di difesa e comunque
per grave vizio di motivazione nella parte in cui ha ritenuto che la domanda della ricorrente si sarebbe posta in un’area di inammissibilità/infondatezza, in quanto in sede di discussione orale sarebbe passata da una domanda di pagamento di un maggiore corrispettivo a una domanda di risoluzione dell’originario contratto a corpo, sostituendolo con un contratto a misura in quanto le opere consegnate avrebbero rappresentato un aliud pro alio ; ad avviso degli arbitri la ricorrente non avrebbe neppure allegato le ragioni del suo maggior credito, avendo depositato una memoria che si era limitata a rinviare a una separata perizia tecnica; con l’impugnazione la ricorrente aveva dedotto che la presunta mutatio libelli era per definizione inconfigurabile, mancando un atto nel quale poterla rinvenire, e aveva poi contestato la ‘stravagante’ estensione del principio di autosufficienza ad ambiti diversi dal ricorso per cassazione, dato che la consulenza tecnica di parte costituisce allegazione difensiva a contenuto tecnico; tali motivi di impugnazione sono stati ignorati dalla Corte d’appello che, esclusa la violazione del principio del contraddittorio, è passata direttamente al terzo motivo di impugnazione, così omettendo di pronunciare su tutti i motivi;
b. il terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1361, 1362, 1363, 1366 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c.’: con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente non aveva preteso di ridiscutere il merito della controversia nella fase rescindente, ma al contrario ha censurato la violazione da parte degli arbitri di regole di diritto quale valido motivo di annullamento del lodo arbitrale, violazione di regole di diritto legittimamente censurata in applicazione del comma 2 dell’art. 829 c.p.c. nel testo vigente prima della riforma del 2006; le censure in diritto sono poi state esaminate con estrema superficialità dalla Corte d’appello, che ha d’altro canto fondato la propria decisione su considerazioni
diverse da quelle del lodo, peraltro gravemente errate sia sul piano dell’interpretazione contrattuale, sia su quello della valutazione delle risultanze istruttorie.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello ha correttamente sottolineato come il giudizio di impugnazione ex art. 829 c.p.c. sia un giudizio anzitutto volto all’accertamento di eventuali nullità del lodo, che si conclude con l’annullamento o meno del medesimo, così che nella prima fase c.d. rescindente la Corte d’appello non può procedere ad accertamenti di fatto, ma si deve limitare all’accertamento delle eventuali nullità, pronunciabili soltanto per determinati errori in procedendo e per l’inosservanza di regole di diritto nei limiti previsti dall’art. 829 c.p.c. Quanto al profilo del mutamento della domanda in relazione alla conclusione di un contratto d’appalto a corpo con un diverso contratto a misura, la Corte d’appello ha sottolineato come un appalto a corpo non possa appunto trasformarsi progressivamente in appalto a misura e come le parti abbiano concluso un contratto di appalto a corpo, cui è seguito nell’appendice un appalto a misura per la determinazione del corrispettivo delle ulteriori opere, a nulla rilevando la perizia di parte appellante. Non è quindi ravvisabile il vizio di omessa pronuncia denunciato con il secondo motivo.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura la decisione del terzo motivo di impugnazione del lodo. Tale motivo la ricorrente non trascrive, ma si limita a riassumere in ricorso (v. le pagg. 23 e 24 dell’atto), evidenziando come con esso si ‘lamentava la violazione di un cospicuo numero di regole di diritto, a cominciare da quelle sull’interpretazione del contratto di appalto e della sua appendice’ e c ome la maggioranza degli arbitri avesse ‘ inoltre compiuto un esame del tutto inadeguato delle risultanze probatorie’.
In relazione alla inadeguatezza della valutazione delle risultanze probatorie va sottolineato -come ha correttamente
rilevato la Corte d’appello che si tratta di vizio che attiene agli accertamenti in fatto compiuti dagli arbitri, non riconducibile, pertanto, alla violazione delle regole di diritto di cui al comma 2 dell’art. 829 c.p.c. (secondo la formulazione precedente la riforma del 2006, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame). Secondo i principi enunciati da questa Corte, infatti, la denuncia di nullità del lodo arbitrale per inosservanza delle regole di diritto in iudicando è ammissibile solo se circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (tra le altre, Cass. n. 16559/2020).
Quanto alla violazione delle regole di diritto relative alla interpretazione del contratto di appalto e della sua appendice, va ricordato che ‘l’accertamento dell’accordo delle parti si traduce in indagine di fatto affidata al giudice del merito e quindi, nel caso di arbitrato, agli arbitri’, e tale accertamento è sì censurabile di fronte al giudice dell’impugnazione ex art. 829 c.p.c. per violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ma ‘colui che impugna il lodo non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli indicati, ma deve specificare i canoni in concreto violati, nonché il punto e il modo in cui l’arbitro si sia da essi discostato’; a sua volta, il controllo da parte di questa Corte è limitato a verificare se la corte territoriale abbia esaminato la censura relativa alla violazione delle norme di legge sulla interpretazione dei contratti e abbia motivato la soluzione adottata (in tali termini Cass. n. 8049/2011; v. pure da ultimo Cass. n. 3260/2022).
Nel caso di specie, da un lato il motivo di ricorso è generico laddove si è limitato a parlare di violazione di regole sull’interpretazione del contratto, senza precisare di quale regola avesse denunciato la violazione davanti alla Corte d’appello, specificando i canoni in concreto violati, nonché il punto e il modo in cui gli arbitri si era da essi discostato. Dall’altro lato la Corte
d’appello ha dato atto della censura (v. la pag. 4 della sentenza impugnata) e l’ha rigettata, affermando ‘che non può ravvisarsi una nullità del lodo per preteso errore nell’interpretazione del contratto’; tale affermazione ha argomentato, valorizzando il testo del contratto del 15 maggio 2003 e la descrizione dettagliata e precisa delle opere da realizzare nei relativi elaborati tecnici, nonché la volontà manifestata dalle parti nell’appendice del 25 maggio 2005 (pagg. 8 e 9 della sentenza).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 15.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione