Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 866 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 866 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11410/2018 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE MODENA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonchè
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
avverso SENTENZA CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 643/2017 depositata il 13/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti e ragioni della decisione
La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 643/2017, pubblicata il 13 marzo 2017, ha rigettato l’impugnazione del lodo arbitrale collegiale deliberato l’11 gennaio 2008 relativo al contratto di appalto concluso fra la AUSL di Modena e la RAGIONE_SOCIALE costituita dalla RAGIONE_SOCIALE con la società RAGIONE_SOCIALE e con la società RAGIONE_SOCIALE in data 12 Ottobre 2004 che era stato impugnato dalla AUSL di Modena.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione la AUSL di Modena, affidato a sei motivi al quale ha resistito la RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE costituita dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non si sono costituite. Le parti costituite hanno depositato memorie.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 21 dicembre 2023.
Premesso che il ricorso non incorre nel vizio di inammissibilità prospettato dalla controricorrente per l’uso della tecnica del c.d. assemblaggio degli atti, apparendo non calzante il richiamo operato dalla controricorrente a quanto affermato anche da Cass. n. 22185/2015 in tema di assemblaggio di atti processuali. Ed infatti, nel caso di specie non si ravvisa l’incomprensibilità del mezzo processuale, fatta salva la successiva verifica in ordine alla specificità dei singoli motivi di ricorso.
Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti. La Corte di appello avrebbe omesso di adottare una pronunzia sui gravi episodi corruttivi accertati fra il c.t.u. e il consulente di parte della Credendino in diversi appalti pubblici, benché tali elementi fossero stati rilevati negli atti del giudizio appena divenuti di dominio pubblico.
Il motivo è inammissibile.
Ed invero, la censura prospetta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di contraddittorio, sostenendo che la Corte di appello avrebbe tralasciato di esaminare il contenuto della comparsa conclusionale e della memoria di replica della controparte, all’interno delle quali sarebbero stati affrontati argomenti inerenti lo svolgimento della c.t.u. innanzi agli arbitri, i rapporti fra consulente di parte e c.t.u. e numerose altre questioni che avrebbero avuto rilievo ai fini della valutazione in ordine all’ammissibilità dei motivi di impugnazione.
Occorre chiarire che la questione oggetto del motivo non venne sollevata nell’atto di impugnazione del lodo innanzi alla Corte di appello ma, appunto, in comparsa conclusionale e dunque senza che fosse oggetto di contraddittorio.
Ora, è evidente che la censura si appunta sulla valutazione di atti processuali e di comportamenti dell’ausiliare del giudice (nel caso di specie, degli arbitri) e del consulente di una parte dell’appaltatore che fuoriescono dalla nozione di fatto che la giurisprudenza di questa Corte è andata tratteggiando a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 3083 e 3084 del 2014, poi chiarendo ulteriormente che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo -cfr. Cass. n. 22397/2019-.
Peraltro, si è anche aggiunto che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie- cfr. Cass. n. 27415 del 29/10/2018-. Per omesso esame di “un fatto decisivo per il giudizio” si intende dunque un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate cfr. Cass. n. 2268/2022-.
Ne consegue che la censura sull’operato del c.t.u. nominato dal collegio arbitrale -qualificata dala stessa ricorrente come ‘questione’ a pag.11, 2^cpv., del ricorso per cassazione – sulla quale si incentra il motivo di ricorso non integra un fatto alla stregua dell’art.360 c.1 n.5 c.p.c. Senza dire che la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la censura sulla parziale nullità della c.t.u. -cfr. pag. 14, 1^ cpv., sent. impugnata- e che per tale ragione il motivo risulta in realtà inammissibilmente rivolto a
prospettare una violazione di legge attraverso la censura sussunta nel n. 5 dell’art. 360 c.1 c.p.c., ipotizzandone la ricorrenza sulla base di presupposti come detto non coerenti con il diritto consolidato di questa Corte a proposito della nozione di ‘fatto’ indicata dal n. 5 dell’art. 360 c.1 c.p.c.
V’è in ogni caso da osservare che la ricorrente non ha prospettato un vizio di nullità della sentenza per violazione di natura processuale.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 823 n.5 e 829 n.5 c.p.c. nella versione vigente ratione tempo ris, introdotta dalla l. n. 28/1983, anteriore alle modifiche introdotte dall’art.23 del d.lgs. n. 40/2006.
La Corte di appello, nel ritenere infondata la censura, avrebbe esposto un ragionamento viziato e perplesso, ritenendo che la proposta impugnazione del lodo innanzi alla Corte di appello di Bologna da parte dell’ASL dimostrava che la sede arbitrale era stata indicata con certezza. Il giudice di appello non avrebbe considerato che la impugnante avrebbe giustificato l’impugnazione innanzi alla Corte di appello di Roma, pure tralasciando la circostanza che il lodo era stato reso esecutivo con decreto del Tribunale di Bologna; ciò che avrebbe reso necessario valutarne la competenza. Ragion per cui non poteva ritenersi, come affermato dalla Corte di appello, che rispetto alla censura proposta la ricorrente fosse carente di interesse.
La censura è inammissibile poiché la Corte di appello ebbe a valutare il motivo di impugnazione relativo alla omessa indicazione o contraddittoria indicazione della sede dell’arbitrato, riportando le doglianze esposte dalla impugnante in ordine alle plurime indicazioni che dal lodo sarebbero emerse rispetto alla sede dell’arbitrato.
Ora, la Corte di appello ha rigettato il motivo di impugnazione, con il quale era stata denunciata l’omessa o contraddittoria indicazione della sede dell’arbitrato ritenendo che il lodo indicava con chiarezza la sede coincidente all’inizio del giudizio a Modena e successivamente a Bologna su accordo delle parti- in tal modo escludendo ogni rilievo al luogo della firma del lodo, in quanto successivo alla deliberazione, a nulla rilevandola sede di Roma come luogo di invio degli atti e di firma del lodo (successivo alla deliberazione) e non dell’udienza o delle conferenze personali.
Orbene, la censura prospetta una violazione di legge non ricorrente nel caso di specie, avendo il giudice di appello escluso l’illegittimità del lodo per incerta individuazione della sede dell’arbitrato, in realtà aggredendo la motivazione della sentenza impugnata in modo generico e non coerente con la nuova formulazione del vizio -nemmeno peraltro prospettato nel motivodisciplinato dall’art. 360, c.1, n.5, il quale ha eliminato le ipotesi di motivazione omessa o contraddittoria, residuando soltanto come vizio processuale quello della motivazione apparente come tratteggiata dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze già ricordate nn. 3083 e 3084 del 2014.
Né può essere considerata la circostanza relativa al luogo di deposito del lodo che non risulta dedotta in origine nel motivo di impugnazione proposto innanzi alla Corte di appello e che non può dunque incidere in alcun modo sulla correttezza in diritto della decisione che ha ritenuto sfornita di interesse la censura, ritenuta strumentale, della ricorrente che aveva impugnato il lodo.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c.
La Corte di appello, nel ritenere che il lodo avesse dato come giustificazione assorbente della illegittimità della risoluzione del contratto di appalto l’esclusione di qualsiasi ritardo rispetto al tema
della recuperabilità del ritardo, avrebbe interpretato il lodo in violazione dei canoni ermeneutici indicati nella rubrica del motivo, tralasciando altre parti del lodo che deporrebbero, secondo la ricorrente, nel senso opposto rispetto a quello ritenuto dalla Corte di appello, in quanto il collegio arbitrale non avrebbe escluso la sussistenza del ritardo bensì la sola possibilità per la stazione appaltante di accertarlo al 26 maggio 2005 (data di avvio del procedimento di risoluzione).
Occorre premettere che l’interpretazione della portata e del contenuto del lodo arbitrale costituisce una tipica indagine di fatto affidata al giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per violazione dei canoni ermeneutici, che il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente, ovvero per vizio della motivazione, configurabile nel caso in cui la motivazione manchi del tutto ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da contraddizioni logiche tali da rendere impossibile la individuazione o la comprensione della “ratio decidendi” che sorregge la decisione- cfr. Cass. n. 17801 del 06/09/2005-.
Ciò posto, la censura proposta dalla ricorrente è inammissibile, non considerando la natura giurisdizionale della pronunzia arbitrale che le Sezioni Unite della Corte hanno da tempo individuato come caratteristica essenziale del lodo, superando percorsi interpretativi diversi.
Ed invero, a partire da Cass. S.U. n. 24153/2013 si è ritenuto che l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Da qui l’impraticabilità di un’opzione interpretativa che ritiene applicabili al lodo le regole dell’ermeneutica negoziale, dovendosi appunto ritenere che i vizi del provvedimento arbitrale afferiscono a quelli
propri dell’atto giurisdizionale e come tali devono essere prospettati innanzi al giudice dell’impugnazione del lodo, al quale spetta di verificare unicamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la conformità a legge del provvedimento- cfr. Cass. S.U. n. 11501/2008, ove si è ritenuto che ai fini dell’interpretazione di provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e seguenti disp. prel. cod. civ., in ragione dell’assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), al pari del giudicato interno ed esterno e della sentenza rescindente, in quanto dotati di “vis imperativa” e indisponibilità per le parti; ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore. Ne consegue che non può disconoscersi, in atto, che “la vis normativa del provvedimento giurisdizionale (al quale è equiparabile il lodo, per quanto già detto n.d.r.) comporta che la correlativa esegesi debba essere coerentemente operata alla stregua della interpretazione delle norme e non di quella degli atti e dei negozi giuridici”- cfr. Cass. S.U. nn. 13916/2006 e 24664/07-.
Ne consegue l’inammissibilità della censura che si appunta sulla violazione dell’interpretazione del lodo operata dalla Corte di appello evocando parametri normativi non pertinenti rispetto al contenuto della sentenza.
Il quarto motivo prospetta la violazione dell’art. 822 c.p.c. e degli artt. 129 e 165 DPR n. 554/1999, 16 RD n. 2440/1923, 31 DM n.45/00, 112 c.p.c., 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. La Corte di appello, ritenendo, in sintonia con quanto affermato dal collegio arbitrale, quali elementi ostativi alla configurazione del ritardo nell’esecuzione (e dunque alla risoluzione del contratto) della consegna parziale ed urgente delle sole opere di approvvigionamento ed ‘ incantieramento ‘ e la mancanza di
consegna definitiva, avrebbe avallato l’erronea interpretazione del quadro normativo richiamato in rubrica. Secondo la ricorrente le disposizioni normative indicate nel motivo avrebbero dovuto imporre ‘al collegio arbitrale di risolvere la riscontrata ambiguità letterale del verbale di consegna alla luce dell’inequivoco comportamento dell’impresa, che mai aveva opposto alcuna riserva all’individuazione espressa del termine finale dei lavori’. Inoltre la sentenza impugnata avrebbe poi omesso di pronunziarsi sulle censure, ritenendole erroneamente generiche ancorché il motivo avesse espresso le ragioni del riferimento alla mancata apposizione delle riserve da parte dell’appaltatore, correlate alla consapevolezza che il termine ultimo scadesse il giorno 28 luglio 2007 in relazione al verbale di consegna in via d’urgenza del 29 luglio 2004.
La censura è inammissibile, ove si consideri che per costante giurisprudenza di questa Corte la valutazione dei fatti dedotti e delle prove acquisite nel corso del procedimento arbitrale non può essere sindacata a mezzo dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, in base alla previsione di cui all’art. 829 c.p.c. nel testo anteriore all’entrata in vigore delle modificazioni introdotte mediante il d.lgs. n. 40 del 2006, in quanto tale valutazione è negozialmente rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri cfr. Cass. n. 27954/2022-. Ed è evidente che la censura intende appunto pervenire ad una diversa ricostruzione fattuale che questa Corte non può in alcun modo sindacare.
Ed infatti, è ferma questa Corte nel ritenere che in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, questa Corte non può esaminare direttamente il provvedimento degli arbitri, ma solo la pronuncia emessa nel giudizio di impugnazione, allo scopo di verificare se essa sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai profili di censura del lodo, con la conseguenza che
il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità dei motivi della sentenza resa sul gravame tenuto al pagamento delle penali per il ritardo – Cass. n . 10809/2015-.
In conclusione, la censura proposta tende a contestare l’accertamento e la valutazione operat e dal collegio arbitrale -e confermate dalla Corte di appelloin ordine all’assenza di ragioni che giustificavano il ritardo posto a base della risoluzione del contratto disposta dalla ricorrente, insistendo in definitiva sul particolare valore da attribuire al verbale di consegna ed inizio lavori in via d’urgenza e all’indicazione del termine finale. Valenza fattuale che, per converso, il collegio arbitrale non ha ritenuto in ragione della irrilevanza del detto verbale ai fini della decorrenza del termine di esecuzione dei lavori che è stato considerato, come già detto, decorrere dalla consegna definitiva. Il che dimostra che la censura non aggredisce la sentenza impugnata per un vizio di violazione di legge, piuttosto dolendosi che la Corte abbia avvalorato la ricostruzione fattuale e valutativa degli elementi probatori operata dal collegio arbitrale sulla quale, tuttavia, questa Corte come già detto non può svolgere alcun sindacato.
Né miglior sorte può avere la censura laddove prospetta la violazione dei canoni ermeneutici, attribuendo al collegio arbitrale ed alla Corte di appello la violazione delle regole ermeneutiche per le considerazioni sopra esposte, difettando peraltro di quella specificità che la censura in sede di ricorso per cassazione richiede rispetto alla contestazione della sentenza della Corte di appello resa in sede di impugnazione del lodo. Sul punto il Collegio condivide i principi espressi da Cass.23675/2013, secondo i quali nel giudizio, a critica vincolata e proponibile entro i limiti stabiliti dall’art. 829 cod. proc. civ., di impugnazione per nullità del lodo arbitrale vige la regola della specificità della formulazione dei motivi, attesa la sua natura rescindente e la necessità di consentire al giudice, ed alla
contro
parte, di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma, mentre, in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza conclusiva di quel giudizio, il sindacato di legittimità, diretto a controllarne l’adeguata e corretta sua giustificazione in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, va condotto soltanto attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione stessa. Pertanto, le censure proposte in cassazione non possono esaurirsi nel richiamo a principi di diritto, con invito a controllarne l’osservanza da parte degli arbitri e della Corte territoriale, ma esigono un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi per cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi, nonché l’esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti, illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, che precisino come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito. Requisiti che il motivo qui esaminato non contiene.
Quanto alla prospettata violazione dell’art. 16 R.D. n. 2440/1923 e dell’art. 129 del dPR n. 554/1999, la censura anche in questo caso tende a porre in discussione l’accertamento operato dal collegio arbitrale in ordine al momento dal quale era possibile fare decorrere il termine di esecuzione del contratto che non può in alcun modo essere esaminato da questa Corte, soprattutto dopo che la Corte di appello ha disatteso il motivo di impugnazione, ravvisando correttamente la genericità della stessa rispetto alla motivazione resa dal collegio arbitrale in ordine alla questione centrale della ricorrenza o meno del ritardo ed in relazione al momento dal quale il termine dovesse decorrere per la totalità dei lavori.
Ne consegue che la censura relativa al valore da attribuire al verbale di aggiudicazione definitiva rispetto al contratto rimane in
questa sede ampiamente superata al punto da risultare irrilevante una volta che la Corte di appello ha confermato la correttezza dell’operato degli Arbitri laddove avevano valutato gli elementi probatori dai medesimi scrutinati escludendo che il termine di esecuzione del contratto potesse iniziare a decorrere dalla consegna parziale ed in via di urgenza soltanto di alcuni dei lavori oggetto dell’appalto, dovendosi considerare piuttosto la data di consegna definitiva.
Né appare rilevante la ricostruzione alternativa operata dalla ricorrente tesa a contestare la correttezza dell’affermazione circa la consegna ritenuta parziale delle opere (pag.24 ricorso per cass.) proprio perché tende a prospettare un diverso accertamento fattuale rispetto a quello considerato dagli arbitri che non può essere oggetto di riesame né da parte del giudice dell’impugnazione del lodo, né tanto meno di questa Corte.
Anche la dedotta violazione dell’art. 822 c.p.c. in ordine alla natura equitativa della decisione del collegio arbitrale posta all’esame della Corte di appello e da questa puntualmente disattesa sulla base di un iter motivazionale completo ed esaustivo si sottrae alla verifica di legittimità e non può superare il vaglio di ammissibilità.
Con la stessa, invero, si contesta l’esercizio del potere decisorio da parte degli arbitri, ma non si offre alcuna indicazione sul contenuto equitativo che avrebbe caratterizzato la decisione arbitrale dopo che la Corte di appello ebbe puntualmente ad esplicitare le ragioni che condussero gli arbitri ad individuare le cause dell’illegittimità della risoluzione, agganciandole ai parametri normativi correttamente individuati e tuttavia ritenendo, sulla base delle valutazioni operate sul contenuto degli atti negoziali, che potesse ritenersi decorso il termine di esecuzione del contratto dal verbale di consegna in via urgente di parte dei lavori. Il che, ancora una
volta, impedisce qualunque sindacato di legittimità da parte di questa Corte.
Con il quinto motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 c.c. in relazione all’art. 360, c.1 n.3 c.p.c. La Corte di appello avrebbe errato nel considerare legittima la decisione del lodo con la quale era stata ritenuta la concessione di un’unica proroga di novanta giorni, omettendo di considerare che la stazione appaltante aveva concesso tre diverse proroghe di 30 giorni soggette a verifiche. Secondo la ricorrente la censura sul punto esposta in sede di impugnazione del lodo non sarebbe né generica né ininfluente rispetto al ragionamento degli arbitri, come invece ritenuto dalla Corte di appello. Inoltre, la Corte di appello avrebbe tralasciato di esaminare la comparsa conclusionale, non potendosi ritenere che gli arbitri erano giunti a tale conclusione sulla base di un ragionamento di puro diritto.
La censura è sotto più profili inammissibili.
Per un verso, la stessa non coglie la ratio decidendi poste a base della declaratoria di inammissibilità del motivo di impugnazione con la quale la Corte di appello, esaminando la censura sub lett.c) indicata al punto 3.2.4 della sentenza impugnata, ha escluso che fosse possibile ipotizzare un vizio basato sull’interpretazione dei contratti quanto alla ritenuta illegittimità del frazionamento in tre tranche della proroga di 90 giorni concessa dalla stazione appaltante, avendo il collegio arbitrale ‘ragionato in diritto sull’istituto della proroga e sulle circostanze che avevano indotto l’Amministrazione al frazionamento’.
Peraltro, secondo la Corte di appello la ricorrente non aveva spiegato perché sulla base degli artt. 1362,1363 1366 e 1367 c.c. la vera intenzione dell’Amministrazione fosse stata quella di negare la richiesta di proroga, né quali altre clausole il collegio aveva
omesso di considerare e che avrebbero potuto determinare un diverso esito della lite né in quale modo gli arbitri avrebbero peccato di mala fede né, ancora, ‘come l’atto unilaterale di proroga, se diversamente interpretato, avrebbe avuto un qualche effetto piuttosto che nessuno.’
Per altro verso, la censura non ha indicato quali parti dell’impugnazione contenessero specifiche censure in ordine al prospettato vizio di violazione dei canoni ermeneutici negoziali da parte degli arbitri. La Corte di appello, come pure ricordato dalla ricorrente, ebbe infatti ad affermare che la decisione degli arbitri sulla questione della proroga ‘non ha toccato le regole sull’interpretazione dei contratti del codice civile, la cui violazione l’impugnante vien denunciando’ nemmeno specificando il perché la volontà dell’amministrazione era quella di negare la richiesta di proroga nemmeno indicato quale altre clausole il collegio aveva omesso di interpretare o male interpretato, nemmeno esplicitando dove gli arbitri avevano agito in mala fede. Orbene, rispetto a tale motivazione, la ricorrente ha richiamato parti della comparsa conclusionale senza, dunque, specificamente offrire elementi pertinentidesumibili dall’atto di impugnazione – che potessero dimostrare l’erroneità della pronunziata inammissibilità del motivo da parte della Corte di appello.
Peraltro, è appena il caso di ricordare che in tema di interpretazione del contratto l’accertamento dell’accordo delle parti si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito e, quindi, nell’ipotesi di arbitrato, agli arbitri, e tale accertamento è censurabile in sede di controllo di legittimità, qual è quello esercitato, nella fase rescindente, dal giudice dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale ex art. 829 cod. proc. civ., soltanto nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dagli arbitri per giungere ad attribuire al contratto un determinato contenuto oppure per
violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ. Nella ipotesi in cui lamenti tale ultima violazione, colui che impugna il lodo non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli summenzionati, ma deve specificare i canoni in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui l’arbitro si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, traducendosi questa in sostanza nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità. La decisione della Corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge sulla interpretazione dei contratti può essere censurata, a sua volta, con ricorso alla Corte di cassazione, alla quale spetterà soltanto di verificare se la Corte territoriale abbia esaminato tale censura e dato della soluzione adottata adeguata e corretta motivazione -cfr. Cass. n. 12550/2000, Cass. n. 25623/2007-.
In definitiva, la censura qui esaminata non ha nemmeno aggredito ritualmente la ritenuta inammissibilità della censura sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici.
Il motivo, per converso, ha introdotto o elementi fattuali che si sottraggono totalmente all’esame di questa Corte, né spiega in modo dettagliato e specifico gli errori interpretativi nei quali sarebbe incorsa la pronunzia arbitrale e gli errori a sua volta commessi dalla Corte di appello nel ritenere inammissibili le censure. Il tutto senza poi considerare che nella censura si prospettano all’interno del motivo rubricato come violazione degli artt. 1362 ss c.c. censure in ordine al mancato esame di atti processuali
Con il sesto motivo la ricorrente prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 829 n. 4 c.p.c. nonché quello di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Secondo la ricorrente la Corte di appello avrebbe ritenuto l’inammissibilità della censura di omessa pronunzia sulla eccezione di nullità parziale della c.t.u. senza considerare che si trattava di doglianza attinente una questione di merito -incidenza ai fini del ritardo dei lavori accumulato da Credendino prima della risoluzione dell’andamento delle lavorazioni impiantistiche e di quelle edili – e che il lodo, anche se avesse rigettato l’eccezione espressamente e motivatamente, sarebbe stato comunque affetto da vizio ‘per non avere svolto accertamenti decisivi per la soluzione dei quesiti sottoposti al collegio arbitrale’ come espresso nell’atto di citazione in appello. I noltre, la Corte di appello avrebbe ‘nettamente frainteso il lodo, ritenendo che esso avesse escluso l’esistenza di alcun ritardo invece di averla acclarata’. La Corte di appello, considerando non rilevante l’andamento delle lavorazioni impiantistiche e decisivo per l’esito del giudizio, avrebbe addossato un onere insormontabile ed irragionevole alla ricorrente, concernente l’esatta quantificazione dei giorni di ritardo che appariva peraltro irrilevante essendo stata l’esistenza del ritardo già accertata dagli arbitri e non contestata dalla società appaltatrice. Senza dire che agli atti sarebbe risultata l’esistenza di ogni elemento necessari per svolgere una propria valutazione sulla rilevanza del conteggio separato delle valutazioni impiantistiche.
La censura è inammissibile.
Ed invero, la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la censura formulata sulla base della prospettata violazione dell’art. 829 n.4 c.p.c., ritenendo che la stessa, in realtà, contestasse il merito delle conclusioni della c.t.u. rispetto a taluni accertamenti (in ordine alla incidenza sul ritardo dell’andamento dei lavori degli impianti) e che
sotto tale profilo l’impugnazione involgeva la questione della sufficienza della prova.
La Corte di appello ha poi aggiunto che la doglianza innanzi alla stessa proposta doveva essere intesa come rivolta a contestare il peso che il ritardo dell’appaltatrice aveva avuto nell’economia complessiva del contratto, rimanendo dunque svalutata dalle conclusioni alle quali era giunto il collegio arbitrale in ordine all’esclusione del ritardo in ragione del significato attribuito al verbale del 29 luglio 2004 relativo alla consegna parziale dei lavori.
Da ciò derivava l’irrilevanza della questione dell’asserito mancato accertamento dei lavori relativi agli impianti, non avendo nemmeno la impugnante indicato il ritardo dipendente dai lavori di impiantistica.
Orbene, appare evidente l’inammissibilità del motivo di impugnazione che prospetta la violazione dell’art. 829 n.4 c.p.c. senza minimamente confrontarsi con la decisione impugnata e, per altro verso, ipotizzando un vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio non ricorrente nel caso di specie. Ed infatti, la Corte di appello ha ritenuto che la questione dei ritardi nei lavori di impiantistica non aveva avuto un peso decisivo sulle valutazioni espresse dagli arbitri in ordine alla illegittimità della risoluzione del contratto in ragione della rideterminazione del termine di esecuzione dei lavori. Ne consegue che il fatto dedotto come omesso dalla Corte è stato in realtà esaminato e non considerato decisivo ai fini della decisione. Ciò che esclude l’ipotizzato vizio di omesso esame.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma
1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in euro 8.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso il 21 dicembre 2023 nella camera di consiglio della