Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6259 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6259 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 28047/2022
promosso da
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in VeronaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, cha la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 1599/2022 della Corte d’appello di Venezia, pubblicata il 12/07/2022 e notificata il 16/09/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il lodo pronunciato in data 27/02/2018, il Collegio arbitrale, nominato su istanza di RAGIONE_SOCIALE
s.n.c. (di seguito S.I.RAGIONE_SOCIALE), in parziale accoglimento delle domande proposte dalla società nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, accertava la responsabilità ex art. 2260, comma 2, c.c. del convenuto e lo condannava a risarcire il danno provocato alla società, quantificato nell’importo di € 1.326.845,02, oltre interessi e rivalutazione.
Avverso tale pronuncia proponeva impugnazione il COGNOME, chiedendo l’accertamento della nullità del lodo per violazione delle disposizioni di cui all’art. 829 c.p.c. sotto vari profili.
Si costituiva la società chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte d’appello di Venezia accoglieva in parte l’impugnazione, dichiarando la nullità parziale del lodo: -in relazione al punto B della motivazione, rigettando la domanda di risarcimento del danno nella misura eccedente la complessiva somma di € 226.845,06; -in punto ‘rivalutazione’, rigettando la relativa domanda; in punto ‘interessi’, condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento degli interessi legali sulla somma liquidata di € 226.845,06 da calcolarsi dal 17/02/2010 al saldo.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidato a due motivi di doglianza.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto erroneamente applicabile alla fattispecie la norma nella sua formulazione precedente alla riforma del 2006, che prevedeva l’impugnabilità del lodo per violazione di legge senza necessità di espressa previsione, anziché la norma dell’art. 829 c.p.c. attualmente vigente, come invece avrebbe dovuto, la quale avrebbe reso inammissibili tutti i motivi di ricorso dell’appellante, compresi quelli accolti dalla Corte d’appello di Venezia, in ragione
del fatto che la clausola arbitrale non prevedeva espressamente l’impugnabilità del lodo per violazione di legge.
Nella sentenza impugnata si legge quanto segue: «Sempre in via preliminare, va precisato che la disciplina applicabile è quella prevista dall’art. 829, comma 3, c.p.c. che così recita: ‘l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposto dalle parti o dalla legge’. Nel caso di specie, in cui il contratto contenente la clausola compromissoria risale all’aprile del 1976, riprodotta nel contratto 1/12/1982, deve ritenersi, in conformità a quanto previsto dalla SC, che nel momento della stipula le parti, con il loro silenzio rispetto alla violazione delle regole di diritto, abbiano inteso fare riferimento alla disciplina vigente in quel momento che consentiva l’impugnazione nel merito senza necessità di espressa previsione (cfr. Cass. SU 9284/16; Corte Cost. n.13/18).»
Parte ricorrente ha richiamato la clausola compromissoria contenuta nell’art. 14 del contratto sociale di RAGIONE_SOCIALE, la quale recita come segue: «qualunque contestazione dovesse sorgere tra i soci e la società, in relazione alla esecuzione ed interpretazione del presente contratto, verrà devoluta alla cognizione di un collegio arbitrale composto di tre membri di cui due nominati dalle parti ed il terzo nominato dai primi due ed in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale di Trento su istanza della parte più diligente, sentita la controparte.»
La stessa parte ha, però, aggiunto che, nel verbale di costituzione del collegio arbitrale del 27/02/13 (riportato integralmente a pag. 7 e 8 della comparsa conclusionale della RAGIONE_SOCIALE nel giudizio davanti alla Corte d’appello), sottoscritto da tutte le parti e dai rispettivi difensori, era stato espressamente previsto, al punto B-6, che la decisione degli arbitri avrebbe dovuto essere secondo diritto e soggetta alle impugnazioni di cui all’art.
827 ss. c.p.c., così compiendo le parti in lite una nuova pattuizione, assoggettata alla disciplina vigente al momento del suo compimento, di cui la Corte di merito avrebbe dovuto tenere conto.
La stessa ricorrente ha peraltro aggiunto che il vizio descritto avrebbe potuto essere configurato anche sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non avendo la Corte d’appello minimamente motivato sull’eccezione avanzata dalla difesa della società nella sua comparsa conclusionale, ove, come appena evidenziato, aveva affermato che nel verbale di costituzione del Collegio arbitrale le parti avevano pattuito delle regole integrative alla clausola compromissoria, che comportavano l’applicazione della disciplina attualmente vigente.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c. in relazione agli artt. 2260, comma 2, c.c.. e 2381 c.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente applicato la norma contenuta nell’art. 829 c.p.c., non rilevando una violazione di legge, in riferimento agli artt. 2260, comma 2, e art. 2381 c.c., ma semplicemente sostituendo la propria valutazione del materiale probatorio a quella effettuata dal Collegio Arbitrale, decidendo cioè come se si fosse trattato di operare un semplice riesame del merito della vicenda, piuttosto che di rilevare una violazione di legge.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Parte ricorrente ha dedotto di avere già spiegato in comparsa conclusionale, nel giudizio deciso dalla Corte d’appello, che la clausola compromissoria contenuta nell’art. 14 dei patti sociali era stata integrata dagli accordi intercorsi al momento della costituzione del collegio arbitrale, tenuto conto che nel relativo verbale del 27/02/13 (riportato integralmente a pag. 7 e 8 della menzionata comparsa conclusionale), sottoscritto da tutte le parti e dai rispettivi difensori, era espressamente previsto, al punto B-6,
che la decisione degli arbitri avrebbe dovuto essere secondo diritto e soggetta alle impugnazioni di cui all’art. 827 ss. c.p.c.
Non ha tuttavia spiegato per quali argomenti tali generiche indicazioni contenute nel verbale di costituzione del collegio arbitrale avrebbero dovuto essere interpretate come accordi modificativi e integrativi della clausola compromissoria, che pure, per come strutturata, imponeva agli arbitri di decidere secondo diritto con un lodo suscettibile di impugnazione ai sensi delle norme menzionate, rivelandosi il motivo generico e meramente assertivo in contrasto dovere di specificità sancito dall’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
3.2. La censura è inammissibile anche nella parte in cui è dedotto che la critica mossa alla decisione poteva essere considerata come un motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 2, n. 5, c.p.c., quale omesso esame di un fatto decisivo, discusso in contraddittorio tra le parti, tenuto conto che -a prescindere dalla mancata formulazione di uno specifico motivo di ricorso per cassazione, di per sé causa di inammissibilità per violazione del già menzionato art 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -comunque non è illustrata la decisività del fatto asseritamente non considerato, riconducibile alle dichiarazioni contenute nel verbale di costituzione del collegio arbitrale, tenuto conto che la valenza di tali indicazioni nei termini di pattuizioni integrative o modificative delle pattuizioni contenute nella clausola compromissoria, come appena evidenziato, non è stata in alcun modo argomentata.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile non avendo la parte colto la ratio decidendi della statuizione nella parte in cui ha parzialmente accolto l’impugnazione del lodo.
Dalla lettura della sentenza si evince chiaramente che la Corte d’appello ha ritenuto il lodo emesso in violazione dell’art. 2260 c.c. nella parte in cui ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’intimato per l’effetto di una valutazione che costituiva un
inammissibile sindacato sulle scelte di gestione (cd. business judgement rule ).
La Corte di appello ha, quindi, valutato i fatti già giudicati dal collegio arbitrale, rilevando la sussistenza di detta violazione di legge. Non ha compiuto, in sintesi, un accertamento in fatto, ma una valutazione giuridica dei fatti accertati.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte, che liquida in € 18.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge; , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione