Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27335 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 27335 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2997/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE -intimata-
e
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -interveniente- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2934/2021 depositata il 23/11/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Procuratore Generale, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Sentito l’AVV_NOTAIO su delega AVV_NOTAIO per l’interventore che ha concluso riportandosi all’atto di intervento e ha precisato che è intervenuta delibera di ammissione al patrocinio a spese RAGIONE_SOCIALE Stato.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2934/2021, pubblicata il 23/11/2021, disattese le eccezioni preliminari sollevate da RAGIONE_SOCIALE, ha respinto l’impugnazione avverso il lodo arbitrale del 9 dicembre 2015, con il quale si era dichiarato che la RAGIONE_SOCIALE era debitrice, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di euro 53.792,50, quale corrispettivo RAGIONE_SOCIALE prestazioni indicate nelle fatture n. 14/2012 e 16/2012, condannandola al relativo pagamento, ma che tale società nulla doveva a titolo di differenza tra corrispettivi corrisposti e quelli minimi previsti dal citato art. 83bis d.l. n. 112/2008, in relazione ai RAGIONE_SOCIALE effettuati dal 2009 fino al 2012, in forza di una convenzione di trasporto con la RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE aveva impugnato il lodo, chiedendo la condanna della controparte al pagamento della ulteriore somma di euro 560.020,95, ai sensi dell’art. 83 -bis d.l. n. 112/2008.
La Corte d’appello di Bologna, premesso che la clausola arbitrale era contenuta nelle convenzioni di trasporto del 20 agosto 2009 e del 20 febbraio 2012, stipulate successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 40/2006 e che la impugnazione è pertanto disciplinata dall’art. 829 cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006, ha osservato che le clausole arbitrali de quibus non contemplano espressamente l’impugnabilità del lodo per violazione RAGIONE_SOCIALE regole di diritto relative al merito della controversia e che la
denunciata erronea applicazione o interpretazione dell’art. 83 -bis d.l. n. 112/2008 costituisce motivo di impugnazione non ammesso dal terzo comma dell’art. 829 cod. proc. civ.
La Corte territoriale, quanto alla doglianza dell’appellante secondo la quale la violazione dell’art.83 bis d.l. 112/2008 determinerebbe un contrasto con l’ordine pubblico, avendo inteso il legislatore tutelare con tale disposizione la sicurezza stradale e il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti, ha ritenuto l’assunto infondato, rimarcando, al riguardo, che la nozione di ordine pubblico, cui rinvia l’art.829, comma 3, c.p.c., non coincide sic et simpliciter con le norme inderogabili dell’ordinamento, dovendosi distinguere nel nostro ordinamento tra violazione dell’ordine pubblico e violazione di norme imperative. La nozione di ordine pubblico cui rinvia l’art.829, comma 3, c.p.c. coincide con le norme fondamentali dell’ordinamento e va escluso che la norma in oggetto costituisca una norma fondamentale dell’ordinamento giuridico. Quanto alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 47/2018, invocata dall’appellante, essa non afferma che la violazione dell’art.83 bis citato « rechi necessariamente con sé un pericolo per la sicurezza stradale »; inoltre la disposizione in esame è stata abrogata dalla L. 190/2014 e non è concepibile l’abrogazione dall’ordinamento giuridico di una sua norma fondamentale.
Avverso la suddetta pronuncia, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, notificato il 14/1/2022, affidato a unico motivo, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (che non svolge difese).
È intervenuta, con comparsa dell’ottobre 2024, la Liquidazione giudiziale di RAGIONE_SOCIALE, dichiarata aperta con sentenza del 5/12/2023 del Tribunale di Salerno.
Con ordinanza interlocutoria n. 6519/2025, pubblicata l’11/3/2025, la Terza Sezione RAGIONE_SOCIALE della Corte di Cassazione ha rinviato la
causa a RAGIONE_SOCIALE, disponendo la trasmissione alla Prima Civile del ricorso, vertendo la lite su impugnazione di lodo arbitrale per contrarietà all’ordine pubblico, materia riservata alla competenza tabellare della Prima Sezione RAGIONE_SOCIALE di questa Corte.
Il P.G. ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso.
Vi è memoria della liquidazione giudiziale, interveniente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La ricorrente lamenta, con l’unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 cod. proc. civ. e dell’art. 83 -bis d.l. n. 112/2008, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc.civ., sostenendo che la Corte territoriale non avrebbe considerato, anche alla luce della giurisprudenza unionale e, in particolare, della sentenza della Corte di giustizia del 4 settembre 2014 e della successiva sentenza del 21 giugno 2016, che la norma di cui al richiamato art. 83-bis ha natura inderogabile, con la conseguenza che sarebbe ammissibile l’impugnazione della decisione arbitrale per error in iudicando , risultando del tutto ininfluente la circostanza che le parti non l’abbiano espressamente stabilito nella clausola arbitrale.
La ricorrente, per sostenere l’ammissibilità dell’estensione del thema decidendum alla violazione RAGIONE_SOCIALE regole di diritto relative al merito della controversia, ai sensi dell’art.829 c.p.c., post Riforma 2006, assume la necessità di integrare il contenuto del regolamento del contratto di trasporto per cui è causa, previa applicazione dell’art 1374 c.c., con la norma, ritenuta imperativa e quindi di natura inderogabile, di cui all’articolo 83-bis, quarto comma, della legge n. 133/2008, di conversione con modifiche del d.l. n. 112/2008, vigente all’epoca della conclusione del contratto e successivamente abrogata, nella parte in cui prevede che « Al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell’RAGIONE_SOCIALE merci per conto terzi, nel contratto di trasporto stipulato in forma scritta ai sensi dell’articolo 6 del d.lgs.
n. 286/2005, l’importo a favore del vettore deve essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi d’esercizio che garantiscano comunque il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti ».
Assume la ricorrente (e l’interveniente aderisce) che la norma (sostanziale), di cui ha fatto malgoverno la Corte territoriale bolognese, ha natura inderogabile ed imperativa e tanto si desume anche dalla mera lettura del testo, in quanto essa contiene un obbligo non eludibile dalle parti, concepito in modo da creare le condizioni per l’applicazione dell’art. 1374 c.c. in tema di integrazione della fonte negoziale, e che i valori sociali ed economici, che nella fattispecie il Legislatore nazionale ha inteso tutelare, sono di rango costituzionale, come del resto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 47/2018.
Il valore costituzionale tutelato dalla disposizione, tanto che si è ritenuto recessivo il principio dell’iniziativa economica, è quello della sicurezza stradale.
E si richiama altra pronuncia della Corte Costituzionale, ove si è affermato che « l’esigenza, connessa alla strutturale pericolosità dei veicoli a motore, di assicurare l’incolumità personale dei soggetti coinvolti nella loro circolazione (conducenti, trasportati, pedoni) certamente pone problemi di sicurezza, e così rimanda alla lett. h del secondo comma dell’art. 117, che attribuisce alla competenza statale esclusiva la materia ordine pubblico e sicurezza » (cfr. C. cost. n. 428/2004).
La ricorrente (e l’interveniente adesiva) prospetta l’inclusione della previsione di cui all’articolo 83-bis nel novero RAGIONE_SOCIALE norme di ordine pubblico sulla premessa che la nozione relativa debba essere delineata in modo estensivo, sì da comprendere tutte le norme che si risolvono in una limitazione dell’autonomia negoziale dei privati, nel caso di specie nella prospettiva di assicurare la sicurezza RAGIONE_SOCIALE persone nella circolazione stradale e la tutela dell’incolumità
personale, sicurezza e tutela preservati dall’ inderogabilità dei costi minimi di esercizio dell’impresa di RAGIONE_SOCIALE per conto terzi.
Quanto alla pronuncia, erroneamente richiamata nel lodo arbitrale, con ragionamento avallato dalla corte territoriale, della Corte di Giustizia n. 184/2013, l’interveniente evidenzia che la CGEU ha dichiarato la sussistenza del contrasto fra la norma nazionale e quella comunitaria solo nella parte in cui aveva demandato la determinazione dei costi minimi dei servizi ad un organismo (l’RAGIONE_SOCIALE) composto principalmente dai rappresentanti degli operatori economici interessati (e non da un ente statale).
Ma, si assume, l’RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE è circoscritta al periodo ottobre 2011/giugno 2012, tant’è che, con l’entrata in vigore del D.L. n. 95 del 6/7/2012, è stato soppresso l’RAGIONE_SOCIALE con l’assegnazione RAGIONE_SOCIALE relative funzioni al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (organo, dunque, statale).
Il Collegio Arbitrale, senza operare alcun approfondimento sul punto, ha ritenuto del tutto erroneamente di disapplicare in toto l’art. 83 bis del D.L. 112/2008, tralasciando di considerare che le fatture per cui è causa riguardavano servizi resi nel corso del 2009, del 2010, del 2011 e solo in parte del 2012.
2. Sull’ammissibilità dell’intervento in giudizio della Liquidazione Giudiziale della RAGIONE_SOCIALE, l’interveniente, anche in memoria, richiama l’orientamento giurisprudenziale, da ultimo espresso con la pronuncia n. 30785/2023, con la quale questa Corte, valorizzando le argomentazioni poste a base dell’approccio critico rispetto alla tesi che riteneva inammissibile l’intervento volontario nel giudizio di legittimità, ha statuito che «… è da ritenersi che in caso di fallimento della parte, l’esclusione dell’operatività del meccanismo di interruzione del giudizio di legittimità non comporti di per sé una preclusione alla possibilità per la Curatela della procedura di intervenire nel giudizio », avendo peraltro precisato che « il diverso ruolo rivestito dalla curatela rispetto all’imprenditore
in bonis -agendo quest’ultimo unicamente nel proprio interesse ed agendo invece la curatela nell’interesse della massa dei creditori vale a fondare un autonomo interesse della Procedura ad intervenire spontaneamente nel giudizio di legittimità per supportare, pur non potendole modificare, le tesi difensive originariamente dedotte dall’imprenditore in bonis, pena -diversamente opinando -un non giustificato vulnus alle facoltà difensive della Procedura, del tutto estromessa dal giudizio di legittimità, senza poter far valere alcuna facoltà anche solo argomentativa ».
In punto di interesse, l’interveniente chiarisce, aderendo ai motivi di ricorso originariamente formulati dalla RAGIONE_SOCIALE in bonis , che, in caso di accoglimento del gravame, la curatela potrà incrementare l’attivo da conferire a riparto.
Preliminarmente, l’intervento in giudizio della Liquidazione giudiziale di RAGIONE_SOCIALE è ammissibile.
Secondo un primo orientamento, verificatosi il fallimento di una RAGIONE_SOCIALE parti, pendente il giudizio di legittimità, l’intervento del curatore del Fallimento, successivo alla notificazione ed al deposito del ricorso per cassazione, non può ritenersi ammissibile, avuto riguardo all’impulso di ufficio che contraddistingue il giudizio di legittimità, il quale esclude l’operatività dell’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 e ss. cod. proc. civ., con la conseguenza che, restando irrilevanti i mutamenti intervenuti nella capacità di stare in giudizio di una RAGIONE_SOCIALE parti, e non essendo ipotizzabili gli adempimenti di cui all’art. 302 cod. proc. civ., il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito (cfr. Cass. 12/2/2021, n. 3630; Cass., 19/03/2014, n. 6329; Cass14/04/1999, n. 3697; Cass. 21/10/1995, n. 10989).
Tuttavia, si è successivamente affermato che il sopravvenuto fallimento di una RAGIONE_SOCIALE parti non determina l’interruzione del
giudizio di Cassazione, per cui non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare, essendo la fase di legittimità caratterizzata dall’impulso d’ufficio, ma che il curatore del fallimento e, dal 15/7/222, il curatore della liquidazione giudiziale possono intervenire nel processo per far valere i diritti della massa, sia pure nei limiti RAGIONE_SOCIALE residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Cass. 6/11/2023 n. 30785), senza potere tuttavia rinunciare al ricorso già proposto dalla parte prima dell’apertura della propria procedura concorsuale (Cass. 13/3/2024 n. 6642, con la quale si è evidenziata la difficoltà di concepire il potere del curatore di rinunciare al ricorso, atteso che il processo prosegue nei confronti RAGIONE_SOCIALE parti originarie, e considerando vieppiù che il difensore della parte fallita nel corso del giudizio di cassazione conserva il potere di rappresentare il suo assistito nel processo).
Nella pronuncia citata n. 30785 si è rimarcato che « il diverso ruolo rivestito dalla curatela rispetto all’imprenditore in bonis agendo quest’ultimo unicamente nel proprio interesse ed agendo invece la curatela nell’interesse della massa dei creditori vale a fondare un autonomo interesse della Procedura ad intervenire spontaneamente nel giudizio di legittimità per supportare, pur non potendole modificare, le tesi difensive originariamente dedotte dall’imprenditore in bonis, pena diversamente opinando -un non giustificato vulnus alle facoltà difensive della Procedura, del tutto estromessa dal giudizio di legittimità, senza poter far valere alcuna facoltà anche solo argomentativa »; così, avendo la discussione orale in udienza « funzione meramente complementare », la discussione orale -per tacere del deposito RAGIONE_SOCIALE memorie ex art. 378 o 380-bis.1 c.p.c. -costituisce comunque estrinsecazione del diritto di difesa, normativamente prevista, e quindi necessitante di adeguata garanzia, senza alcuna svalutazione.
In senso conforme si è espressa anche Cass. 22/4/2025 n. 10548.
Va pertanto dichiarato ammissibile l’intervento in giudizio della Liquidazione giudiziale di RAGIONE_SOCIALE, sia pure nei limiti sopra chiariti.
Tanto premesso, l’unica censura del ricorso è infondata.
4.1. Con la riforma di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, l’art. 829 c.p.c. prevede -rovesciando la regola precedente che consentiva « sempre » l’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto, tranne le ipotesi in cui le parti avessero autorizzato decisioni secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile – che « l’impugnazione per violazione RAGIONE_SOCIALE regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge », con la precisazione che « è ammessa in ogni caso l’impugnazione RAGIONE_SOCIALE decisioni per contrarietà all’ordine pubblico ».
Il legislatore ha scelto quindi di accrescere la stabilità del lodo, con la riduzione dell’ambito di operatività dell’impugnazione per violazione di norme sostanziali.
4.2. La clausola di ordine pubblico, cui rimanda in tema di impugnazione di lodo arbitrale l’art.829, comma 3, c.p.c., deve essere interpretata in senso restrittivo, come rinvio limitato alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento, escludendosi, in radice, una nozione « attenuata » di ordine pubblico, che coincide con il c.d. ordine pubblico interno e, cioè, con l’insieme RAGIONE_SOCIALE norme imperative (cfr.Cass. 3/4/224 n. 8718, con la quale si è affermato che non integrava una violazione dell’ordine pubblico quella pronuncia arbitrale che, con riferimento ad un contratto di appalto del servizio pubblico di manutenzione e gestione dell’impianto di illuminazione comunale, aveva dichiarato la nullità della clausola di adeguamento del canone per violazione degli artt. 7 e 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, che obbliga i contraenti ad inserire nei contratti pubblici di servizi e forniture una clausola di revisione periodica del prezzo, con le modalità di cui all’art. 7, trattandosi
semplicemente di norme imperative, rigettando tuttavia il ricorso, in quanto sulla questione dell’impugnabilità del lodo si era formato il giudicato interno).
Si deve, invero, distinguere tra ordine pubblico internazionale (o « in senso stretto ») ed ordine pubblico interno.
Si definisce come ordine pubblico internazionale quello formato dall’insieme di principi, desumibili dalla Carta costituzionale o, comunque, pur non trovando in essa collocazione, fondanti l’intero assetto ordinamentale siccome immanenti e più importanti istituti giuridici quali risultano dal complesso RAGIONE_SOCIALE norme inderogabili provviste del carattere di fondamentalità, che le distingue dal più ampio genere RAGIONE_SOCIALE norme imperative, tali da caratterizzare l’atteggiamento dell’ordinamento stesso in un determinato momento storico e a formare il cardine della struttura etica, sociale ed economica della comunità nazionale, conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia (Cass., 26 novembre 2004, n. 22332; Cass., 7 dicembre 2005, n. 26976; Cass., sez. 1, 28 dicembre 2006, n. 27592; Cass., 23 febbraio 2006, n. 4040; Cass., sez. 1, 20 gennaio 2006, n. 1183; Cass., sez. 1, 4 luglio 2013, n. 16755).
In tal senso si è espressa anche la Corte costituzionale rimarcando come l’ordine pubblico sia costituito dalle « regole fondamentali poste dalla costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici nei quali si articola l’ordinamento positivo nel suo adeguarsi all’evoluzione della società » (Corte cost. n. 18 del 1982). E la nozione di ordine pubblico internazionale è sempre più compenetrata RAGIONE_SOCIALE radici unionali, come nel caso di violazione RAGIONE_SOCIALE norme poste a tutela del consumatore (Cass., sez. 2, 6 maggio 2022, n. 14405), nella peculiare prospettiva per cui l’ordine pubblico da strumento di tutela dei valori nazionali, da opporre alla circolazione della giurisprudenza, diviene progressivamente « veicolo di promozione » della ricerca di principi comuni agli Stati
membri, in relazione diritti fondamentali (Cass., Sez.U., 5 luglio 2017, n. 16601).
L’ordine pubblico interno, invece, si rinviene nelle fattispecie in cui il rapporto è soggetto alla legge italiana e costituisce un limite all’autonomia negoziale dei privati – artt. 1343 e 1418 c.c. -(Cass., 28 dicembre 2006, n. 27592). L’ordine pubblico interno, si identifica con qualsiasi norma imperativa, come, in tesi, l’articolo 1283 c.c., in tema di interessi usurari (Cass., sez. 1, 6 dicembre 2002, n. 17349).
Orbene, la nozione di ordine pubblico indicata nell’articolo 829, 3º comma, c.p.c., è limitata all’ordine pubblico internazionale, esulando dalla stessa l’ordine pubblico interno e le norme imperative ad esso connesse.
Il rimando alla clausola dell’ordine pubblico da parte dell’articolo 829 c.p.c. è stato interpretato come rinvio alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento, escludendosi in radice una nozione « attenuata » di ordine pubblico (Cass., n. 21850 del 2020, con la quale si è escluso che costituisca causa di nullità del lodo per contrasto con l’ordine pubblico la circostanza che l’arbitro abbia statuito circa il risarcimento del danno derivante da un contratto di mediazione, concluso con un soggetto non iscritto a ruolo dei mediatori, in quanto non rientra tra le norme fondamentali dell’ordinamento la regola organizzativa posta dall’articolo 6 della legge n. 39 del 1989; in tal senso anche Cass., sez. 1, 16 maggio 2022, n. 15619; Cass. 21 settembre 2022 n. 27615, secondo cui, in tema di impugnazione del lodo per contrarietà all’ordine pubblico, deve escludersi che la decisione arbitrale possa essere impugnata per violazione del divieto del patto commissorio, poiché il disposto dell’art. 2744 c.c., pur trattandosi di una norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell’ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente, tant’è che lo stesso legislatore ha previsto casi in cui
tale divieto non si applica ex art. 6 del d.lgs. n. 170 del 2004), che coincide, invece, con l’insieme RAGIONE_SOCIALE norme imperative dell’ordinamento (il c.d. ordine pubblico interno).
Si è anche osservato che il legislatore del 2006, nell’invertire il rapporto tra regola ed eccezione per l’impugnazione del lodo per violazione RAGIONE_SOCIALE regole di diritto relative al merito della controversia, ha voluto rafforzare la stabilità del lodo, estendendo all’arbitrato interno una regola prevista in campo transnazionale, ove l’ordine pubblico è da sempre identificato con le norme e i principi fondamentali dell’ordinamento (Cass. n. 8718/2024).
4.3. La ricostruzione dell’ iter normativo dell’art.83 d.lgs. n. 112/2008 è stata compiuta da numerose pronunce della Terza Sezione RAGIONE_SOCIALE della Corte di Cassazione (Cass. 24/3/2025 n. 7794; Cass. 16/9/2024 n. 30914).
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 298/1974, il corrispettivo spettante al vettore nel contratto di trasporto di merci su strada per conto terzi veniva determinato secondo il sistema RAGIONE_SOCIALE « tariffe a forcella », che erano fissate tra un limite massimo ed un limite minimo, calcolato su un prezzo base, secondo criteri determinati dal RAGIONE_SOCIALE (ad esito di una procedura, che prevedeva anche il coinvolgimento RAGIONE_SOCIALE Regioni e RAGIONE_SOCIALE associazioni di RAGIONE_SOCIALE).
Successivamente, il d.lgs. n. 286/2005 abrogava la disciplina RAGIONE_SOCIALE tariffe a forcella, prevedendo che i corrispettivi per i servizi di trasporto di merci su strada fossero rimessi alla libera contrattazione RAGIONE_SOCIALE parti
Il d.l. n. 112 del 2008, poi convertito nella legge n. 133 del 2008, ha introdotto una nuova regolazione RAGIONE_SOCIALE tariffe di trasporto, sostituendo al sistema RAGIONE_SOCIALE « tariffe a forcella » il diverso sistema dei cd. corrispettivi minimi (successivamente abrogato per effetto della legge n. 190 del 2014).
L’art. 83 -bis del d.l. n. 112/2008, ai commi 6 e 7, prevedeva che, qualora il contratto di trasporto di merci su strada non fosse stato stipulato in forma scritta, il corrispettivo minimo dovuto al vettore dovesse essere pari alla somma dei seguenti due parametri: a) il costo chilometrico medio del carburante (calcolato sulla base di quanto determinato dall’RAGIONE_SOCIALE trasporto, di cui all’art. 9 del d.lgs. 21.11.2005 n. 286, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE rilevazioni effettuate mensilmente dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) moltiplicato per il numero dei chilometri percorsi; b) la quota dei costi di esercizio (diversi dal costo del carburante), calcolata tenendo conto sempre di quanto determinato dall’RAGIONE_SOCIALE (al quale spettava, due volte all’anno, stabilire la quota di percentuale d’incidenza del costo del carburante sul totale dei costi di esercizio).
L’art.83 -bis d.l. n. 112/2008, prima della sua abrogazione intervenuta nel 2014, individuava un soggetto, denominato « RAGIONE_SOCIALE » che, in base alle rilevazioni effettuate dal RAGIONE_SOCIALE sul prezzo medio del gasolio, determinava mensilmente il costo medio per chilometro di percorrenza, con riferimento alle diverse tipologie di veicoli, nonché, con cadenza semestrale, la quota, espressa in percentuale, dei costi di esercizio dell’impresa di RAGIONE_SOCIALE per conto di terzi rappresentata dai costi del carburante; ai commi 6 e 9, la medesima disposizione prevedeva la procedura, stragiudiziale e giudiziale, per richiedere l’adeguamento tariffario nei confronti del committente, stabilendo che, al fine di ottenere il decreto ingiuntivo, il vettore doveva depositare una serie di documenti a corredo del ricorso monitorio, utilizzabili, in sede di giudizio di opposizione, dal c.t.u. per verificare l’eventuale fondatezza della domanda.
L’art. 83 -bis, al comma 8, disponeva che, qualora la parte del corrispettivo dovuta al vettore risultasse indicata in un importo
inferiore a quello dei costi minimi di esercizio, il vettore poteva chiedere il pagamento della differenza; mentre, al comma 10, rimandava ad una disciplina transitoria, fino a che non fossero intervenute le determinazioni adottate dall’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Il d.l. n. 5 del 2009, convertito nella l. n. 33 del 2009, espressamente ha incaricato il RAGIONE_SOCIALE di adottare decreti esecutivi con i quali identificare provvisoriamente i costi minimi applicabili (con riferimento alle diverse tipologie di veicoli e alla percorrenza chilometrica), fino a quando l’RAGIONE_SOCIALE non avesse elaborato le tabelle « definitive ».
Tra il mese di agosto 2009 ed il mese di ottobre 2011, non è intervenuto alcun decreto ministeriale che regolamentasse i criteri da utilizzare per l’applicazione dei costi minimi di cui al citato art. 83-bis; tuttavia, è intervenuto il d.l. n. 5/2009, convertito in l. n. 33/2009, che, all’art. 7 sexies, prevedeva che, sino a quando non fossero disponibili le determinazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83-bis, il RAGIONE_SOCIALE era tenuto ad elaborare con riferimento alle diverse tipologie di veicoli ed alla percorrenza chilometrica gli indici sul costo del carburante.
L’RAGIONE_SOCIALE emanava tabelle con l’indicazione dei costi minimi solo nel periodo decorrente dal mese di novembre 2011 sino al mese di agosto 2012. Dal mese di settembre 2012 fino all’entrata in vigore della legge n. 190/2014 i costi minimi venivano determinati dal RAGIONE_SOCIALE Trasporto con appositi decreti.
In data 1° gennaio 2015, entrava in vigore la legge n. 190/2014, che abrogava tutte le disposizioni riferite all’applicazione dei costi minimi in tema di RAGIONE_SOCIALE (tra le quali anche l’art. 83 -bis del d.l. 112/2008).
La Corte di Giustizia Ue, intervenendo, dapprima, con sentenza 4 settembre 2014, n. 184 (nelle cause riunite da C -184/13 a C -187/13, C -194/13, C -195/13 e C -208/13) e, poi, con l’ordinanza
del 21 giugno 2016 (nella causa C- 121/2016), ha precisato che la normativa nazionale, istitutiva dell’RAGIONE_SOCIALE: a) non specificava i principi direttivi a cui tale organo doveva attenersi; b) non conteneva nessuna norma atta a impedire ai rappresentanti RAGIONE_SOCIALE organizzazioni di categoria di agire nell’esclusivo interesse della categoria di appartenenza; c) si limitava ad una generica enunciazione della tutela della sicurezza stradale, lasciando in capo ai membri dell’RAGIONE_SOCIALE un ampio margine di discrezionalità e di autonomia nel determinare i costi minimi d’esercizio nell’interesse RAGIONE_SOCIALE organizzazioni di categoria che li avevano designati. La Corte UE ha posto così in rilievo che la normativa nazionale non conteneva né regole procedurali, né prescrizioni sostanziali idonee a garantire che l’RAGIONE_SOCIALE si comportasse, in sede di elaborazione dei costi minimi di esercizio, come un’articolazione del pubblico potere che agisce per motivi di interesse pubblico.
La Corte ha, quindi, ravvisato la non conformità dell’art. 83 -bis d.l. n. 112/08 alle norme sovranazionali sia pure unicamente sotto il profilo dell’attribuzione della determinazione dei costi ad un organismo (l’RAGIONE_SOCIALE), « composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati », riconoscendo -viceversa -la compatibilità con l’ordinamento euro -unitario della determinazione dei costi minimi demandata ad un’amministrazione nazionale, come quella proveniente dal RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass., sez. 3, 24/10/2023, n. 29466; Cass., sez. 3, 06/02/2024, n. 3427; Cass., sez. 3, 03/12/2024, n. 30914).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 47/2018, ha rigettato la questione di legittimità sollevata con riguardo al citato art. 83-bis del d.l. 112/2008, sostenendo che ‹‹ non è configurabile una lesione della libertà di iniziativa economica, allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità
sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue ›› e che ‹‹ i costi minimi determinati dal RAGIONE_SOCIALE costituiscono, nel disegno del legislatore, un limite al di sotto del quale potrebbero venire compromessi i livelli di sicurezza nella circolazione stradale, in virtù di uno sfruttamento eccessivo RAGIONE_SOCIALE risorse umane e materiali da parte RAGIONE_SOCIALE imprese di trasporto››; concludendo che «la disciplina introdotta dall’art. 83 -bis del DL 112/2008, inoltre, prevedendo solo corrispettivi minimi basati su costi incomprimibili ed essenziali, lascia alle parti una maggiore autonomia negoziale rispetto alle tariffe a forcella, con limitazioni all’iniziativa economica privata che appaiano ragionevoli e proporzionate e compatibili con i principi costituzionali ››.
Secondo un primo orientamento, all’esito della prima pronuncia della Corte UE del 2014, l’intera disposizione era in contrasto con i principi comunitari e doveva quindi essere integralmente disapplicata, mentre, secondo altro orientamento, successivo alla pronuncia della Corte di Giustizia del 21 giugno -5 settembre 2016 (in causa C-121/16), e dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 47 del 2018, l’art. 83 -bis d.l. 112/2008 doveva essere disapplicato limitatamente agli anni in cui la sua esecuzione.
A seguito della pronuncia della Corte Ue del 2014, il Tar del Lazio, con sentenza n. 2896/2015, disapplicava l’art. 83 -bis del d.l. n. 112/2008, dichiarando l’illegittimità di tutte le tabelle contenenti i costi minimi adottate dall’RAGIONE_SOCIALE dal mese di novembre 2011 fino al mese di luglio 2012 compreso.
In seguito alla pronuncia del 2016 della Corte di Giustizia, il Tar Lazio pronunciava altre due sentenze, precisamente la n. 2655 e la n. 2656 del 2017, con le quali annullava tutti i decreti ministeriali contenenti costi minimi approvati dal RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE dal
mese di agosto 2012 al mese di dicembre 2014, ritenendo che tali decreti fossero illegittimi poiché determinavano i costi minimi con gli stessi criteri utilizzati dall’RAGIONE_SOCIALE nel periodo precedente e quindi violavano il diritto comunitario, come espressamente sancito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 4 settembre 2014 e ribadito nell’ordinanza del 21 giugno 2016 (che veniva appunto ritenuta confermativa della prima).
In definitiva, a seguito RAGIONE_SOCIALE citate sentenze del Tar Lazio, venivano annullate sia le tabelle predisposte dall’RAGIONE_SOCIALE nel periodo intercorrente tra il mese di novembre 2011 e il mese di agosto 2012, sia i decreti ministeriali contenenti i costi minimi in vigore dal mese di settembre 2012 fino al mese di dicembre 2014, con la -bis d.l. 112/2018 era », dal giugno 2009 all’ottobre 2011, in cui i costi minimi avrebbero dovuto essere conseguenza che l’unico periodo in cui l’art. 83 avrebbe potuto trovare una legittima applicazione rappresentato dal cosiddetto « periodo transitorio determinati dal RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass. n. 30914/2024).
Si è quindi ritenuto che l’unico periodo in cui il citato art. 83 -bis, in ragione dei principi dettati dalla Corte di giustizia con le sentenze sopra indicate, può trovare una legittima applicazione è rappresentato dal suddetto « periodo transitorio », in cui i costi minimi dovevano essere determinati dal RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass., n. 29466/2023, che già pone questo principio).
4.4. Alla luce RAGIONE_SOCIALE predette considerazioni, deve affermarsi il seguente principio di diritto:
« In tema di impugnazione di lodo arbitrale e di operatività del disposto di cui all’art.829, comma 3, c.p.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2/2/2006, essendo l’art. 83 -bis del d.l. n. 112 del 25/6/2008,« Tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell’RAGIONE_SOCIALE di cose per conto di terzi», convertito con modifiche in legge n. 133 del 6/8/2008, in particolare ai commi 6,7,8,9,10, abrogati dalla legge n. 190/2014, una norma
imperativa secondo il diritto interno, la relativa violazione non rientra nella clausola di ordine pubblico, cui rimanda in tema di impugnazione di lodo arbitrale l’art.829, comma 3, c.p.c., da interpretarsi in senso restrittivo, come rinvio limitato alle norme fondamentali e cogenti dell’ordinamento, dovendosi escludere, in radice, una nozione «attenuata» di ordine pubblico, che coincide con il c.d. ordine pubblico interno e, cioè, con l’insieme RAGIONE_SOCIALE norme imperative ».
5.Per quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Non v’è luogo a provvedere RAGIONE_SOCIALE spese processuali non avendo l’intimata svolto RAGIONE_SOCIALE difensiva.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art.13.
Così deciso, a Roma, nella camera di consiglio dell’11 settembre 2025.
La Consigliera est.
NOME
La Presidente NOME COGNOME