Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1534 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1534 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22283-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
Oggetto
Licenziamenti legge n. 92/2012
R.G.N. 22283/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 318/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 30/06/2020 R.G.N. 326/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con lettera del 22.7.2013, comunicata il 30.7.2013, la RAGIONE_SOCIALE ha intimato a NOME COGNOME, dipendente con mansioni di custode manutentore e talvolta quale autista e accompagnatore, il licenziamento disciplinare per avere posto in essere, il giorno 24.6.2013, unitamente a tale NOME COGNOME, comportamenti indecorosi lesivi dell’immagine della struttura e della società datrice di lavoro, costituiti, per come emerso dalle prime ricostruzioni, dal verificarsi di una colluttazione fisica.
Con una prima sentenza, depositata il 29.6.2017, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato il lavoratore decaduto dall’impugnativa del recesso.
La decisione veniva cassata in sede di legittimità e rinviata alla Corte di appello di Reggio Calabria per un nuovo esame sulla base del rilievo che l’impugnativa stragiudiziale ex art. 6 legge n. 604/1966 poteva essere effettivamente eseguita in nome e per conto del lavoratore licenziato dal suo difensore previamente munito di apposita procura, senza che il suddetto rappresentante avesse l’onere di comunicarla o di documentarla, nel termine di cui all’art. 6 citato, al datore di lavoro, salvo che questi non gliene facesse richiesta prima della scadenza del termine di sessanta giorni (o comunque prima che il lavoratore avesse agito in giudizio) ai sensi dell’art. 1393 cc, applicabile ex art. 1324 cc anche agli atti unilaterali.
La Corte di appello di Reggio Calabria, individuata quale giudice di rinvio, a seguito della riassunzione del giudizio ha, in primo luogo, accertato che il rilascio della procura, da parte del Perfetti al proprio difensore, era anteriore all’impugnativa s tragiudiziale del licenziamento; ha ritenuto, poi, in relazione all’addebito mosso, irrilevante la eventuale mancata affissione del codice disciplinare; sulla base degli elementi extra processuali acquisiti e dalla prova per testi raccolta in giudizio ha considerato che non era ravvisabile la giusta causa di recesso e che alla insussistenza del fatto contestato conseguiva la reintegrazione nel posto di lavoro con il pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dedotti l’aliunde perceptum e percipiendum , fino ad un massimo di dodici mensilità; ha statuito, infine, sulle spese secondo il criterio della soccombenza individuando lo scaglione applicabile in quello di ‘valore indeterminabile medio’.
Avverso tale ultima decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME che ha a sua volta presentato ricorso incidentale.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo del ricorso principale la RAGIONE_SOCIALE denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2697 cc e all’art. 6 legge n. 604/1966, con riguardo alla mancata notifica della procura per la impugnazione del licenziamento. Richiama un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in una fattispecie come quella di cui è processo, era inapplicabile il disposto di cui all’art. 1393 cc e la impugnativa del licenziamento poteva essere compiuta esclusivamente dal lavoratore personalmente, dall’associazione sindacale cui aderiva ovvero da un
procuratore munito di specifica procura scritta: in questo ultimo caso, la procura avrebbe dovuto essere comunicata formalmente alla parte datoriale entro sessanta giorni.
Con il secondo motivo la ricorrente principale eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la nullità della sentenza di appello per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla valutazione delle prove testimoniali in assenza di contraddittorio in quanto assunte all’interno di un procedimento penale in cui non era parte processuale.
Con il ricorso incidentale il Perfetti si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, a i sensi dell’art. 13 co. 6 legge n. 247/2012, deducendo che gli importi liquidati (euro 4.500,00 per il giudizio di primo grado, euro 3.500,00 per il giudizio di appello, euro 3.500 per il giudizio di cassazione ed euro 4.500,00 per il giudizio di rinvio) erano inferiori (anche considerando la doppia fase, sommaria ed opposizione, svoltasi innanzi al Tribunale di Castrovillari) a quelli previsti dal DM n. 55/2014 per come aggiornati dal DM n. 37/2018 e non era stato specificato il motivo per il quale non erano stati applicati quelli ‘medi’.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Ogni questione, in punto di diritto, sulla necessità del possesso della procura da parte del difensore del lavoratore, ai fini della impugnazione in via stragiudiziale del recesso, è stato risolto dalla sentenza di questa Corte n. 1483/2017 che ha specificato i principi di diritto cui doveva attenersi il giudice di rinvio il quale, essendo vincolato ad essi, li ha applicati.
Richiamare altri orientamenti giurisprudenziali, relativamente a tale punto indicato direttamente o indirettamente, non è consentito in sede di giudizio ex art.
384 cpc ove la statuizione della Corte di cassazione costituisce norma giuridica da applicare nel caso concreto.
In punto di fatto, poi, la Corte distrettuale ha operato, secondo le direttive della sentenza di cassazione, la ricostruzione della vicenda riguardante tutta la fase della impugnazione stragiudiziale giungendo alla conclusione che il rilascio della procura era anteriore alla lettera con la quale era stato impugnato il recesso e, comunque, non vi era stata, da parte della società, contestazione sulla provenienza e sui poteri del legale in ordine ad essa.
Si tratta di un accertamento di merito, adeguatamente motivato e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
Il secondo motivo è infondato.
Va ribadito il principio secondo cui, in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice civile può legittimamente porre a base del proprio convincimento le prove “atipiche” (tra cui anche le risultanze di atti delle indagini preliminari svolte in sede penale), se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale (Cass. n. 2947/2023).
Nell’accertamento della sussistenza di determinati fatti, il giudice civile può, invero, valutare liberamente le prove raccolte in sede penale, in modo del tutto svincolato dal parallelo processo penale.
Premesso, pertanto, che il giudice di rinvio poteva analizzare gli atti del processo penale svoltosi dinanzi al giudice di pace di Rossano, deve darsi atto che, nel rispetto della autonomia tra i due giudizi e raffrontando adeguatamente i risultati delle due istruttorie, la Corte di Reggio Calabria è giunta alla conclusione, attraverso un
motivato e completo esame delle emergenze processuali, che non era stata data prova del fatto posto a fondamento del licenziamento, ritenendolo, pertanto, illegittimo.
Quanto alle altre doglianze, giova sottolineare che, in tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40 del 2006- il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. n. 24035/2018) e che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 8053/2014).
Anche il ricorso incidentale non è meritevole di accoglimento, presentando profili di inammissibilità e di infondatezza.
Preliminarmente va precisato che, nella fattispecie, trattandosi di un licenziamento comminato il 30.7.2013, la disciplina applicabile è quella di cui alla legge n. 92 del 2012 per cui la fase sommaria e quella di opposizione costituiscono due momenti processuali del giudizio di primo grado di natura bifasica (Cass. n. 9458/2019; Cass. n. 5993/2019).
Del resto, la stessa RAGIONE_SOCIALE, nello storico del ricorso per cassazione, ha fatto riferimento ad un atto introduttivo proposto ex art. 1 co. 47 legge n. 92/2012 e alla proposizione di una successiva opposizione avverso il primo provvedimento di rigetto.
Ne consegue che correttamente, dai giudici di rinvio, è stata effettuata una unica liquidazione delle spese per le due fasi stante l’unicità del primo grado di giudizio.
Anche la doglianza riguardante una asserita omessa motivazione sulle ragioni per le quali la Corte
distrettuale si era discostata dai parametri medi di liquidazione è infondata.
In sede di legittimità è stato precisato che, in relazione al regime di cui al DM n. 55 del 2014, con le modifiche apportate dal DM n. 37/2018, non sussiste un obbligo di motivazione, per i giudici, di discostarsi dai valori medi (Cass. n. 9815/2023; Cass. n. 19989/2021; Cass. n 89/2021; Cass. n. 14198/2022), non potendosi, invece, in nessun caso solo diminuire i suddetti valori oltre il 50 per cento (Cass. n. 10438/2023).
Sotto questo profilo, però, la doglianza di cui al motivo difetta di specificità perché la violazione dei minimi non è stata provata dal ricorrente che si è limitato ad indicare, nell’articolazione della censura, unicamente i valori medi, senza precisare per quale ragione, comunque, gli importi liquidati sarebbero stati inferiori al 50 per cento (minimi tabellari).
Alla stregua di quanto esposto sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.
Stante la soccombenza reciproca, le spese del presente giudizio vanno compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.