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Impugnazione licenziamento interposizione: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9783/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di impugnazione del licenziamento in caso di interposizione fittizia di manodopera. Un lavoratore, formalmente dipendente di una società ma di fatto impiegato presso un’altra, aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla prima. I giudici di merito avevano dichiarato il ricorso inammissibile per tardività. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che il licenziamento comunicato dal datore di lavoro formale (interposto) non è idoneo a far decorrere il termine di decadenza per agire contro il datore di lavoro effettivo (interponente). L’atto che fa scattare i termini deve provenire necessariamente da quest’ultimo.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Impugnazione Licenziamento in caso di Interposizione: Chi è il Vero Datore di Lavoro?

L’impugnazione del licenziamento in un contesto di interposizione fittizia di manodopera è un tema complesso che tocca i diritti fondamentali del lavoratore. Spesso, un dipendente si trova formalmente assunto da un’azienda (l’interposta), ma di fatto presta la propria attività lavorativa a beneficio e sotto la direzione di un’altra (l’utilizzatrice o interponente). Quando il rapporto cessa, a chi deve essere rivolta l’impugnazione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 9783 del 2024, fa luce su questo punto cruciale, stabilendo che l’atto di recesso del datore di lavoro formale non fa decorrere i termini per agire contro il datore di lavoro effettivo.

I Fatti del Caso

Un lavoratore si rivolgeva al tribunale per chiedere l’accertamento della natura fittizia del suo rapporto di lavoro, formalmente intrattenuto con una prima società. Sosteneva di aver in realtà sempre lavorato alle dipendenze di una seconda società, vera beneficiaria della sua prestazione. Chiedeva quindi la costituzione del rapporto di lavoro con quest’ultima e la condanna al pagamento di retribuzioni e contributi, oltre al risarcimento per l’illegittimità del licenziamento comunicatogli dalla società interposta.

Sia in primo grado che in appello, la domanda del lavoratore veniva dichiarata inammissibile. I giudici di merito ritenevano che l’impugnazione del licenziamento fosse tardiva e che, di conseguenza, il lavoratore avesse perso il diritto di contestare la cessazione del rapporto. Il lavoratore, ritenendo errata questa interpretazione, proponeva ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Impugnazione del Licenziamento nell’Interposizione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa ad un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede in un principio fondamentale: nei casi di interposizione, il rapporto di lavoro formale (con la società interposta) e quello di fatto, dissimulato (con la società utilizzatrice), sono giuridicamente distinti.

Di conseguenza, le vicende che riguardano il rapporto formale, come un licenziamento comunicato dalla società interposta, non possono incidere sul rapporto sostanziale con il vero datore di lavoro. L’impugnazione di tale licenziamento, quindi, non costituisce un ostacolo all’azione legale volta a far accertare la realtà del rapporto di lavoro con l’utilizzatore.

Le Motivazioni: la Scissione dei Rapporti Giuridici

La Corte ha chiarito che il regime di decadenza, previsto dalla legge per l’impugnazione degli atti che limitano i diritti del lavoratore, non può essere attivato da un soggetto che non è il reale titolare del rapporto di lavoro. In altre parole, l’atto di licenziamento del datore di lavoro ‘schermo’ non ha alcun valore ai fini della decorrenza dei termini per contestare il rapporto con il datore di lavoro effettivo.

Secondo la Cassazione, per far scattare il termine di decadenza, è necessario un atto scritto proveniente direttamente dall’utilizzatore della prestazione lavorativa. L’atto di licenziamento intimato dal datore di lavoro formale è un elemento sufficiente per avviare i termini di decadenza solo nei confronti di quest’ultimo, ma non può essere imputato all’utilizzatore. Salvo che l’utilizzatore stesso, con un proprio atto scritto, neghi la titolarità del rapporto: solo da quel momento inizierebbe a decorrere il termine per l’impugnazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori coinvolti in fenomeni di interposizione illecita. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:
1. Per i Lavoratori: Il licenziamento ricevuto dalla società intermediaria non impedisce di agire contro la società utilizzatrice per far valere i propri diritti. Il termine per agire contro il vero datore di lavoro non decorre a causa di un atto del datore fittizio.
2. Per le Aziende Utilizzatrici: Non possono fare affidamento sugli atti della società interposta per considerare ‘sanata’ o non più contestabile una situazione di interposizione illecita. La responsabilità rimane e può essere fatta valere dal lavoratore, a meno che non sia l’azienda stessa a porre in essere un atto formale da cui possano decorrere i termini di legge.

In caso di interposizione fittizia, il licenziamento comunicato dal datore di lavoro formale fa scattare i termini per impugnare il rapporto con il datore di lavoro effettivo?
No. Secondo la Cassazione, il licenziamento intimato dal datore di lavoro formale (interposto) non è idoneo a far decorrere i termini di decadenza per agire in giudizio contro il datore di lavoro effettivo (utilizzatore).

Per far decorrere i termini di decadenza nei confronti del datore di lavoro effettivo, da chi deve provenire l’atto scritto che il lavoratore deve impugnare?
L’atto scritto deve provenire necessariamente dal datore di lavoro effettivo, ovvero l’utilizzatore della prestazione lavorativa. Solo un atto imputabile a quest’ultimo può far decorrere i termini per l’impugnazione.

L’impugnazione del licenziamento nei confronti del solo datore di lavoro formale impedisce di agire in giudizio contro il datore di lavoro effettivo?
No, l’impugnazione del licenziamento nei confronti del datore di lavoro formale non costituisce una preclusione ad agire in giudizio per l’accertamento della sussistenza di un’interposizione fittizia nei confronti del datore di lavoro effettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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