Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 316 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 316 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 30749/2018 proposto da:
PRINCIPATO NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
Contro
PRINCIPATO COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
E contro
PRINCIPATO CEFALÀ CATERINA
SUCCESSIONI
– Intimata –
Avverso la sentenza della Corte di appello Catanzaro n. 1541/2018 depositata il 06/09/2018.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 19 dicembre 2023.
Rilevato che:
il giudizio è iniziato nel 1978 e riguarda numerose controversie, in alcuni casi riunite, sfociate in sentenze parziali e definitive, talvolta impugnate. Per quanto qui interessa, l’ampio contenzioso può essere così sintetizzato;
(a) il 02/01/1976, morì NOME COGNOME (‘NOME COGNOME‘) che aveva disposto dei propri beni con testamento olografo e al quale furono chiamati a succedere i sei figli NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, e la moglie NOME COGNOME
(b) NOME COGNOME con citazione del 22/04/1978 nei confronti dei fratelli NOME e NOME COGNOME (iunior), propose azione di rescissione della divisione testamentaria operata dal de cuius e chiese la reintegrazione della propria quota di legittima.
I convenuti, costituendosi, contestarono la domanda e NOME COGNOME quale erede universale dello zio paterno NOME COGNOME (senior), chiese, con domanda riconvenzionale, la condanna degli altri eredi a rendere il conto per l’attività di amministrazione e di mandato svolta da NOME COGNOME in favore del fratello NOME COGNOME (senior).
Un secondo giudizio venne promosso da NOME COGNOME (iunior) affinché, in via preliminare, fosse disposto l’inventario dei beni mobili delle abitazioni del padre e, nel merito, perché si procedesse alla divisione di tutti i cespiti che il de cuius aveva lasciato in comunione all’attore e al fra tello NOMECOGNOME
Le due cause furono riunite e decise con sentenza non definitiva del Tribunale di Catanzaro n. 304/1984, riformata in appello, con sentenza n. 136/1990.
Un terzo giudizio (citazione del 16/12/1980), promosso da NOME COGNOMEiunior) contro il fratello NOME COGNOME riguardante l’impugnativa delle delibere dell’assemblea dei comunisti, si concluse con sentenza del Tribunale di Catanzaro (del 14/04/1982), confermata in appello (con sentenza del 30/12/1983).
Nel frattempo, dopo la sentenza non definitiva n. 304/1984, il Tribunale dispose una consulenza tecnica per formare la quota di riserva, valutare l’eventuale lesione di legittima subita da alcuno dei legittimari e, in caso affermativo, indicare le riduzioni da operare sulle disposizioni testamentarie e le necessarie integrazioni.
Gli eredi contestarono gli esiti dell’elaborato peritale.
Completa l’ imponente scenario processuale la causa (r.g. n. 1446/1989) iniziata da NOME COGNOME contro tutti i coeredi, nei confronti dei quali frattanto era stato integrato il contraddittorio, affinché fosse disposta la divisione dei beni in comune tra gli aventi causa di NOME COGNOME da un lato, e di NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’ altro.
L’attore c hiedeva anche che agli aventi causa di NOME COGNOME fosse intimato di rendere il conto sia per la gestione dei beni comuni svolta dal loro dante causa, sia per gli atti dal medesimo posti in essere quale procuratore generale di NOME COGNOMEsenior) e che, in mancanza di rendiconto, lo stesso adempimento fosse effettuato mediante una consulenza.
Gli altri eredi –NOME COGNOME (iunior), NOME COGNOME e NOME COGNOME -costituendosi, non si opposero alla domanda di divisione dei beni ereditari e sollevarono contestazioni a proposito della domanda di rendiconto;
(c) la causa fu riunita alle prime due e portò alla sentenza non definitiva del Tribunale di Catanzaro n. 473/2001, confermata in appello (sentenza n. 884/2007). Per effetto delle sentenze non definitive – compresa la sentenza (non impugnata) n. 308/2013, che
rigettava l’azione di riduzione proposta da NOME COGNOME e accoglieva quella di NOME COGNOME – si formò il giudicato su numerose questioni.
In seguito, con ordinanza 19/02/2013, il Tribunale ordinò a NOME COGNOME di rendere il conto della gestione dei beni in comunione di cui aveva l’esclusiva disponibilità, in relazione al periodo dal 15/04/2008 al 28/02/2013, e dispose una consulenza collegiale per l’esame dei rendiconti presentati da NOME COGNOME dall’apertura della successione fino al 28/02/2013 e perché venissero redatti un primo progetto di divisione dei beni tra NOME COGNOME, quale unico erede di NOME COGNOME (senior), e gli eredi di NOME COGNOME e un secondo progetto di divisione del lotto da assegnare agli eredi di NOME COGNOME
(d) dopo l’espletamento della c.t.u., il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 1817/2015, accolse la domanda di rendiconto di NOME COGNOME (iunior) e, per l’effetto, condannò NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME (iunior) euro 12.019,56; rigettò la domanda di rendiconto di NOME COGNOME nei confronti dei coeredi di NOME COGNOME; dispose lo scioglimento della comunione tra NOME COGNOME, NOME COGNOME (iunior) e di altri coeredi di NOME COGNOME e, per l’effetto, assegnò a NOME COGNOME e a NOME COGNOME (iunior) la quota di beni di proprietà esclusiva spettanti a ciascuno, sulla base del primo progetto di divisione; dispose lo scioglimento della comunione tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME assegnando a ciascuno dei condividenti una quota di proprietà esclusiva, sulla base dell ‘ ipotesi di divisione elaborata dalla terna dei consulenti d’ufficio;
(e) avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello principale NOME COGNOME (iunior) e appello incidentale NOME COGNOME mentre NOME COGNOME costituendosi, ha contestato i motivi dell’appell o principale e ha proposto appello incidentale sulla statuizione riguardante le spese di lite.
La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza indicata in epigrafe: ha dichiarato inammissibile l ‘appello incidentale di NOME COGNOME; ha condannato NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME (iunior) euro 32.083,24, oltre interessi; ha accolto la domanda di rendiconto di NOME COGNOME nei confronti dei fratelli NOME e NOME COGNOME, quali coeredi di NOME COGNOME, e ha dichiarato la massa ereditaria relitta dal de cuius debitrice, nei confronti di NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME (senior), della somma di euro 22.315,17; ha determinato i conguagli spettanti agli eredi di NOME COGNOME, da prelevarsi dall’attivo ereditario, previa sua ricostituzione ad opera di NOME COGNOME, quanto a NOME COGNOME, nella somma di euro 30.882,20, quanto a NOME COGNOME (iunior), nella somma di euro 50.952,74, e quanto a NOME COGNOME, nella somma di euro 47.410,91; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado e ha compensato per intero le spese del doppio grado di giudizio;
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre NOME COGNOME (iunior), sulla base di sei motivi, illustrati con una memoria; NOME COGNOME resiste con controricorso; NOME COGNOME è rimasta intimata;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 192, cod. proc. civ. -il ricorrente assume che il Tribunale, con ordinanza del 19/01/2015, aveva convocato i tre consulenti tecnici d’ufficio a chiarimenti per rispondere ai rilievi critici formulati dalle parti e che, all’udienza del 19/02/2015, a tal fine fissata, si erano presentati due dei tre consulenti, con esclusione dell’agronomo dott. COGNOME il quale aveva fatto pervenire una lettera nella quale dichiarava di non potere presenziare all’udienza né svolgere alcuna attività a causa dell’età avanzata (82 anni) e per gravi motivi di salute.
Aggiunge che il Tribunale, dopo aver loro fatto prestare giuramento, dava incarico ai consulenti presenti di rendere per iscritto i chiarimenti richiesti dalle parti, ma non sostituiva il dott. COGNOME Riferisce che successivamente il collegio peritale depositava una relazione scritta che risultava firmata anche dall’agronomo , che in precedenza aveva dichiarato di rinunciare all’incarico , e, ancora, che il primo giudice aveva disatteso l’eccezione di nullità della relazione peritale sollevata dal proprio difensore e che, dal canto suo, anche la Corte d’appello aveva respinto la medesima doglianza sul rilievo che, in realtà, il dott. COGNOME non aveva rinunciato all’incarico ; sottolinea che, al contrario, nel momento in cui il Tribunale, preso atto della rinuncia dell’agronomo, dopo averli fatti giurare, aveva incaricato gli altri due consulenti d’ufficio di rispondere alla richiesta di chiarimenti, il dott. COGNOME non faceva più parte della terna di consulenti e, pertanto, non avrebbe potuto partecipare all’e laborazione della relazione integrativa;
1.1. il motivo non è fondato;
1.2. la censura muove dall’assunto che i chiarimenti forniti dal collegio di consulenti integrassero una nuova consulenza d’ufficio, che si suppone invalida perché sottoscritta anche dal dott. COGNOME al quale il giudice non avrebbe conferito alcun compito dopo che l’ausiliario aveva manifestato la volontà di rinunciare all’incarico inizialmente ricevuto;
1.3. risulta, inoltre, che la Corte territoriale ha escluso che la mancata partecipazione del consulente all’udienza nella quale venne formulata la richiesta di chiarimenti inficiasse la relazione integrativa del 28/03/2015, in quanto il consulente d’ufficio non aveva formalmente rinunciato all’incarico né il giudice lo aveva sostituito e, per di più, l’attività suppletiva era senz’altro riferibile anche all’agronomo dott. COGNOME che, come gli altri due consulenti, aveva
sottoscritto sia i chiarimenti che la successiva ‘sintetica valutazione sulle osservazioni delle parti alla integrazione della relazione di c.t.u.’;
1.4. la statuizione della Corte di Catanzaro è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, per la quale i chiarimenti non costituiscono un ‘ attività ulteriore ed estranea rispetto a quella, già espletata, oggetto di consulenza, ma un ‘ attività complementare, integrativa e necessaria, al cui compimento il c.t.u. può essere tenuto qualora gli venga richiesto, il che normalmente accade quando la relazione depositata non possa dirsi esaustiva (Sez. 2, Sentenza n. 21549 del 25/10/2016, Rv. 641539 -01; Sez. 3, Sentenza n. 4655 del 02/03/2006, Rv. 587648 – 01).
Sicché, in sostanza, nella specie, come ha bene osservato il giudice di merito, la comunicazione del dott. COGNOME di essere impossibilitato a partecipare all’udienza nella quale venne formalizzata la richiesta di chiarimenti non equivale ad un’istanza di astensione dall’ufficio e , del resto, il giudice istruttore non adottò alcuno specifico provvedimento né sostituì il consulente impedito.
Inoltre, non è revocabile in dubbio la regolarità dell’espletamento dell’incarico aggiuntivo e della consulenza integrativa, la cui paternità è certamente attribuibile all’intero collegio di consulenti tecnici, compreso il dott. COGNOME il quale, come gli altri ausiliari, ha sottoscritto le note integrative;
2. il secondo motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1 84, cod. proc. civ., ‘testo 1940’, art. 87, disp. att. cod. proc. civ., 115, cod. proc. civ., 111, Cost. -denuncia l’errore di diritto della sentenza, che dà atto che, nel corso dello svolgimento della consulenza, il convenuto aveva prodotto documentazione attestante i contributi versati per i lavoratori agricoli, quale documentazione che però non era stata
allegata alla consulenza d’ufficio e non era stata portata a conoscenza delle parti, con la conseguenza che, per il caso in cui tale documentazione fosse stata effettivamente acquisita nonostante il divieto (di cui all’art. 90, disp. att., cod. proc. civ.) per il consulente d’ufficio di ricevere scritti defensionali oltre a quelli contenuti nelle osservazioni autorizzate, la stessa documentazione sarebbe inutilizzabile e la c.t.u. basata su tale documentazione dovrebbe essere rinnovata;
2.1. il motivo è inammissibile;
2.2. la censura è generica e non autosufficiente. Nel giudizio di cassazione, l ‘ interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, per cui è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso, correlato all ‘ estraneità del giudizio di legittimità all ‘ accertamento del fatto, indicando in maniera adeguata la situazione fattuale della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo (Sez. 2, Ordinanza n. 21230 del 19/07/2023, Rv. 668484 – 01).
Sulla questione di diritto sottesa al motivo di ricorso è stato chiarito (Sez. 3, Sentenza n. 11752 del 15/05/2018, Rv. 648705 -02; in termini, Sez. 1, Sentenza n. 7737 del 19/04/2016, Rv. 639309 – 01) che la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduca la nullità della consulenza tecnica d ‘ ufficio causata dall ‘ utilizzazione di documenti irritualmente prodotti, ha l ‘ onere di specificare, a pena di inammissibilità dell ‘ impugnazione, il contenuto della documentazione di cui lamenta l ‘ irregolare acquisizione e le ragioni per le quali la stessa sia stata decisiva nella valutazione del consulente tecnico d ‘ ufficio.
Nella fattispecie concreta, la censura non soddisfa tali requisiti, è espressa in termini vaghi e non indica quali siano i documenti (riguardanti i contributi versati per i lavoratori agricoli) irritualmente acquisiti ed utilizzati nella c.t.u. e l’incidenza di tale documentazione sul risultato dell ‘elaborato peritale che, in parte qua , è criticato in maniera superficiale, senza un puntuale riferimento alle somme che, secondo la prospettazione del ricorrente, andrebbero detratte dalle voci dei rendiconti annuali presentati dalla controparte;
3. il terzo motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 342, primo comma, cod. proc. civ. -denuncia l’errore di diritto della sentenza che ha dichiarato inammissibile, per genericità, il motivo d’appello volto ad ottenere la rinnovazione della c.t.u. per la mancata risposta dei consulenti a tutti i chiarimenti richiesti dalla difesa di NOME COGNOMEiunior), senza considerare che, al contrario, i relativi rilievi critici all’elaborato peritale erano specifici e circostanziati .
Si sottolinea che, in udienza (verbali del 29/09/2014 e del 19/02/2015) , il difensore dell’appellante , con riferimento ai rendiconti di NOME COGNOME sollevò una serie di obiezioni all a consulenza d’ufficio in punto di: spese sostenute per il salario dei lavoratori dipendenti; spese per contributi previdenziali; spese per imposte; spese di amministrazione della massa ereditaria; spese per le utenze degli immobili situati in Catanzaro e in Dinami; e spese legali per i giudizi nei quali NOME COGNOME era risultato vittorioso;
3.1. il motivo non è fondato;
3.2. è orientamento consolidato di questa Corte che «ssendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. – prescinde da
qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure» (Cass. 25/01/2023, n. 2320, che, in motivazione, menziona Cass. n. 23781/2020);
3.3. nella specie, la Corte di Catanzaro, senza discostarsi da questo principio di diritto, ha constatato (cfr. pag. 17 della sentenza) che l’appellante aveva esclusivamente censurato, in termini generici, la circostanza che i consulenti tecnici non avessero preso in considerazione le ‘numerosissime’ osservazioni formulate dal suo difensore (nel verbale di udienza del 29/09/2014), per quanto qui rileva con riguardo ai rendiconti, senza indicare in maniera puntuale le osservazioni alle quali non sarebbe stata data risposta, anche in considerazione della circostanza che nella ‘integrazione di relazione di consulenza tecnica’ un apposito paragrafo era stato riservato ai ‘chiarimenti in ordine alle osservazioni dell’avv. Consarino nel verbale di udienza del 29/09/2014’;
4. il quarto motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti -denuncia che la sentenza non ha correttamente esaminato gli atti di impugnazione dei trentotto rendiconti annuali presentati da NOME COGNOME che il ricorrente aveva sottoposto a puntuale critica, e non ha fatto altro che recepire la consulenza d’ufficio, trascurando che i consulenti si erano praticamente rifiutati di esaminare gli stessi rendiconti. Il ricorrente
s ottolinea che il giudice d’appello ha ritenuto inammissibile la richiesta di rinnovazione della c.t.u. e ha tentato di rispondere alle osservazioni che lo stesso appellante aveva rivolto ai trentotto rendiconti senza avere né il tempo né le cognizioni tecniche per esaminare tali contestazioni, con specifico riferimento ai rilievi riguardanti i salari versati ai lavoratori agricoli, i contributi previdenziali, le spese per le utenze telefoniche, di luce e acqua, e per gli immobili in Dinami e in Catanzaro;
4.1. il motivo è inammissibile;
4.2. opera la previsione d ‘ inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all ‘ art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ., (applicabile ratione temporis ), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che (come nel caso di specie in cui le due decisioni di merito in parte qua sono sovrapponibili) risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
Il ricorrente , discostandosi dalla prescrizione dell’ art. 366, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., non indica in quale misura siano tra loro diverse le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell ‘ appello ( ex multis , Cass. n. 5947 del 2023);
5. il quinto motivo -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 26, t.u.i.r. -denuncia che la sentenza, nella parte in cui, disattendendo l ‘eccezione dell’appellante, afferma che NOME COGNOME aveva correttamente versato, in qualità di coerede, le imposte sui redditi fondiari dei terreni e fabbricati del compendio ereditario, anticipandole anche per conto degli altri eredi, avrebbe trascurato, in
primo luogo, che controparte non poteva dichiarare a proprio nome beni della massa né versare le correlate imposte, in quanto il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte relativa al suo diritto; in secondo luogo, che, comunque, questo comportamento aveva causato un danno economico ai coeredi poiché (cfr. pag. 25) «il sistema di progressività delle imposte ha comportato un maggiore onere fiscale ai coeredi calcolato sull’intero compendio anziché pro quota » e perché il ricorrente, che aveva sempre dichiarato e versato le imposte corrispondenti alla propria percentuale, aveva subito una duplicazione di prelievo fiscale;
5.1. il motivo è infondato;
5.2. la censura secondo cui, dato che il sistema tributario è improntato a criteri di progressività, il pagamento, da parte di NOME COGNOME, dell’imposta sui redditi fondiari del l’intero compendio ereditario avrebbe causato ai coeredi un pregiudizio economico, non avendo essi potuto beneficiare del meno oneroso trattamento fiscale connesso al pagamento dell’imposta sulla quota di rispettiva spettanza, è priva di fondamento, in mancanza del l’ imprescindibile indicazione dell’aliquota applicata ai redditi fondiari della massa ereditaria rispetto a quella (che il ricorrente assume essere inferiore) che sarebbe stata applicata alla quota di beni immobili (per quanto qui rileva) attribuita a NOME COGNOME
Inoltre, è questione nuova (la parte non individua i luoghi del processo di merito dove la stessa sia stata posta o trattata) che, presupponendo indagini in fatto, non può essere sollevata per la prima volta in cassazione (Cass. Sez. U., n. 6459/2020), l’affermazione del ricorrente di essere andato incontro a una doppia imposizione (per altro nemmeno specificata nel quantum ) per avere sempre dichiarato la quota di beni immobili di sua spettanza e per
avere versato la connessa imposta. Si aggiunga come notazione di carattere generale che, sussistendone le condizioni, il contribuente che versa imposte non dovute ha diritto di ripetere l’indebito;
6. il sesto motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo -riguarda l’accoglimento dell’appello incidentale di NOME COGNOME contro il capo della sentenza di primo grado di rigetto della domanda di rendiconto, dal medesimo proposta quale erede dello zio NOME COGNOMEsenior) nei confronti tra gli altri eredi, di NOME COGNOMEiunior) e di NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME Il motivo si fonda sull’assunto che il Tribunale di Catanzaro, con sentenza in data 09/05-1°/06/2001, ha escluso che gli eredi di NOME COGNOME, pur essendo tenuti a farlo, potessero rendere il conto della gestione, da parte di NOME COGNOME, dei beni del fratello NOME COGNOME (senior), in ragione del fatto che NOME COGNOME rimase in possesso di tutti i beni di proprietà del padre. L a Corte d’appello (pag. 26 della sentenza), in riforma della decisione di primo grado, ha negato tale circostanza affermando, da un lato, che l’immissione di NOME COGNOME nel possesso dei beni ereditari fino alla morte del padre NOME non era del tutto pacifica e, dall’altro , che alla morte di NOME COGNOME la casa paterna era abitata dalla moglie NOME COGNOME alla quale i figli NOME (iunior) e NOME avrebbero potuto chiedere di accedere all’abitazione .
Il ricorrente lamenta che, al contrario di quanto sostiene la sentenza impugnata, NOME COGNOME dopo la morte del genitore, continuò a vivere per anni con la madre nella casa del padre, sicché tutta la documentazione di NOME COGNOME, alla sua morte, rimase in possesso del figlio NOME e gli altri coeredi non ebbero la possibilità di prenderne visione;
6.1. il motivo è inammissibile;
6.2. la doglianza non attiene all” omesso esame circa un fatto decisivo ‘ secondo l’esatta accezione della locuzione (cfr. punto 4.2.), ma si sostanzia, in maniera non consentita, nella diversa prospettazione dei profili fattuali della controversia, che sono stati insindacabilmente accertati dal giudice di merito;
in conclusione, rigettati il primo, il terzo e il quinto motivo, dichiarati inammissibili il secondo, il quarto e il sesto motivo, il ricorso è rigettato;
le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli onorari di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 19 dicembre 2023