Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10361 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10361 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
CONDOMINIO
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere –
Ad. 10/04/2025 –
CC
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 31120/2019
Dott. NOME
Consigliere –
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso 31120-2019 proposto da:
NOME quale difensore di se stesso elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE GIANICOLENSE 408;
-ricorrente –
contro
CONDOMINIO COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
NOME COGNOME rappresentato e difeso giusta procura in calce al controricorso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2164/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. L’Avv. NOME COGNOME impugnava dinanzi al Tribunale di Civitavecchia la delibera del condominio RAGIONE_SOCIALE in Cerenova-Cerveteri (Roma), del quale era condomino, adottata in seconda convocazione in data 18/07/2010, nelle parti relative ai consuntivi di spesa ed ai relativi piani di riparto dal 01/04/1995 al 31/03/2010, per i lavori straordinari di riparazione e ristrutturazione della piscina condominiale, assumendo la contrarietà della detta delibera alla legge. In particolare, l’attore chiedeva accertare la mancanza della contitolarità della piscina condominiale e la nullità e/o annullabilità della delibera in quanto ritenuta affetta dal vizio di omessa comunicazione dell’avviso di convocazione della relativa assemblea condominiale.
Si costituiva il condominio invocando la previsione dell’art. 7, n. 4, del regolamento condominiale a sostegno della natura condominiale del bene con conseguente onere a carico di tutti i condomini della partecipazione alle spese per la sua
conservazione, godimento e innovazione e concludendo per il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza n. 119 del 13 febbraio 2013, rigettava la domanda, condannando l’attore al pagamento, in favore del condomino convenuto, delle spese processuali.
L’attore interponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo di dichiarare la delibera assembleare affetta da nullità e/o annullabilità in quanto illegittima ed invalida, non solo per la mancata regolare convocazione dello stesso all’assemblea e la mancata attestazione a verbale della verificata regolare convocazione, ma anche per l’omessa prova da parte del condominio della notificazione della convocazione dell’assemblea condominiale a tutti i comproprietari, compreso NOME COGNOME fratello dell’appellante e comproprietario dell’immobile.
L’appellante lamentava, inoltre, la nullità della delibera per il mancato raggiungimento del quorum costituivo e deliberativo -sull’assunto della violazione del divieto di cui al regolamento condominiale di concedere più di dieci deleghe alla stessa persona e del mancato deposito da parte del condominio delle tabelle millesimali -nonché per il mancato accertamento della sussistenza dei suddetti quorum in seconda convocazione dell’assemblea.
Si costituiva il condominio eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione proposta e chiedendo il rigetto della domanda con la conseguente conferma della sentenza.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2164 del 29 marzo 2019, nel confermare integralmente la sentenza gravata, evidenziava non solo che la comunicazione fatta dall’appellante
all’amministratore di condominio, relativa al suo nuovo indirizzo di residenza, non poteva ritenersi regolarmente ricevuta in quanto effettuata ad un numero di fax diverso da quello indicato, ma anche che la convocazione dell’assemblea del 18/07/2010 era stata ritualmente effettuata in quanto pervenuta nella sua disponibilità la relativa lettera raccomandata e da questo successivamente rifiutata.
Il giudice di secondo grado ha poi condiviso le conclusioni ed il percorso logico-giuridico del Tribunale nel riconoscere la natura condominiale della piscina, in quanto individuata come tale nel regolamento condominiale e ritenuta bene privo di una sua autonomia e quindi pertinenza della proprietà condominiale, con conseguente ripartizione, anche nei confronti dell’appellante, delle spese di manutenzione e godimento della stessa.
Per la cassazione di tale sentenza l’Avv. NOME COGNOME propone ricorso sulla base di quattro motivi.
Il Condominio Ippocampo di Mare resiste con controricorso.
Le parti hanno anche depositato memorie.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per omesso esame della domanda di nullità per mancanza del quorum costitutivo e deliberativo della delibera assunta il 18/07/2010, per aver la Corte erroneamente rigettato la suddetta domanda sull’assunto che tale eccezione non fosse stata ritualmente dedotta nel giudizio di primo grado e quindi in violazione del divieto di nova in appello. In particolare, a parere del ricorrente, la pronuncia gravata sarebbe abnorme in quanto il giudice di secondo grado, nel motivare il proprio convincimento di
rigetto della domanda di invalidità, avrebbe erroneamente attribuito rilevanza al quorum deliberativo per l’approvazione della spesa per i lavori straordinari della piscina approvabili con il quorum ordinario ex art. 1136, co. 3, c.c., capo della sentenza che non sarebbe invece stato oggetto di censura in appello. In tal senso il ricorrente evidenzia come il vizio di carenza del quorum costitutivo e deliberativo e conseguentemente la nullità della delibera siano stati dallo stesso sostenuti e provati sia in primo sia in secondo grado, prospettando censure, inerenti alle deleghe ed alla irregolare presenza in assemblea, fondate su operazioni di ricalcolo del numero dei condomini presenti alla suddetta assemblea.
Il ricorrente, inoltre, lamenta la violazione del divieto di nova in appello da parte del condominio per aver sollevato eccezioni e deduzioni relative al quorum costitutivo esclusivamente in secondo grado.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.
E’ sicuramente esclusa la violazione della norma di cui all’art.112 c.p.c., atteso che la Corte d’Appello, lungi dall’omettere di pronunciare sulla domanda di invalidità della delibera de qua, per la pretesa violazione dei quorum costitutivi e deliberativi, ha in realtà ritenuto la stessa inammissibile, e comunque infondata nel merito.
In primo luogo, ha osservato che le contestazioni che investivano l’impossibilità di tenere contro della presenza di alcuni condomini, per eccesso del numero di deleghe conferite al soggetto che li rappresentava, e per l’impossibilità di riferire agli stessi le sottoscrizioni apposte margine del loro nominativo nell’elenco
riassuntivo dei condomini presenti, non erano state sollevate nel corso del giudizio di primo grado nel rispetto del termine previsto per legge. Ha inoltre soggiunto che, alla luce di quanto emergeva dal verbale di assemblea, il numero dei condomini partecipanti ed il corrispondente numero dei millesimi intervenuti escludeva l’invalidità della delibera alla luce del contenuto della stessa, che afferiva all’approvazione di lavori che sebbene straordinari, non imponevano un quorum più elevato, tenuto conto dell’ammontare della spesa che veniva a gravare su di ogni singolo condomino.
Lo stesso ricorrente, nella premessa dell’illustrazione del motivo, alla pag. 16 del ricorso, ribadisce che non ha inteso impugnare in appello la decisione del Tribunale quanto al rigetto dell’impugnativa per essere stata la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo prescritto in ragione della tipologia dei lavori approvati, così che appare evidente che la censura investa il mancato accoglimento della impugnativa sul presupposto che le dedotte carenze formali del verbale assembleare si sarebbero riflesse sulla corretta individuazione sia del numero dei condomini partecipanti all’assemblea sia sul quorum necessario in relazione ai millesimi effettivamente presenti in assemblea.
La tesi del ricorrente parte però da un erroneo presupposto in diritto e cioè che la violazione dei denunciati quorum si traduca in una nullità della delibera, conclusione questa che appare evidentemente contrastata dalla giurisprudenza di legittimità che, a partire da Cass. S.U. n. 4806/2005 (il cui contenuto risulta palesemente frainteso dalla difesa del ricorrente), ha affermato che debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con
oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto, risultando invece annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
Tale orientamento è stato poi nella sostanza ribadito, ma con un’ulteriore restrizione dell’ambito delle delibere suscettibili di essere qualificate in termini di nullità da Cass. S.U. n. 9839/2021, confermando quindi nelle sue argomentazioni la soluzione per la quale una delibera assunta in difetto delle maggioranze ovvero dei quorum costitutivi è solo annullabile, e non anche affetta da radicale nullità.
Una volta posta tale premessa, si palesa incensurabile la conclusione del giudice di appello che ha opinato per l’inammissibilità, in quanto affetta da novità, della deduzione di parte ricorrente, secondo cui la delibera sarebbe invalida per le denunciate violazione delle prescrizioni in punto di numero di deleghe attribuibili ad un singolo condomino, ovvero per l’assenza di valida sottoscrizione da parte di alcuni dei condomini presenti.
Trattasi all’evidenza di circostanze che, alla luce dei precedenti segnalati, determinerebbero la sola annullabilità della delibera, e che come tali andavano denunciate nel rispetto del termine prescritto per l’impugnazione della delibera stessa (cfr. con specifico riferimento al tema dell’eccesso di deleghe, Cass. n. 8015/2017, secondo cui la violazione della clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, comporta che la partecipazione all’assemblea di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento suddetto, determinando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa, senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione).
Correttamente la sentenza impugnata ha ricordato che le contestazioni de quibus non erano state ritualmente dedotte nel giudizio di primo grado (e la tardività deve affermarsi anche per il caso in cui l’allegazione del vizio sia stata dedotta per la prima volta con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., ), alla luce del fatto che i vizi individuati con l’atto di citazione si risolvevano nella denuncia dell’omissione di una valida convocazione del ricorrente e nel fatto che erano state pretese delle spese per un bene di cui si negava la comproprietà.
Rileva a tal fine il principio ripetutamente affermato da questa Corte per cui la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione (Cass. n. 16675/2018; conf., ex multis, Cass. n. 7258/2024; Cass. n. 24761/2020; Cass. n. 22963/2022).
Avendo l’attore limitato la sua domanda originaria di accertamento dell’invalidità ai soli vizi relativi al difetto di sua valida convocazione, ed alla carenza della qualità di comproprietario in relazione al bene i cui lavori di manutenzione erano stati approvati, è quindi evidente che le situazioni indicate nel motivo, che del pari a detta del ricorrente avrebbero determinato l’invalidità della delibera, fondano dei nuovi motivi di impugnazione, la cui inammissibilità è stata correttamente colta e dichiarata dalla Corte distrettuale.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi consistenti nel mancato esame di un mezzo di prova e di una prova legale. In particolare, il giudice di secondo grado, nell’omettere di considerare la lettera prioritaria del 25/07/2007 inviata all’odierno ricorrente dall’amministratore del condominio – dalla quale si evincerebbe che quest’ultimo sarebbe titolare di un terzo ufficio presso cui l’Avv. NOME COGNOME aveva correttamente comunicato il suo nuovo indirizzo di residenza -avrebbe erroneamente ritenuto non regolarmente ricevuta la suddetta comunicazione.
La sussistenza di un terzo ufficio emergerebbe inoltre dalla dichiarazione confessoria resa dall’amministratore all’udienza del
18/01/2012, anche questa, a parere del ricorrente, oggetto di omesso esame da parte della Corte territoriale.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c., avendo la sentenza impugnata confermato quella di primo grado, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a sostegno della decisione di primo grado, il che preclude ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
Inoltre, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020).
La formulazione del motivo denota chiaramente come il ricorrente intenda denunciare più un mancato apprezzamento di alcune prove, in particolare la lettera prioritaria del 25 luglio 2007, piuttosto che l’omesso esame di fatto decisivo, il che esclude che ricorra la dedotta violazione di legge.
Ma ancor più risolutivo è il rilievo che, anche a voler individuare nella mancata presa in esame della citata missiva, dalla quale a detta del ricorrente emergerebbe che l’amministratore dell’epoca avrebbe comunicato di mantenere uno studio in Terni, così che sarebbe valida la successiva comunicazione del ricorrente di voler ricevere le convocazioni solo nel nuovo indirizzo anagrafico, il fatto di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., lo stesso è carente del requisito della decisività.
Rileva a tal fine la circostanza che la sentenza impugnata ha ritenuto che fosse stata offerta la prova della rituale comunicazione della convocazione al ricorrente, per avere questi
rifiutato il ritiro del plico depositato presso l’ufficio postale, conclusione questa che rende recessiva la diversa questione concernente la comunicazione del nuovo indirizzo all’amministratore, avendo i giudici di appello ritenuto che l’atto fosse comunque giunto nella sfera del destinatario, che aveva però ritenuto opportuno non ritirarlo.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per violazione delle norme processuali sulla valutazione della prova legale in ordine alla lettera raccomandata di convocazione dell’assemblea del 18/07/2010 per aver la Corte territoriale erroneamente attribuito, ai fini del proprio convincimento, valenza di prova legale allo scritto ‘ rifiutato dal destinatario il 05/07/2010 ore 13,25, f.to illeggibile ‘ apposto sulla busta contenente la lettera raccomandata, negando, di contro, valenza di prova legale ai timbri apposti sulla stessa di ‘ compiuta giacenza al mittente ‘ ed alla data ‘ 5-7-10 ‘. In particolare, l’abnormità della decisione emergerebbe dall’assunto della Corte per cui il timbro della ‘ compiuta giacenza al mittente ‘ -che fotografa l’omissione del ritiro postale da parte del destinatario -attribuisce allo scritto ‘rifiuto’ valore di prova legale, in quanto, secondo il ricorrente, in assenza della conforme attestazione dell’operatore postale tale valore probatorio non sussisterebbe.
A parere del ricorrente, mentre la timbratura dell’attestazione di compiuta giacenza al mittente con l’indicazione della data sarebbe una dimostrazione certa del momento di creazione del documento, con effetti opponibili ai terzi, la datazione a penna
dello scritto del rifiuto non avrebbe lo stesso valore legale in quanto priva della conforme attestazione dell’operatore postale. Tale dicitura sarebbe stata apposta da ignoto successivamente alla restituzione del plico nelle mani del mittente.
Anche tale motivo è infondato.
Nela fattispecie, in ragione della data di adozione della delibera impugnata trova applicazione la giurisprudenza maturata nella vigenza dell’originario testo dell’art. 66 disp. att. c.c., a mente della quale, in tema di condominio degli edifici, non è previsto alcun obbligo di forma per l’avviso di convocazione dell’assemblea, sicché la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà delle forme, salvo che il regolamento non prescriva particolari modalità di notifica del detto avviso; deve, quindi, ritenersi legittima la prassi, precedentemente non contestata, in base alla quale l’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, destinato ad un condomino non abitante nell’edificio condominiale, venga consegnato ad altro condomino, congiunto del primo (Cass. n. 8449/2008).
Ne consegue che (Cass. n. 875/1999), poiché l’art. 1136 cod. civ. non prescrive particolari modalità di notifica ai condomini dell’avviso di convocazione per la regolarità delle relative assemblee, la comunicazione può essere data con qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo, e può essere provata da univoci elementi dai quali risulti, anche in via presuntiva, che il condomino ha, in concreto, ricevuto la notizia della convocazione.
Proprio in tema di notifica di atti giudiziari, è stato poi precisato che la notificazione in un luogo non coincidente con le risultanze
anagrafiche non determina la nullità del procedimento e della sentenza atteso che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale. (cfr. ex multis Cass. n. 8463/2023).
Nella fattispecie, la conclusione dei giudici di appello che hanno ritenuto valida la comunicazione della convocazione dell’assemblea presso la precedente residenza anagrafica del ricorrente non è censurabile.
Lo stesso ricorrente, infatti, riferisce che l’immobile sito alla INDIRIZZO, vecchia residenza del Mochi, era abitato ancora dalla madre, e che anche dopo il suo ricovero in una struttura assistenziale, era solito periodicamente recarsi nell’immobile al fine di provvedere al cambio degli abiti materni, attesa l’incapienza del mobilio messo a disposizione dalla struttura che l’ospitava.
Deve, quindi, escludersi che con il mutamento di residenza sia venuto meno ogni rapporto con il luogo ove è stata effettuata la convocazione, come peraltro confermato dal fatto che la corrispondenza proveniente dal condominio ed ivi indirizzata era stata ritirata dal COGNOME sia prima che dopo la convocazione oggetto di causa (cfr. pag. 4 della sentenza gravata).
Risulta incontestabile l’affermazione del giudice di appello che ha ritenuto che l’atto fosse giunto quindi nella sfera del destinatario, e che lo stesso sia stato volontariamente rifiutato, risultando
quindi assicurata la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c.
In tal senso rileva il contenuto della missiva di convocazione, che risulta essere stata restituita al mittente in data 5 luglio 2010. Assume parte ricorrente che l’atto non avrebbe portata probatoria adeguata, in quanto, pur riferendosi di una spedizione dell’atto avvenuta il 29 maggio 2010 (come da timbro di spedizione), l’annotazione resa dall’ufficiale postale di compiuta giacenza solo il 5 luglio 2010 non assicura il rispetto delle formalità di legge, non essendo stato assicurato il tempo minimo di deposito presso l’ufficio postale.
Il ricorrente trascura però di rilevare l’intero contenuto delle annotazioni operate dall’ufficiale postale, che, dopo aver effettivamente riportato la dizione di compiuta giacenza, ha successivamente riportato con un’annotazione a penna che l’atto sarebbe stato rifiutato dal destinatario il giorno 5 luglio 2010 alle ore 13,25, corredando tale annotazione di una firma che il ricorrente riferisce non leggibile.
Ritiene il Collegio che dal tenore complessivo dell’atto de quo emerga chiaramente come l’iniziale indicazione di ‘compiuta giacenza’ sia stata successivamente corretta con la precisazione che in realtà si era verificato il rifiuto del ritiro da parte del destinatario, recatosi presso l’ufficio postale a seguito del rinvenimento dell’avviso nella cassetta postale, rifiuto che ha determinato il perfezionamento della notifica, e quindi la possibilità di rimettere il plico al destinatario anzitempo.
Trattasi di annotazioni che provengono da ufficiale postale e quindi munite di fidefacienza, suscettibile di essere contestata
solo a mezzo della proposizione della querela di falso. Inoltre, proprio il carattere integrativo della dichiarazione relativa al rifiuto, rispetto all’iniziale affermazione della compiuta giacenza, consente di riferire la portata certificativa del timbro postale anche alla successiva dichiarazione, che costituisce parte integrante di quella per la quale è stato pacificamente apposto il timbro, a detta dello stesso ricorrete.
Né appare contestabile, con le modalità operate dal ricorrente, il fatto che non vi sarebbe certezza circa la persona recatasi a compiere il ritiro dell’atto, salvo poi rifiutarlo, occorrendo a tal fine richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’annotazione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento, dalla quale risulti il rifiuto senza ulteriore specificazione circa il soggetto (destinatario, oppure persona diversa abilitata a ricevere il plico) che ha in concreto opposto il rifiuto, può legittimamente presumersi riferita al rifiuto di ricevere il plico o di firmare il registro di consegna opposto dal destinatario, con conseguente completezza dell’avviso, e dunque legittimità e validità della notificazione (Cass. n. 16237/2018; Cass. n. 5206/2012), non senza trascurare che nella fattispecie risulta espressamente indicata la persona del destinatario, come quella che aveva opposto il rifiuto al ritiro.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio del sollecito e del leale svolgimento del processo, la carenza di potestas iudicandi e la nullità della sentenza sul punto di doglianza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte territoriale errato nel ritenere pertinente il giudizio espresso dal giudice di prime cure
in ordine alla relazione di accessorietà esistente tra il bene comune (la piscina) e la proprietà del ricorrente. Al contrario il ricorrente non avrebbe mai domandato al Tribunale di pronunciarsi sulla relazione di accessorietà che lega il bene comune con la propria unità immobiliare, ma anzi avrebbe domandato esclusivamente una pronuncia sulla mancanza di titolarità della comproprietà della piscina e per l’effetto di non essere tenuto al pagamento delle spese di conservazione e godimento.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.
Dalla narrazione dei fatti emerge chiaramente che il motivo sostanziale che era stato posto a fondamento dell’impugnativa della delibera condominiale era rappresentato dall’affermazione del ricorrente secondo cui nulla poteva essergli addebitato a titolo di spese di manutenzione della piscina, sul presupposto che egli non fosse comproprietario della stessa, per non essergli opponibile il regolamento di condominio e per non riconoscere un nesso di pertinenzialità con la sua proprietà esclusiva. Emerge con evidenza che l’oggetto del giudizio investiva, ancorché al fine di pervenire alla declaratoria di invalidità della delibera condominiale, l’accertamento circa la natura condominiale del bene cui si riferiva la delibera di spesa.
La sentenza impugnata, una volta riscontrata l’avvenuta trascrizione del regolamento di condominio, che appunto contemplava la piscina tra i beni comuni, ha rigettato la censura del ricorrente, ravvisando in capo al medesimo la qualità di comproprietario. Risulta del tutto priva di fondamento la deduzione del Mochi secondo cui vi sarebbe stata una violazione
dell’art. 112 c.p.c., avendo i giudici di merito doverosamente esaminato la questione che, in base alle stesse doglianze del ricorrente, avrebbe determinato l’invalidità della delibera.
Per il resto il motivo, nella parte in cui evidenzia la distanza della piscina dalla sua proprietà esclusiva, pone delle evidenti censure di merito, mirando a sollecitare alla Corte un non consentito novello apprezzamento delle emergenze istruttorie.
Il ricorso è perciò rigettato, ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 2.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato per l’appello a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 aprile 2025