Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8315 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8315 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12266/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocata INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in CADERZONE TERME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRENTO n. 26/2019 depositata il 1° febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 26/2019 della Corte d’appello di Trento, pubblicata il 1° febbraio 2019.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di Caderzone Terme.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4quater , e 380 bis.1, c.p.c. Le parti hanno depositato memorie.
2.1. È priva di fondamento l’eccezione di ‘improcedibilità del ricorso per mancata produzione della sentenza impugnata munita della relativa relata di notifica’, sollevata dal controricorrente nella memoria del 1° marzo 2024. La ricorrente ha depositato, agli effetti dell’art. 369, comma 2, c.p.c., copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione avvenuta il 5 febbraio 2019.
La Corte d’appello di Trento ha respinto il gravame della RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 792/2017 del Tribunale di Trento. È’ stato così confermato il rigetto della opposizione al decreto ingiuntivo n. 810/2015 per la riscossione di contributi condominiali dell’importo di € 6.292,96, nonché della impugnazione della deliberazione assembleare 20 agosto 2014 del RAGIONE_SOCIALE e delle altre domande avanzate in riconvenzionale dalla condomina opponente RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c. e dell’art. 1123 c.c. La ricorrente deduce l’esistenza di tabelle millesimali ‘di natura contrattuale’, imposte da essa stessa, quale costruttrice dell’edificio condominiale, a tutti gli acquirenti delle unità immobiliari, per inferirne la nullità della deliberazione di riparto delle spese approvata in data 20 agosto 2014 dall’assemblea del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in quanto difforme da tali tabelle, sicché avrebbe errato la Corte di appello di Trento nel dichiarare la società condomina decaduta ex art. 1137 c.c. dall’impugnazione.
4.1. Questo primo motivo di ricorso è del tutto infondato, in quanto poggia su un’erronea ricostruzione delle questioni di diritto dirimenti.
4.2. Innanzitutto, le tabelle millesimali si definiscono ‘contrattuali’, in quanto tali postulanti il consenso unanime dei condomini sia per la loro approvazione che per la loro modificazione, allorché esse non rivelino un contenuto meramente ricognitivo dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge (nel qual caso è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c.), ed abbiano piuttosto inteso espressamente derogare al regime legale di ripartizione delle spese, e così approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c. (ex multis, Cass. n. 6735 del 2020; Cass. Sez. Unite n. 18477 del 2010). Il primo motivo di ricorso parte, invece, dal fallace presupposto interpretativo per cui sono ‘contrattuali’ le tabelle millesimali predisposte dal costruttore-venditore e richiamate nei titoli di acquisto delle porzioni individuali, come si sosteneva in giurisprudenza prima del chiarimento offerto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18477 del 2010: non può, invero, riconoscersi natura contrattuale alle tabelle millesimali per il sol fatto che siano state allegate ai titoli di acquisto, avendo tale natura, piuttosto, come già detto, le sole tabelle dalle quali risulti espressamente che si sia inteso con esse derogare al regime legale di ripartizione delle spese.
4.3. Il primo motivo di ricorso contrasta, poi, essenzialmente, i principi enunciati nella sentenza n. 9839/2021 delle Sezioni Unite, che invece vanno riaffermati: nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via d’azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione; ne consegue
l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca solo l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.
Trattandosi, nella specie, di delibera di ripartizione delle spese, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.
Ciò che la ricorrente prospetta è che la deliberazione assembleare 20 agosto 2014 del RAGIONE_SOCIALE fosse contraria alle tabelle millesimali valide e tuttora vigenti, essendosi piuttosto uniformata ad una pratica illegittima insorta a far data dall’anno 1987.
Tuttavia, una sequenza di delibere di suddivisione delle spese condominiali in concreto adottate in violazione della vigente tabella millesimale, ed in quanto tali annullabili, alla stregua della richiamata sentenza n. 9839 del 2021, ma di fatto non impugnate da alcuno, resta un dato intrinsecamente equivoco e non depone affatto per una volontà tacita o presunta di approvare o variare le tabelle pro futuro (il che porterebbe, ad un certo punto della progressione, a ravvisarne la nullità): secondo, del resto , l’ormai costante interpretazione di questa Corte, l’atto di approvazione o di revisione delle tabelle millesimali deve avere la veste di una deliberazione assembleare e perciò non sono configurabili approvazioni o revisioni per “facta
concludentia” (Cass. 5258 del 2023; n. 30305 del 2022; n. 26042 del 2019; n. 8863 del 2005).
5. Il secondo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2051 c.c. La censura attiene al rigetto del secondo motivo di appello. Si tratta del danno da infiltrazioni subito dalle unità immobiliari di proprietà RAGIONE_SOCIALE dedotto a pagina 7 dell’atto di opposizione. Per la ricorrente sarebbe bastato aver riguardo alla indicazione degli immobili danneggiati fatta nell’atto introduttivo del giudizio, alle allegate planimetrie e fotografie, alle risultanze dei verbali assembleari che segnalavano i ‘problemi di infiltrazione e di umidità’. Tali infiltrazioni esistevano da anni ed erano ancora in corso nel 2014. La Corte d’appello ha invece rimarcato che l’opponente, attrice in riconvenzionale, non aveva formulato alcun capitolo di prova per confermare l’esistenza delle infiltrazioni, non essendo le stesse dimostrate sufficientemente dalle riproduzioni fotografiche esibite.
5.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Dietro la deduzione di una violazione di norme di diritto, la ricorrente auspica in realtà che questa Corte di legittimità proceda ad un diverso apprezzamento dei fatti e delle prove e riesamini il merito della causa, ribaltando il conforme esito negativo dei primi due gradi di giudizio, in maniera da convincersi che le risultanze istruttorie erano idonee a dimostrare i fatti in discussione e doveva perciò dirsi assolto dall’attrice l’onere ex art. 2697 c.c. D’altro canto, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. Un. n. 20867 del 2020).
Non può certo pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata, affermando che le allegazioni contenute nell’atto introduttivo di causa, le planimetrie e le fotografie prodotte e i richiamati verbali di assemblea fissassero incontrovertibilmente i fatti costitutivi essenziali del verificarsi dell’evento dannoso a carico della proprietà RAGIONE_SOCIALE e del suo rapporto di causalità con beni in custodia al RAGIONE_SOCIALE.
Il terzo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. La censura attiene al rigetto del terzo motivo di appello.
Qui si tratta della pretesa responsabilità del RAGIONE_SOCIALE per aver piantato alberi che pregiudicano la proprietà RAGIONE_SOCIALE di quattro posti auto. La Corte trentina sul punto ha evidenziato che la difesa del RAGIONE_SOCIALE aveva obiettato che era stata proprio la costruttrice RAGIONE_SOCIALE a mettere a dimora gli alberi, senza che tale allegazione venisse contestata dalla ricorrente.
6.1. Il terzo motivo è manifestamente infondato per ragioni analoghe a quelle spiegata in relazione al secondo motivo.
Si chiede alla Corte di cassazione di sovvertire l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito di primo e di secondo grado di rinvenire nelle planimetrie e nelle fotografie prodotte prova univocamente
sufficiente per conclamare la professata responsabilità della controparte per la piantagione degli alberi.
Il quarto motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE ripercorre il quarto motivo di appello e lamenta un ‘vizio di interpretazione della domanda’ relativa alla mancata fruizione della servitù di passaggio costituita in favore di NOME, legale rappresentante della stessa società ricorrente.
La Corte d’appello ha affermato che la società non avesse legittimazione attiva al riguardo. La censura replica che la RAGIONE_SOCIALE non ha mai inteso agire a tutela dei diritti di NOME, avendo essa chiesto tutela del proprio diritto di proprietà sui quattro posti auto.
7.1. Il quarto motivo è inammissibile per due ragioni: sia perché non critica specificamente l’ulteriore autonoma ratio decidendi adoperata nella sentenza impugnata, secondo cui non era stata contestata dall’opponente attrice l’allegazione del RAGIONE_SOCIALE di non aver mai chiuso l’accesso; sia perché la ricorrente non ha interesse ad impugnare (se non per l’eventuale, non dedotto, riflesso sulla regolamentazione delle spese di lite) la statuizione di difetto di legittimazione con riguardo a domanda che assume invece di non aver mai proposto. Per il resto, il quarto motivo trova risposta nel rigetto del terzo motivo di ricorso.
8. Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dal controricorrente, che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione