Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16397 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16397 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16796/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO INDIRIZZO ANCONA, rappresentato e difeso dall’avvocata COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 369/2019 depositata il 14/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Presidente NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 369/2019 della Corte d’appello di Ancona.
Resiste con controricorso il Condominio INDIRIZZO di Ancona. Il ricorso è stato fissato per la decisione in camera di consiglio a norma degli artt. 380bis .1 e 375, comma 2, c.p.c.
Ricorrente e controricorrente hanno depositato memorie.
NOME COGNOME propose impugnazione ex art. 1137 c.c. avverso la delibera adottata in data 27 marzo 2007 dall’assemblea del Condominio INDIRIZZO di Ancona, con la quale si approvavano ‘lavori di manutenzione ai balconi e alle facciate dell’edificio ed incarico alla ditta prescelta’, in base al computo metrico redatto dall’ingegnere S.BCOGNOME, tecnico diverso da quello incaricato con la precedente delibera del 26 maggio 2005. Il ricorrente rilevava la diversità del tecnico nominato e le differenze dai lavori di ‘manutenzione straordinaria; grondaie, balconi, crepe, cornicioni’ su cui si era deciso con la più risalente delibera. Il condomino NOME COGNOME lamentava anche la diversa entità e il maggior costo dei lavori deliberati il 27 marzo 2007. Il Tribunale di Ancona con sentenza del 27 maggio 2014 dichiarò tuttavia improcedibile il ricorso per essere cessata la materia del contendere, in quanto una successiva delibera assembleare del 19 dicembre 2007 aveva poi approvato i lavori, la contabilità e il riparto delle spese programmati con la delibera 27 marzo 2007. La Corte d’appello di Ancona, investita dal gravame di NOME COGNOME sul merito della lite, ovvero sul contenuto delle plurime delibere assembleari succedutesi nel tempo, ha respinto l’appello, condannando l’appellante alle spese processuali del grado.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo ed il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME denunciano la ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1362 e 1105 c.c., 66 disp. att. c.c., 115 e 116, 132 c.p.c., 118 disp att. c.p.c., 111 Cost., nonché l’omesso esame circa fatti decisivi, quanto alla differente portata delle successive delibere adottate dal Condominio il 26 maggio 2005, il 21 marzo 2006 e il 27 marzo 2007.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1105 c.c., 66 disp. att. c.c., 132 c.p.c., 118 disp att. c.p.c., 111 Cost., quanto alla nomina del direttore dei lavori.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1105 e 1135 c.c., 66 disp. att. c.c., esponendo che la volontà dei condomini si era già manifestata al di fuori dell’assemblea del 27 marzo 2007.
Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1120, 1121, 1136 c.c., 66 disp. att. c.c., 112 e 132 c.p.c., 118 disp att. c.p.c., 24 e 111 Cost., nonché l’omesso esame circa fatti decisivi, quanto al carattere voluttuario e gravoso delle opere approvate.
1.1. I primi cinque motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, giacché avvinti da un comune profilo di inammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
1.2. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali (tra le tante, Cass. 21 febbraio 2023, n. 5319), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese ad
una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell’impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche al momento della decisione.
1.3. – Per la verità, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge determina la cessazione della materia del contendere a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che, cioè, provveda sui medesimi argomenti della deliberazione impugnata, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. 8 giugno 2020, n. 10847; Cass. 11 agosto 2017, n. 2017).
1.4. – Se, invece, l’assemblea, nella sua autonomia, revoca una precedente deliberazione, nel frattempo impugnata, e ne adotta una nuova, non coincidente però con la prima, non si pone la questione della rinnovazione sanante con effetti retroattivi ai sensi del citato art. 2377 c.c., giacché alla delibera revocata non è più ricollegabile alcun effetto, mentre gli effetti della seconda decorrono soltanto da quando essa sia stata assunta. In tal caso, la revoca della delibera impugnata giustifica la pronuncia di cessazione della materia del contendere.
1.5. -Quando, dunque, nel corso del giudizio di impugnativa sopravviene la sostituzione della delibera oggetto di domanda, spetta al giudice verificare la avvenuta rimozione della precedente causa di invalidità ed accertare se la deliberazione ratificante sia immune da vizi, anche se contro di essa non sia stata proposta autonoma impugnazione. Soltanto se la sostituzione della originaria
deliberazione abbia privato di ogni efficacia quella, assorbendone il contenuto, la più recente viene a porsi come nuova fonte del rapporto o della situazione giuridica già costituiti.
Il condomino impugnante può, quindi, ritenersi spogliato dell’interesse ad opporsi all’iniziale delibera quando la nuova decisione dell’assemblea porta con sé una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella posta a fondamento della sperimentata azione ex art. 1137 c.c., tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza da pronunciare.
1.6. – Del tutto diverso è il caso in cui, in pendenza del giudizio di impugnazione di una prima delibera, subentri una seconda delibera meramente confermativa di quella iniziale, semmai proprio allo scopo di eludere gli effetti della originaria impugnativa. La sopravvenuta delibera dell’assemblea di condominio meramente confermativa di quella sub iudice non solo non smentisce la permanente utilità della sentenza da rendere, ma neppure va impugnata di nuovo dal condomino leso, in quanto mancante di un carattere autonomamente lesivo.
2. -E’ qui però avvenuto per quanto espongono anche lo stesso ricorrente e la Corte d’appello – che il Tribunale di Ancona, dinanzi al quale pendeva il giudizio ex art. 1137 c.c. avente ad oggetto la delibera adottata in data 27 marzo 2007, con cui si erano approvati ‘lavori di manutenzione ai balconi e alle facciate dell’edificio ed incarico alla ditta prescelta’, informato dell’adozione di una successiva delibera assembleare del 19 dicembre 2007, che aveva approvato i lavori, la contabilità e il riparto delle spese (dunque, in realtà meramente confermativa di quella sub iudice ), dichiarò non di meno improcedibile il ricorso per essere cessata la materia del contendere, con statuizione non impugnata in appello.
2.1. – Ove il giudice rilevi la cessazione della materia del contendere in tema di impugnazione di delibera condominiale, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377, comma 8, c.c. (il quale espressamente dispone, peraltro, nel testo successivo al d.lgs. n. 6 del 2003, che ‘… il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società…’), la pronuncia finale sulle spese viene regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, sicché il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l’originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull’onere delle spese.
2.2. -Il ricorrente non risulta, dunque, essersi doluto nel merito contestando l’esistenza del presupposto per emettere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in ragione del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio. Egli si è dunque limitato inammissibilmente a contestare la decisione per questioni di merito (Cass. Sez. Unite, 9 luglio 1997, n. 6226, Cass. 1° giugno 2004, n. 10478; Cass. 6 maggio 2010, n. 10960; Cass. 28 maggio 2012, n. 8448; Cass. 13 luglio 2016, n. 14341). Essendo invece sottratta all’ambito del devoluto in sede di appello, e conseguentemente vieppiù del devoluto in sede di legittimità, la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale perciò è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., va ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di delibare, appunto, il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, decidere, cioè, se la domanda avrebbe dovuto essere accolta o rigettata nel caso in cui non fosse intervenuta la cessazione della materia del contendere, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar
conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei.
3. -Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto:
quando nel corso del giudizio di impugnazione di deliberazione condominiale, la delibera impugnata viene sostituita con altra adottata dall’assemblea avente identico contenuto, previa rimozione dell’iniziale causa di invalidità, e il giudice dichiara perciò cessata la materia del contendere, contro tale pronunzia la parte può dolersi in sede di gravame solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla o la regolamentazione delle spese di lite, risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, ed in particolare quelli attinenti al merito della causa, ovvero, nella specie, quelli attinenti ai profili di invalidità della medesima deliberazione.
-Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.m. 127/2004, del d.m. n. 55/2014 e della l. n. 247 del 2012, assumendosi che il valore della causa, ai fini della individuazione dello scaglione tariffario delle spese di lite, dovesse individuarsi in base al valore della quota di spese attribuita al COGNOME dalla delibera impugnata (€ 18.000,00), mentre la Corte d’appello ha utilizzato lo scaglione della causa di valore indeterminabile.
4.1. -Il motivo va respinto, giacché non considera il più recente, ma ormai consolidato, orientamento di questa Corte, secondo cui nell’azione di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio, che sia volta ad ottenere una sentenza di annullamento avente effetto nei confronti di tutti i condomini, il valore della causa (anche in relazione alle spese giudiziali) deve essere determinato sulla base dell’atto impugnato, e non sulla base dell’importo del
contributo alle spese dovuto dall’attore in base allo stato di ripartizione, non operando la pronuncia solo nei confronti dell’istante e nei limiti della sua ragione di debito (Cass. 21 marzo 2022, n. 9068).
4.2. -La contestazione circa la liquidazione delle spese vive per € 1.943,40, criticata genericamente dal ricorrente perché ‘non trova giustificazione alcuna’, è comunque inammissibile, giacché l’errore nella determinazione della misura delle spese vive, sostenute dalla parte vittoriosa, può essere emendato o con il procedimento di correzione di cui all’art. 287 c.p.c., o per mezzo del procedimento di revocazione del provvedimento che le ha liquidate, ma non col ricorso per cassazione (tra le tante, Cass. 22 maggio 2023, n. 14006).
5. – Il ricorso viene perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione