Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22025 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22025 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
sul ricorso iscritto al n. 6781/2024 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
ROMANO(CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege
-ricorrente-
contro
SEDDA COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con domicilio digitale ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 283/2023 depositata il 23/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 19 marzo 2024 NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari n. 283/2023, pubblicata il 26.9.2023. La controricorrente COGNOME NOME in data 23 aprile 2024 ha depositato controricorso.
Il giudizio veniva promosso dal ricorrente per accertare l’illegittima interruzione, da parte dell’amministratore della comunione, dell’erogazione di acqua proveniente da pozzi comuni di raccolta delle acque destinati a irrigare i fondi dei singoli partecipanti alla comunione, nonché il risarcimento del danno per la perdita delle piante del proprio fondo. La Corte distrettuale, dopo avere ritenuto (contrariamente al giudice di prime cure) la legittimazione passiva della convenuta (qui controricorrente) in quanto amministratrice in regime di prorogatio della comunione, confermava la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria.
Più precisamente, la Corte d’appello riteneva che, vertendo la controversia in materia di comunione e non di condominio, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 2299/2022, non si potesse configurare un eccesso di potere assembleare in grado di determinare la nullità della delibera che aveva disposto il distacco dell’erogazione, per morosità dell’attore, e che la decisione dell’assemblea che aveva impedito il godimento individuale di un bene comune, adottando una misura non prevista nel Regolamento per i casi di morosità, fosse riconducibile all’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 1108 c.c. e, integrando un atto eccedente l’ordinaria amministrazione pregiudizievole all’interesse di uno dei partecipanti alla comunione, avrebbe dovuto essere impugnata dal comunista ai sensi dell’art. 1109 c.c. La mancata impugnazione della delibera assembleare imponeva pertanto di ritenere assorbite le questioni relative alla sussistenza o meno della morosità del Cois, alle sue richieste di pagamento, ai contrasti tra i condomini e l’amministratore; anche a voler considerare nulla la deliberazione
assembleare, riteneva comunque non provata la domanda dell’attore riguardo ai danni da lui subiti a seguito della illegittima interruzione dell’erogazione dell’acqua proveniente dai pozzi comuni, poiché era stata interrotta solo la fornitura dell’acqua dei pozzi ed il Cois, che disponeva dell’acqua del servizio idrico integrato, avrebbe potuto provvedere alla irrigazione con tale liquido, mentre andava esclusa la rilevanza dell’ordinanza del 1995 del Comune di Quartu che vietava l’uso dell’acqua per utilizzi domestici, non essendo stata offerta la prova della perdurante vigenza di tale provvedimento.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è affidato a due motivi.
Motivo 1) . Il ricorrente deduce ‘ex art. 360 cpc n. 3, 5: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio’. Sotto il profilo della violazione in iure dei principi giurisprudenziali sull’eccesso di potere assembleare, il ricorrente assume l’erroneità della decisione nell’avere dato rilievo alla mancata impugnazione della delibera che ha impedito al comunista l’accesso alle cisterne comuni, ex art. 1109 c.c., entro il termine di decadenza di trenta giorni, sostenendo che il precedente richiamato sia applicabile solo nei casi in cui la comunione possa sciogliersi, non rientrante nel caso de quo . Il Cois lamenta, altresì, che la Corte d’Appello abbia omesso la pronuncia riguardo alle denunciate violazioni delle norme sul mandato quale profilo di responsabilità della convenuta e sui danni.
Motivo 2) . Il ricorrente deduce ex art. 360 n. 3, 5 c.p.c. ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti (art. 2043 c.c. in rapporto all’art. 388 c.p.; art. 112 cpc). Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Omessa pronuncia su una voce autonoma di danno e omessa motivazione’. Afferma costituire un illecito il fatto che, dopo la decisione di interrompere la condotta idrica che portava l’acqua dei pozzi al giardino di sua proprietà
(nonostante le diffide in senso contrario inviate dal medesimo), la Amministratrice della Comunione mandò un escavatore e tre operai a tagliare i tubi che correvano sottoterra, apponendovi una chiusura ‘meccanica’ rinterrando il tutto; pretende, oltre ai danni cagionati al giardino a causa della interruzione dell’acqua, quale danno a sé stante, la refusione delle spese occorrenti per effettuare il ripristino dell’allaccio alle cisterne (costi dell’ escavatore per scavi, ripristino della condotta e rinterro): ripristino ordinato dal Giudice del cautelare sul quale la sig.ra COGNOME era rimasta del tutto inottemperante; deduce che la Corte d’appello abbia, per tale via, omesso di considerare la violazione dell’art. 388 c.p. e tale differente deduzione.
4.1. Il primo motivo è infondato. La Corte d’appello, dopo avere escluso che la fattispecie possa essere regolata secondo norme e principi in tema di condominio di edifici, ha correttamente applicato il principio per cui, in tema di comunione ” pro indiviso ” di beni immobili, sono irrilevanti i principi elaborati in tema di assemblea condominiale sull’eccesso di potere, sia in ragione della diversità delle regole afferenti alla convocazione e allo svolgimento dell’assemblea, sia della facoltà, concessa ai comunisti, di risolvere ogni questione attraverso l’esercizio del diritto potestativo di richiesta di divisione del bene, sicché le deliberazioni adottate dall’assemblea dei comunisti non possono essere impugnate per il vizio di eccesso di potere assembleare o per conflitto di interesse, ma esclusivamente per le ragioni indicate dall’art. 1109 c.c. (Cass. Sez. 2 -, sentenza n. 2299 del 26/01/2022; Cass. Sez. 2, sentenza n. 25128 del 14/10/2008).
4.2. La figura dell’eccesso di potere, nel diritto privato, ha la funzione di superare i limiti di un controllo di mera legittimità sulle espressioni di volontà riferibili ad enti collettivi (società o condominii), che potrebbero lasciare prive di tutela situazioni di non consentito predominio della maggioranza nei confronti del
singolo; essa presuppone, tuttavia, la sussistenza di un interesse dell’ente collettivo che si dimostra leso insieme all’interesse del singolo (Cass. Sez. 6 -2, ordinanza n. 4216 del 21/02/2014). Pertanto, la Corte distrettuale, dopo avere esaminato la questione sotto il profilo fattuale, ha coerentemente escluso che la deliberazione impugnata palesasse detto vizio di legittimità. Né nel motivo si fa riferimento alla sussistenza di un pregiudizio ricadente tanto sul singolo, quanto sul bene comune.
4.3. La dedotta omissione che ne è in tesi derivata (di mancata valutazione della dedotta violazione delle norme sul mandato inerenti all’amministratore della comunione), pertanto, non si pone in termini di difetto di motivazione per la mancata considerazione di un fatto rilevante ex art. 360 n. 5 c.p.c., perché è invece consequenziale alla ritenuta infondatezza della deduzione di illegittimità della delibera. Ne deriva l’assorbimento della questione della violazione degli obblighi inerenti al mandato per avere l’Amministratrice dato esecuzione a tale delibera e il rilievo che non si tratta, in realtà, di una circostanza rilevante omessa in grado di compromettere la tenuta della motivazione (Cass. SU 8053/2014).
4.4. E così la medesima considerazione vale riguardo alla ritenuta mancata prova dei danni, e conseguente rigetto della richiesta di CTU valutativa sull’entità degli stessi, posto che tale asserto attiene a una seconda ratio decidendi sulla mancata prova del danno da risarcire, nonché sulla inesistenza di un divieto comunale ad innaffiare il giardino con l’acquedotto e di assolvimento dell’onere della prova (art. 2697c.c.), anche in rapporto alla mancata contestazione del convenuto ex art. 115 e 167 c.p.c., essendo tutte considerazioni espresse ad abundantiam rispetto alla primaria ratio decidendi di infondatezza della pretesa per inutile decorso del termine per impugnare la delibera. Sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente alla primaria ragione del decidere rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti alla secondaria ratio decidendi ,
i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3 -, ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3 -, ordinanza n. 5102 del 26/02/2024).
4.5. Il secondo motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. perché non si confronta con la ratio decidendi e, soprattutto, non impinge l’argomentazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sul punto per essere stata la condotta dell’acqua definitivamente chiusa per vetustà. La Corte d’appello, pur riconoscendo che effettivamente il Tribunale nulla aveva motivato riguardo alla sussistenza per i danni conseguenti alla mancata esecuzione del provvedimento possessorio del 17.1.2013, ha ritenuto che ‘ nessuna responsabilità poteva configurarsi per la mancata esecuzione del provvedimento in quanto era risultato pacifico in causa che quanto meno dal mese di settembre 2011 era cessata per tutti i comunionisti l’erogazione integrativa con l’acqua dei pozzi comuni, per la rottura del serbatoio di raccolta e per la vetustà del sistema di distribuzione, senza che sia stato in alcun modo contestato che non sia stata realizzata quella possibilità di ripristino prospettata dall’assemblea del 17.4.2011, richiamata nel provvedimento possessorio a sostegno della permanenza dell’interesse del Cois comunque ad una pronuncia. E’ di tutta evidenza che la cessazione per tutti i comunisti dell’erogazione integrativa di acqua per il deterioramento dell’impianto rendeva impossibile il ripristino di tale erogazione in favore del Cois ‘ (v. sentenza impugnata p. 13).
4.6. L’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere
enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. SU 23745 del 28/10/2020).
In conclusione il ricorso va complessivamente rigettato, con spese e contributo unificato da porsi a carico del ricorrente soccombente; spese liquidate come di seguito in base alle tariffe vigenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 22/05/2025.