Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2460 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2460 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2449/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocata COGNOME NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO Ascoli Piceno, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo pec: EMAIL
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO n. 762/2022, pubblicata il 18/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 762/2022, pubblicata il 18 novembre 2022.
Ha resistito con controricorso l’intimato Condominio ex Villa Piredda, in Ascoli Piceno, INDIRIZZO
Le parti hanno depositato memorie.
Il Tribunale ha rigettato gli appelli riuniti avverso due sentenze del Giudice di pace di Ascoli Piceno, che avevano respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo e l’opposizione a precetto per il pagamento di contributi condominiali intimati alla condomina COGNOME quale quota di spettanza risultante nel bilancio consuntivo per la gestione ordinaria del condominio 2018/2019.
Quanto all ‘ opposizione al decreto ingiuntivo, il Tribunale ha sostenuto che la condomina COGNOME aveva sollevato un ‘ eccezione di annullabilità della delibera assembleare del 6 marzo 2019 di ripartizione delle spese, senza che la stessa avesse ritualmente proposto azione di annullamento, sia pure nelle forme della domanda riconvenzionale nel medesimo giudizio di opposizione.
Quanto all ‘ opposizione al precetto, il Tribunale ha rilevato che con essa potevano farsi valere le sole ragioni attinenti alla stessa mancanza del titolo esecutivo, nella specie costituito dal decreto emesso dal Giudice di pace, fondato, peraltro, non sulla fattura emessa dalla ‘RAGIONE_SOCIALE nei confronti del condominio per i lavori effettuati in suo favore, ma sulla citata delibera assembleare approvata a maggioranza in data 6 marzo 2019, che aveva ripartito le spese per la gestione ordinaria del condominio per l’anno 2018/2019.
1.Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., nonché degli artt. 1129, 1130, 1135, commi 2 e 3, e 1137 c.c., nonché la nullità della sentenza.
La censura riprende le doglianze della condomina COGNOME, collegate ad una fattura per lavori di potatura alberi emessa dalla RAGIONE_SOCIALE ed intestata al Condominio, il cui importo (€ 1.776,68),
ad avviso della ricorrente, non poteva essere chiesto alla stessa per intero.
1.1. – Il motivo è infondato.
Come affermato dalla sentenza impugnata, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. n. 15696 del 2020).
La delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel processo di opposizione a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere.
Dall’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, pertanto, per effetto della vincolatività tipica dell’atto collegiale stabilita dal primo comma dell’art. 1137 c.c., discende l’insorgenza, e quindi anche la prova, dell’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio o per la prestazione dei servizi nell’interesse comune (Cass. n. 11981 del 1992).
Alla stregua dei principi enunciati nella sentenza Cass. Sez. Unite n. 9839 del 2021, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia
dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.
Pertanto, un preventivo o un rendiconto consuntivo approvato dall’assemblea, che -come assume la ricorrente -includa indebitamente tra le voci di uscita spese sostenute dal condominio per la realizzazione di un intervento di manutenzione e ripartisca erroneamente le stesse spese, per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., deve comunque essere impugnato dai condomini assenti, dissenzienti o astenuti nel termine stabilito dall’art. 1137, comma 2, c.c., non essendo consentito rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera (cfr. Cass. n. 3747 del 1994; n. 3291 del 1989; n. 5254 del 2011; in particolare, n. 3402 del 1981).
Gli ipotizzati vizi della delibera assembleare di approvazione del bilancio consuntivo 2018/2019 avrebbero potuto dare luogo, al più, all’annullabilità della stessa, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza Cass. Sez. Unite n. 9839 del 2021, non essendo stata dedotta una modificazione dei criteri legali di riparto delle spese da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri, sicché tali vizi non potevano essere sindacati dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tale delibera (e tanto meno in sede di opposizione al conseguente precetto), in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento.
1.2. – La ricorrente sbaglia ad intendere che il titolo su cui fondava il credito azionato dal Condominio in sede monitoria fosse la fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE (fattura di cui deduce anche la falsità), e non invece la deliberazione assembleare di approvazione del rendiconto e di ripartizione delle spese per la gestione ordinaria dell’esercizio. Era dunque avverso la delibera, e non avverso la fattura commerciale, che la condomina intimata avrebbe dovuto svolgere le sue contestazioni in sede di opposizione.
1.2.1. -La ricorrente sostiene anche che i giudici del merito avrebbero dovuto ‘trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica’ per il reato di ‘fatture fasulle’, a mente, probabilmente, dell’art. 3 dell’abrogato codice di procedura penale del 1930. L’inosservanza di un siffatto obbligo, peraltro non più stabilito nel codice di procedura penale approvato con d.P.R. n. 447 del 1988, non può comunque essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione, restando salva la facoltà delle parti di denunziare direttamente i reati che ritengano emergere dagli atti del giudizio (Cass. n. 3711 del 1989; Cass. n. 10490 del 2009).
Così pure i profili di irregolarità fiscali su cui insiste la ricorrente nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. del 16 gennaio 2025, esponendo i recenti esiti di un esposto inoltrato all’Agenzia delle Entrate, non incidono sulla validità del titolo costitutivo del credito azionato dal Condominio, trovando semmai nel sistema tributario le relative sanzioni (cfr. Cass. n. 8577 del 2024, punto 8.7. della motivazione).
1.3. -Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto:
nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali in base al rendiconto ed allo stato di ripartizione approvati dall’assemblea, il giudice può sindacare sia la nullità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità della stessa dedotta mediante
apposita domanda riconvenzionale, mentre non assumono rilievo le contestazioni mosse dal condomino intimato sulla consistenza probatoria dei documenti giustificativi delle spese rendicontate, dovendo gli stessi essere controllati in sede di approvazione e di eventuale impugnazione del bilancio.
Tanto meno i vizi della deliberazione di approvazione del consuntivo possono essere fatti valere mediante opposizione a precetto intimato per il pagamento delle spese condominiali in base ad un decreto ingiuntivo seguito dal rigetto della relativa opposizione (Cass. n. 9205 del 2001).
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 112 e 132 c.p.c. e la nullità della sentenza impugnata , per avere il Tribunale disatteso le censure sull’omessa pronuncia del Giudice di pace in ordine alle richieste istruttorie sulla documentazione contabile, in particolare sulla fattura della RAGIONE_SOCIALE e in ordine alla domanda di lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
– Anche questo motivo di ricorso va respinto.
In realtà la sentenza impugnata ha, al riguardo, esplicitato che il relativo motivo di appello trovava ragione di infondatezza nelle argomentazioni già svolte.
Ed in effetti, visti i definiti limiti del thema decidedum dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo ed a precetto inerenti a contributi condominiali fondati sulla delibera di approvazione del rendiconto, le deduzioni istruttorie della condomina COGNOME sulla documentazione giustificativa delle spese erano palesemente prive di decisività.
Inoltre, la sentenza con la quale il giudice rigetti l’opposizione a decreto ingiuntivo e l’opposizione a precetto proposte dal condomino intimato per il pagamento delle spese contiene una evidente esclusione del presupposto della totale soccombenza della controparte in relazione all’esito del giudizio, richiesto per la
condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
3. – Il ricorso va, perciò, rigettato.
Il Consigliere delegato, ravvisata la manifesta infondatezza del ricorso per cassazione, aveva proposto la definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022. La ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta di definizione anticipata, trovano applicazione il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. L’integrale conformità dell’esito decisorio alla proposta ex art. 380 -bis c.p.c. costituisce, invero, indice della colpa grave della condotta processuale della ricorrente, per lo svolgimento di un giudizio di cassazione rivelatosi del tutto superfluo, con conseguente condanna della stessa al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore del controricorrente, nonché di somma in favore della cassa delle ammende, negli importi indicati in dispositivo (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 9611 del 2024; ordinanze n. 36069, n. 27195, n. 28540 e n. 27433 del 2023).
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 1.400,00, di cui € 200,00 per esborsi; condanna, altresì, la ricorrente, ai sensi del terzo e del quarto comma
dell’art. 96 c.p.c., rispettivamente al pagamento, sempre in favore del controricorrente, della ulteriore somma di € 1.200,00, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di € 800,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione