Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17131 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17131 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23991-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da sé stesso e dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià denominata RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 303/2021 della CORTE D ‘ APPELLO DI BARI, depositata il 23/2/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 10/6/2025;
FATTI DI CAUSA
1.1. NOME COGNOME con atto di citazione notificato il 31/8.4/9/2012, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Bari, l ‘ Unipol RAGIONE_SOCIALE (poi denominata RAGIONE_SOCIALE
s.p.a.), lamentando, in sostanza, di essere stato danneggiato, quanto al valore delle azioni ordinarie e privilegiate della società convenuta dallo stesso possedute, in conseguenza delle delibere assembleari con le quali, in data 19/3/2012 e 30/4/2013, gli azionisti della stessa, abusando del diritto e del potere della maggioranza, avevano deciso: 1) il raggruppamento delle azioni ordinarie e privilegiate, in rapporto di una nuova azione ogni cento in circolazione, con contestuale adeguamento dello statuto sociale; 2) il conferimento, a mente dell ‘ art. 2443 c.c., al consiglio di amministrazione della società, di ogni ampia facoltà per stabilire modalità, termini e condizioni dell ‘ aumento di capitale della società, da attuarsi a pagamento e in via inscindibile, anche in momenti diversi, comunque entro il 31/12/2012, mediante emissione di nuove azioni, ordinarie e privilegiate, da offrirsi in opzione ai soci azionisti, già titolari di azioni, ordinarie e privilegiate, in proporzione al numero delle stesse posseduto; 3) l ‘ approvazione, una volta perfezionato l ‘ aumento di capitale e approvato il bilancio d ‘ esercizio al 31/12/2012, della distribuzione di dividendi unitari nella misura di €. 0,15 per ogni azione ordinaria e di €. 0,17 per ciascuna azione privilegiata.
1.2. L ‘ operazione di aumento di capitale, secondo l ‘ attore, era, infatti, avvenuta in violazione di plurime norme giuridiche, come gli artt. 2441, comma 6°, 2346, comma 4°, 5° e 6°, nonché l ‘ art. 2348, comma 1°, c.c., ed aveva arrecato, unitamente alle conseguenti attività e delibere del consiglio di amministrazione, un danno surrettizio per i vecchi azionisti, sia con riferimento allo svilimento delle azioni, ordinarie e privilegiate, sia in relazione alla riduzione dei dividendi specifici distribuiti nei successivi esercizi.
1.3. L ‘ attore ha, quindi, chiesto al tribunale di: 1) accertare e determinare il dividendo spettante ad ‘ una vecchia azione societaria raggruppata ‘, ponendo a carico di Unipol s.p.a. il versamento del relativo controvalore; 2) accertare e determinare il valore patrimoniale e ‘ partecipativo ‘ di ciascuna delle dette vecchie azioni (ordinaria e privilegiata); 3) condannare la convenuta Unipol s.p.a., in ogni caso, al risarcimento dei danni derivati all ‘ attore, quale ingiusto e illegittimo effetto derivato dalle operazioni societarie sul capitale e sulle azioni dedotte in giudizio.
1.4. L ‘ Unipol s.p.a. si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto delle domande proposte dall ‘ attore in quanto inammissibili ed infondate.
1.5. Il tribunale, dopo aver espletato una consulenza tecnica d ‘ ufficio, ha, con sentenza dell ‘ 11/1/2019, rigettato le domande proposte dall ‘ attore.
1.6. Il tribunale, in particolare, ha rilevato che, quand ‘ anche fosse stato condivisibile l ‘ assunto attoreo dell ‘ illegittimità dell ‘ emissione di nuove azioni ad un prezzo inferiore alla parità contabile, riferita al capitale complessivo anziché a quello corrispondente all ‘ aumento del capitale, l ‘ accoglimento delle pretese attoree non avrebbe potuto prescindere dalla prova del danno e del nesso di causalità.
1.7. Il pregiudizio patrimoniale, ricollegabile alla contestata operazione di aumento di capitale, presuppone, infatti, la verifica delle pregresse condizioni economiche e finanziarie nonché la prova, quanto meno in termini di maggiore ragionevolezza, che, qualora la suddetta operazione di aumento di capitale non fosse stata portata a compimento, gli azionisti, a fine anno 2012, avrebbero visto consolidate le aspettative poste nello specifico dall ‘ attore a fondamento della domanda.
1.8. Tale prova, tuttavia, non era stata offerta dall ‘ attore e il presupposto fattuale sostenuto da quest ‘ ultimo era risultato smentito dall ‘ indagine del consulente tecnico d ‘ ufficio, neanche oggetto di specifiche censure in parte qua ad iniziativa dell ‘ attore, il quale si era limitato a sollecitare indagini integrative, al limite della finalità esplorativa, su altre questioni, senza confutare le valutazioni espresse dall ‘ ausiliare.
1.9. Secondo il tribunale, in definitiva, era mancata la prova che, in assenza dell ‘ operazione di aumento di capitale, l ‘ attore avrebbe riscosso maggiori utili e realizzato, in caso di collocazione sul mercato dei titoli azionari in suo possesso, un controvalore superiore a quello successivo all ‘ aumento di capitale de quo .
1.10. L ‘ attore ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale, insistendo per l ‘ accoglimento dell ‘ originaria domanda.
1.11. L ‘ Unipol s.p.a. ha resistito al gravame, proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionato.
1.12. La corte d ‘ appello, dopo aver dato atto che all ‘ udienza collegiale del 12/1/2021 ‘ la causa è stata discussa ai sensi dell ‘ art. 352, secondo comma, c.p.c., sulle conclusioni dei procuratori delle parti … precisate all’ udienza del 3/3/2020 ‘ , ha riservato, all ‘ esito dei tale ‘ discussione orale ‘, la causa per la decisione e, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato, per la parte che ancora importa, l ‘ appello (principale) proposto dall ‘ attore.
1.13. La corte, in particolare, dopo aver rilevato che: -‘ duplice è il presupposto, in fatto e in diritto, della pretesa giudiziale ‘ azionata dall’attore, per come è ‘ desumibile dagli atti difensivi ‘ dello stesso, e cioè: 1) la possibilità di riconoscimento in capo alle ‘ vecchie ‘ azioni, quelle cioè anteriori all’ aumento di capitale, nonostante il complete perfezionamento di quest ‘ ultimo, dei diritti originariamente spettanti alle stesse
azioni; 2) l ‘ asserita illegittimità della complessa operazione finanziaria posta in essere dalla società convenuta, attraverso il raggruppamento delle azioni e l ‘ aumento di capitale, così come deliberati dall ‘ assemblea dei soci in data 19/3/2012; – in altri termini, ‘ l ‘ assunto attoreo consiste nella pretesa, per un verso, di ottenere l ‘ accertamento del valore, nominale e contabile, delle ‘vecchie’ azioni nonché dei conseguenti diritti di partecipazione ai dividendi ed al capitale societario, ancorati alla situazione contabile e patrimoniale anteriore all ‘ operazione di aumento di capitale; per altro verso, nel riconoscimento del diritto alla riparazione del pregiudizio patrimoniale comunque sofferto a causa dell ‘ operazione finanziaria de qua, perché ritenuta contra legem ‘; ha , in sostanza, ritenuto: a) innanzitutto, che: -‘ una volta deliberato e portato a compimento l ‘ aumento di capitale della società, i diritti del socio azionista non possono che ritenersi innovati alla luce delle modifiche apportate al capitale sociale ‘; -‘ sterile e non tutelabile giuridicamente ‘ è, dunque, ‘ la pretesa del socio di continuare a far valere ragioni ancorate al preesistente assetto societario, che prescindano cioè dalle immutazioni sopravvenute, quand ‘ anche non conformi a diritto tuttavia non rimovibili ad iniziativa del socio che ne abbia subito conseguenze pregiudizievoli ‘; b) in secondo luogo, che: – al socio, in definitiva, ‘ residua soltanto il diritto, certamente diverso rispetto a quello direttamente collegabile alla titolarità delle azioni societarie, al risarcimento del danno ‘; -questo ‘ diritto … , tuttavia, non può prescindere né dall ‘ antigiuridicità dell ‘ atto societario patrimonialmente pregiudizievole, né dalla tempestività della pretesa stessa risarcitoria ‘.
1.14. La corte, a tale riguardo, ha osservato che, nel caso in esame, non sussiste nessuna delle due condizioni.
1.15. Quanto alla tempestività della pretesa risarcitoria, la corte d ‘ appello ha rilevato che, a norma dell ‘ art. 2377, comma 6°, c.c., la domanda di risarcimento del danno dev ‘ essere proposta negli stessi termini di decadenza previsti per l ‘ impugnazione della delibera dannosa e quindi (a) entro novanta giorni dalla data della deliberazione ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, (b) entro novanta giorni dall ‘ iscrizione o, se soggetta soltanto al deposito presso il registro delle imprese, (c) entro novanta giorni dalla data di questo.
1.16. Nel caso in esame, la delibera che ha statuito il raggruppamento delle azioni e l ‘ aumento di capitale c.d. ‘ iperdiluitivo ‘, risale al 19/3/2012 e d è stata iscritta nel registro delle imprese il 26/3/2012, mentre la domanda risarcitoria risulta notificata soltanto il 4/9/2013, ben oltre il termine di novanta giorni previsto dalla norma.
1.17. Il pregiudizio lamentato è, del resto, ‘ pienamente ricollegabile alla suddetta delibera ‘ perché, al di là del mero dato numerico in termini monetari (dividendo), era ben chiaro fin dalla data della delibera in questione il risultato che l ‘ operazione finanziaria avrebbe apportato in termini di ridimensionamento della partecipazione dei ‘ vecchi ‘ azionisti, qualora non avessero inteso aderire pienamente all ‘ aumento di capitale, esercitando il diritto d ‘ opzione sull ‘ acquisto delle nuove azioni. Il prospetto informativo RAGIONE_SOCIALE, richiamato dallo stesso appellante, in effetti, fin dal primo momento evidenzia la diluizione massima della partecipazione di ciascun vecchio socio, in termini percentuali sul capitale sociale emesso, nella misura di circa 95,24% sia per le azioni ordinarie che per quelle privilegiate.
1.18. La domanda risarcitoria, pure avanzata dall ‘ attore, è, pertanto, tardiva in quanto proposta oltre il termine di novanta giorni dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della delibera contestata.
1.19. Quanto al secondo presupposto, e cioè l ‘ illegittimità della delibera, la corte d ‘ appello ha escluso la sussistenza di qualsivoglia profilo d ‘ antigiuridicità della complessa operazione finanziaria dedotta in giudizio dall ‘ attore.
1.20. La corte, sul punto, dopo aver rilevato che: l ‘ assemblea straordinaria della società, in data 12/3/2012, ha, innanzitutto, deliberato il raggruppamento delle azioni ordinarie e privilegiate in circolazione, secondo il rapporto di n. 1 nuova azione ordinaria ogni n. 100 azioni ordinarie possedute e di n. 1 nuova azione privilegiata ogni n. 100 azioni privilegiate possedute, con contestuale adeguamento degli artt. 5 (‘ capitale ‘) e 19 (‘ utili sociali ‘) dello statuto; – la finalità perseguita dal deliberato raggruppamento di azioni, come emerge dalla relazione illustrativa del consiglio di amministrazione, redatta ai sensi dell ‘ art. 125 ter del d.lgs. n. 58/1998 e dell ‘ art. 72 del Regolamento CONSOB n. 11971/99, è stata quella di ‘ consentire la semplificazione della gestione amministrativa delle azioni ordinarie e privilegiate, nell ‘ interesse degli stessi azionisti ‘ ; – con la stessa delibera del 19/3/2012, l ‘ assemblea dei soci ha, inoltre, delegato il consiglio di amministrazione ad aumentare, a pagamento ed in via scindibile, il capitale sociale, in una o più volte e comunque entro il termine del 31/12/2012, fino ad un importo massimo (comprensivo di eventuale sovrapprezzo azioni) di € 1.100.000,00, da eseguire ai sensi dell ‘ art. 2441 c.c. e dell ‘ art. 5 dello statuto, mediante emissione di nuove azioni ordinarie e privilegiate (senza l ‘ indicazione del valore nominale, con
godimento regolare e aventi gli stessi diritti di quelle in circolazione alla data della loro emissione), da offrire in opzione rispettivamente agli azionisti titolari di azioni ordinarie e a quelli titolari di azioni privilegiate della società, in proporzione al numero delle azioni dagli stessi detenute; l’ aumento di capitale sociale è stato eseguito, mediante delega ex art. 2443 c.c., dal consiglio di amministrazione con delibere del 21 giugno, 6 luglio e 12 luglio 2012, con le quali fu previsto un aumento di capitale sociale per complessivi € 1.099.648.083,50, mediante emissione di massime n. 422.851.420 nuove azioni ordinarie e massime n. 260.456.66 nuove azioni privilegiate; ha, in sostanza, ritenuto che l ‘ operazione di aumento di capitale sociale, come emerge chiaramente dalla relazione illustrativa del consiglio di amministrazione, lungi dal costituire una ipotesi di abuso del diritto, si inseriva ragionevolmente ‘ nell ‘ ambito del progetto di integrazione con il Gruppo Premafin-Fondiaria SAI ed era funzionale a dotare la Unipol delle risorse necessarie per sottoscrivere sia l ‘ aumento di capitale riservato, deliberato da Premafin Finanziaria s.p.a., sia il previsto aumento di capitale della propria controllata Unipol Assicurazioni s.p.a. ‘ ‘ al fine di attribuire all ‘ entità soggettiva, risultante dalla fusione per incorporazione di Fondiaria SAI s.p.a., Unipol AssicurazioniRAGIONE_SOCIALE Premafin e Milano Assicurazioni s.p.a., una dotazione patrimoniale adeguata a supportare i propri programmi di sviluppo, mantenendo stabilmente congrui i requisiti patrimoniali previsti dalla disciplina tempo per tempo vigente ‘ .
1.21. Non v ‘ è dubbio, ha osservato la corte, che, come confermato dallo stesso consulente tecnico d ‘ ufficio, in considerazione del numero di nuove azioni emesse rispetto al numero delle vecchie azioni in circolazione, l ‘ aumento di capitale sociale in oggetto possa definirsi ‘ iperdiluitivo ‘ , posto che,
all ‘ esito dello stesso: a) il numero delle azioni in circolazione era rappresentato per circa il 95% da azioni di nuova emissione e solo per circa il 5% da azioni già emesse; b) il capitale sociale è, invece, risultato costituito per circa l ‘ 80% dal capitale versato dai vecchi azionisti e per circa il 20% dal capitale versato dai nuovi azionisti, non considerando però in tale valutazione il versamento da parte dei nuovi azionisti del sovrapprezzo azioni.
1.22. Secondo la corte, tuttavia, l ‘ assunto dell ‘ appellante poggia su un presupposto errato, e cioè l ‘ esistenza di un ‘ diritto perfetto ed intangibile, in capo al socio, all ‘ integrità patrimoniale e alla conservazione della propria quota di partecipazione alla società ‘, laddove, al contrario, p lurime indicazioni in senso contrario si traggono dalla disciplina normativa in materia societaria, laddove emerge la compressione dei diritti del socio su decisione degli organi societari, come nei casi previsti dagli artt. 2349, comma 1°, c.c., 2350 c.c. e 2447 c.c..
1.23. Né, ha proseguito la corte, risulta condivisibile l ‘ assunto dell ‘ appellante principale sull ‘ interpretazione del principio della c.d. parità contabile, e cioè della pretesa corrispondenza tra il prezzo di emissione delle nuove azioni, offerte in sede di aumento di capitale, e il valore unitario del patrimonio netto desumibile dall ‘ ultimo bilancio, posto che: l ‘ art. 2346, comma 5°, c.c. stabilisce il principio per il quale ‘ in nessun caso, il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all ‘ ammontare globale del capitale sociale ‘ ; – tale principio vale non solo in sede di costituzione della società, ma anche nel caso di aumento del capitale sociale, laddove il pagamento del prezzo delle nuove azioni non è altro che un altrettanto nuovo conferimento apportato dai soci; – esso esprime soltanto l ‘ esigenza che ‘ il valore espresso da ciascuna azione (nominale o non che sia) trovi corrispondenza
nell ‘ effettivo e reale apporto di capitale, onde evitarne una formazione solo apparente, a tutela del ceto creditorio, tutela che costituisce la ratio sottesa l ‘ intera disciplina sulla rigidità del capitale sociale e sulle modalità con le quali esso può subire modificazioni ‘; – in realtà, l ‘ unica forma di tutela assicurata al socio, in sede di aumento di capitale, è costituita dal diritto d ‘ opzione, sancito dall ‘ art. 2441 c.c., che, salve le deroghe espressamente regolamentate, spetta a ciascun socio in proporzione della quota di capitale rappresentata dalle azioni in suo possesso; – il diritto d ‘ opzione, invero, ha la specifica finalità di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa al capitale e al patrimonio sociale ed è quindi posto a salvaguardia di ciascun socio che, in tal modo, è in grado di conservare inalterata la proporzione, attraverso la quale esso partecipa sia nei diritti amministrativi sia in quelli di natura patrimoniale; – anche nel caso in cui il socio non intenda esercitare la facoltà di opzione, la sua posizione trova tutela giuridica nella possibilità di monetizzare il relativo diritto, in tal modo compensando il ridimensionamento della partecipazione societaria; – in definitiva, ‘ la previsione del diritto d ‘ opzione e, in alternativa, della possibilità di sua cessione sul mercato costituiscono sufficiente garanzia di tutela del socio, in quanto tale, a prescindere dalla consistenza dell ‘ apporto finanziario richiesto e necessario per far fronte all ‘ acquisto delle nuove azioni offerte in sede di aumento di capitale sociale ‘.
1.24. Le contestazioni sollevate dall ‘ appellante principale sotto l ‘ aspetto della non corretta informazione, che avrebbe inciso sullo svilimento del valore dei diritti non opzionati, così impedendone l ‘ adeguata monetizzazione, risultano, inoltre, assai generiche e non sufficientemente riscontrate: l ‘ appellante (principale), infatti, ha osservato la corte, senza provarlo in
alcun modo, si è limitato ad affermare che ‘ la maggioranza (84,01%) dei piccoli e medi azionisti risparmisti non volle o non potè sottoscrivere il proposto aucap: … tanto a dimostrazione della ‘ costruita artificiosa ‘ estrema onerosità e comunque della ‘ generale percezione di non convenienza della sua sottoscrizione ‘ derivata dall ‘ attivazione ad arte -mercè l ‘ abile manipolazione delle informazioni societarie e dei media -del fenomeno del ‘ panic selling ‘ , inducente i risparmiatori alla svendita irrazionale e forsennata dei titoli a qualunque prezzo ‘ .
1.25. La corte d ‘ appello, infine, dopo aver determinato il valore della causa in relazione a quello della singola azione, pari ad €. 405,00, ha ritenuto che, ai fini della determinazione dei compensi professionali, lo scaglione applicabile, così come desunto dal d.m. n. 55/2014, era quello fino ad €. 1.100,00, per cui, a fronte della soccombenza dell ‘ attore, il compenso spettante alla Unipol s.p.a. per il primo grado di giudizio doveva essere ridimensionato, sia pur nella misura tariffaria massima, nella somma di €. 1.172,00 , mentre, per il secondo grado di giudizio, l ‘ appellante doveva essere condannato al pagamento in favore dell ‘Unipol s.p.a. della somma di €. 1.182,00, oltre accessori.
1.26. NOME COGNOME con ricorso notificato (lunedì) 20/9/2021, ha chiesto, per sette motivi, la cassazione della sentenza.
1.27. La Unipol s.p.a. ha resistito con controricorso.
1.28. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza impugnata, ha dedotto che: – la sentenza impugnata, come emerge dalla sua intestazione, risulta essere stata decisa da un collegio giudicante costituito da NOME
COGNOME, quale Presidente e Relatore, e dalle Consigliere NOME COGNOME e NOME COGNOME – il collegio giudicante, che emerge dal verbale dell ‘ udienza di discussione del 12/1/2021, risulta, invece, composto da NOME COGNOME Presidente e Relatore, e dai Consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME; – la decisione pronunciata da un collegio diverso da quello innanzi al quale si è svolta la discussione, in quanto assimilabile alla sentenza priva della sottoscrizione della sentenza, è, pertanto, nulla, a norma dell ‘ art. 161, comma 2°, c.p.c., con la conseguente necessità che la causa sia rimessa allo stesso giudice che ha emesso la sentenza.
2.2. Il motivo è infondato. Non v ‘ è dubbio, come questa Corte ha ripetutamente affermato, che: -il principio dell ‘ immutabilità del giudice, nel processo civile ordinario, prevede che, ai sensi dell ‘ art. 276, comma 1°, c.p.c., la deliberazione della decisione può essere assunta solo con la partecipazione dei giudici che hanno assistito alla discussione della causa; – il rispetto di tale principio, che opera soltanto dal momento dell ‘ inizio della discussione in poi, dev ‘ essere, quindi, valutato esclusivamente in relazione alla decisione che segue alla discussione; – in grado d ‘ appello, in base alla disciplina prevista dall ‘ art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione dev ‘ essere, pertanto, composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l ‘ ultima attività processuale (cioè, la discussione o la precisazione delle conclusioni), con la conseguenza che, in difetto, e cioè in caso di mutamento della composizione del collegio, la sentenza è insanabilmente nulla (Cass. n. 34782 del 2023, in motiv., che rinvia a Cass. n. 21667 del 2013; Cass. n. 4925 del 2015; Cass. n. 29421 del 2017; Cass. n. 15660 del 2020).
2.3. Tale nullità, tuttavia, sussiste esclusivamente nel caso in cui il denunciato mutamento della composizione del collegio vi sia effettivamente stato e chi impugna la sentenza abbia fornito nel giudizio di impugnazione la relativa prova: – il difetto di corrispondenza del collegio, così come riportato nell ‘ epigrafe della sentenza, con quello innanzi al quale sono state precisate le conclusioni (o, come nel caso in esame, si è svolta la discussione della causa) è causa di nullità della decisione solo in caso di effettivo mutamento del collegio medesimo; – l ‘ onere della prova di tale divergenza grava sulla parte che se ne dolga, dovendosi altrimenti presumere, in mancanza di elementi contrari ed in difetto di autonoma efficacia probatoria dell ‘ intestazione della sentenza, che i magistrati che hanno partecipato alla deliberazione coincidano con quelli indicati nel verbale d ‘ udienza, e che, pertanto, la pronunzia sia affetta da mero errore materiale (Cass. n. 24951 del 2016; Cass. n. 24427 del 2019).
2.4. L ‘ intestazione della sentenza, per contro, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d ‘ udienza, è di per sé priva di autonoma efficacia probatoria, con la conseguenza che, ove da tale intestazione risulti il nominativo di un magistrato, non tenuto alla sottoscrizione, diverso da quello indicato nel verbale dell ‘ udienza collegiale di discussione, deve presumersi che la stessa sia affetta da un mero errore materiale, come tale emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287-288 c.p.c. e, dunque, che, in difetto (come nel caso in esame) di elementi contrari, si deve ritenere che i magistrati indicati in tale verbale quali componenti del collegio giudicante siano coincidenti con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza medesimo (Cass. SU n. 11853
del 1991; Cass. SU n. 118 del 1999; Cass. n. 9531 del 1997; Cass. n. 2691 del 2010; Cass. n. 4875 del 2015).
2.5. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell ‘ art. 112 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo che: – la corte d ‘ appello non si era pronunciata sulla domanda che l ‘ attore aveva formulato, vale a dire ‘ non una domanda risarcitoria ‘ ma una domanda ‘dichiarativa ‘ ‘ in primis dello status socii e poi del conseguente diritto di credito da dividendo ‘ ; – la pretesa azionata in giudizio dall ‘ attore, per come desumibile dalle vicende rappresentate dallo stesso, aveva, quale ‘ contenuto sostanziale ‘ , non il risarcimento dei danni ai sensi dell ‘ art. 2377, comma 6°, c.c., ma ‘ la declaratoria del valore nominale unitario di €. 79 dell ‘ azione ordinaria raggruppat a … e diritti di dividendo annuo correlati, incorporati ed attestati dal certificato azionario posseduto e prodotto ‘ .
2.6. Il motivo è inammissibile. L ‘ interpretazione del contenuto della domanda giudiziale costituisce, infatti, un tipico accertamento in fatto, riservato come tale al giudice di merito, sicché, ove quest ‘ ultimo abbia espressamente ritenuto che una domanda era stata proposta, tale statuizione, ancorché in ipotesi erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, e cioè per error in procedendo , senza aver prima accertato l ‘ erroneità di tale interpretazione (cfr. Cass. n. 30684 del 2017; Cass. n. 21874 del 2015; Cass. n. 1545 del 2016; Cass. n. 2630 del 2014; Cass. n. 7932 del 2012; Cass. n. 17451 del 2006; Cass. n. 15603 del 2006; Cass. n. 8953 del 2006), la quale, tuttavia, proprio perché costituisce un accertamento in fatto, è, come tale, sindacabile in cassazione solo per violazione delle norme che regolano l ‘ ermeneutica contrattuale previsti
dagli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, ovvero per vizio di omesso esame di un fatto a tal fine decisivo.
2.7. Il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimit à il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, come l ‘ atto di citazione, ha, dunque, l ‘ onere (rimasto, nel caso in esame, inadempiuto) di invocare, in ricorso, con riguardo all ‘ interpretazione che il giudice di merito ha attribuito all ‘ atto, il vizio consistito o nell ‘ omesso esame di fatti (sul punto) decisivi, indicandone la loro specifica emergenza dagli atti del giudizio, ovvero nella violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., illustrando, altres ì , a pena d ‘ inammissibilit à , le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici, nonch é , e prima ancora, il testo dell ‘ atto processuale oggetto dell ‘ interpretazione asseritamente erronea (cfr. Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014; Cass. n. 11343 del 2003; pi ù di recente, Cass. n. 12574 del 2019).
2.8. Nel caso di specie, tuttavia, tale onere non è stato adempiuto con la dovuta specificità. Il ricorrente, infatti, pur dolendosi dell ‘ interpretazione che il giudice d ‘ appello ha fornito dell ‘ atto di citazione, non ha, in realtà, indicato, con la dovuta specificità, n é quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati, nell ‘ espletamento di tale accertamento, dalla corte territoriale e in che modo la stessa se ne sarebbe discostata, n é i fatti al riguardo decisivi che la corte d ‘ appello, nonostante la loro emergenza dagli atti del processo, avrebbe del tutto omesso di esaminare.
2.9. D ‘ altra parte, l ‘ esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l ‘ ammissibilità del motivo di censura, per
cui il ricorrente non è dispensato dall ‘ onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell ‘ errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d ‘ inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza dello stesso, con la conseguenza che, ove il ricorrente censuri, come nel caso in esame, l ‘ errata valutazione di un atto processuale, come l ‘ atto di citazione, denunciando l ‘ omessa pronuncia sulla domanda (ivi contenuta) che (a suo dire) sarebbe stata effettivamente proposta, ha l ‘ onere (rimasto, tuttavia, inadempiuto) di specificare, ai fini del rispetto del principio esposto, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciate, trascrivendo, in ricorso, quelle parti dell ‘ atto introduttivo del giudizio necessarie a dimostrare la proposizione della domanda giudiziale di cui ha lamentato l ‘ omessa pronuncia.
2.10. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 1°, n. 4, c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello, in ragione di una ‘ svista percettiva sull ‘ intero oggetto del contendere ‘, ha inteso ‘ confermare la pronuncia tribunalizia impugnata ‘ senza alcuna propria motivazione ma ‘ rinviando di fatto alla (non) motivazione del giudice di primo grado ‘.
2.11. Il motivo, che denuncia il difetto assoluto di motivazione, risulta palesemente inammissibile. La sentenza resa dalla corte d ‘ appello, per come in precedenza esposta, contiene senz ‘ altro l ‘ esposizione (non apparente, né perplessa né contraddittoria) delle ragioni poste a fondamento della ricognizione, dalla stessa operata alla luce delle prove raccolte
in giudizio, della fattispecie concreta e, dunque, della decisione che, in ragione dei fatti così accertati, ha, quindi, assunto.
2.12. La riformulazione dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., così come disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012, dev ‘ essere, infatti, interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall ‘art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘ minimo costituzionale ‘ del sindacato di legittimità sulla motivazione.
2.13. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l ‘ anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
2.14. Tale anomalia, peraltro, è ravvisabile esclusivamente nelle ipotesi (nel caso in esame, senz’altro insussistenti) di ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico ‘, di ‘ motivazione apparente ‘, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e di ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘, esclusa, peraltro, qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione (Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.15. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 2325 bis e 2328 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto ‘ inerenti il contratto di società ‘, ‘ in relazione al valore nominale dell ‘ azione ordinaria Unipol … ed in funzione degli incorporat i diritti … sia partecipativi che patrimoniali e reddituali/dividendo ‘ di cui agli artt. 2247, 2346, 2347, 2348, 2350, 2351, 2354, 2355 e 2358 c.c..
2.16. Il motivo è inammissibile. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena d ‘ inammissibilità, i motivi per i
quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità (nella specie totalmente insoddisfatta) dell ‘ esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e dell ‘ esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto ovvero le carenze della motivazione.
2.17. L ‘ onere di specificità dei motivi, sancito dall ‘ art. 366, comma 1°, n. 4, c.p.c., in particolare, impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., di indicare, a pena d ‘ inammissibilità della censura, non solo le norme di legge di cui intende lamentare la violazione ma anche di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano con il precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare (con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni) la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. SU n. 23745 del 2020).
2.18. L ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., dal suo canto, lì dove ha previsto che è denunciabile per cassazione il vizio di omesso esame di un fatto storico controverso tra le parti, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo (nel senso che, ove esaminato, avrebbe imposto al giudice una differente ricognizione della fattispecie concreta), comporta che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il ricorrente ha l ‘ onere (nel caso in esame del tutto inadempiuto) di indicare, in ricorso, il ‘f atto storico ‘ del quale sia stato omesso l’esame, il ‘ dato ‘, testuale o extratestuale, da cui lo stesso risulti
esistente, il ‘ come ‘ e il ‘ quando ‘ tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti nonché la sua ‘ decisività ‘ : fermo restando che l ‘ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio in questione tutte le volte in cui (come nel caso in esame) il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.19. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo che la corte d ‘ appello ha omesso di considerare il ‘ fatto storico ‘ costituito dal ‘ raggruppamento centuplo ‘, che ‘ ha determinato la ‘ indotta svalutazione ad arte del 99% della maxiazione ‘ che è anche titolo di credito del risparmiatore-azionista ‘, e che è ‘ rilevate ai fini riconoscimento del valore nominale di €.79/cad. all ‘ azione raggruppata cento ‘, ‘ nonché il successivo fatto storico connesso dello ‘ aumento di capitale sociale iperdiluitivo ‘ coi suoi meccanismi ‘ illusionistici ‘ di deformazione di norme e di valori economici ‘.
2.20. Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, infatti, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunciare (differenza di quanto ha fatto il ricorrente) che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito
maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 c.p.c..
2.21. Nello stesso modo, la doglianza circa la violazione dell ‘ art. 116 c.p.c. è ammissibile solo nel caso in cui (a differenza di quanto ha inteso fare il ricorrente) si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o comunque una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normative) secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
2.22. Con il sesto motivo, il ricorrente, lamentando l ‘ omesso esame di fatti storici decisivi oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo che la corte d ‘ appello ha omesso di considerare tanto il ‘ fatto del raggruppamento centuplo ‘, nell ‘aprile 2012, ‘ delle azioni di €.0,79/cad. ‘, ‘ determinante l ‘emissione di nuove azioni del valore unitario centuplo di €. 79/azione’, quanto il ‘fatto dell’ aumento ‘ iperdiluitivo ‘ ‘, nel settembre 2012, ‘ del capitale sociale, con l ‘ emissione ‘ soprannumeraria e sotto la pari ‘ di nuove azioni del valore nominale unitario all ‘emissione di €. 0,975/cad.’, pur trattandosi di due operazioni con le quali la società aveva determinato ‘ la svalutazione e lo spoglio patrimoniale del 99% delle maxiazioni a favore delle miniazioni e degli azionisti di maggioranza ‘ ed ‘ il conseguente depauperamento del 99% attuatosi dalla società sul valore nominale e diritti partecipativi – anche per i dividendi annui distribuiti dal 2013 in poi -della monade azione
raggruppata cento di €. 79/cad. (la maxiazione) in rapporto e parametrazione ad una azione dell ‘ aucap di €. 0,975/cad (la miniazione)’ .
1.29. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato: la quale, con statuizioni rimaste inoppugnate e di per sé sufficienti a fondare il rigetto della domanda (risarcitoria) proposta dall ‘ attore, ha, in sostanza, ritenuto che tale domanda (così come dalla stessa, ormai definitivamente, interpretata) era tardiva in quanto introdotta oltre il termine di novanta giorni dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della delibera contestata previsto dall ‘ art. 2377, comma 6°, c.c..
1.30. Del resto, è noto che: – il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambit o della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti; – qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è, di conseguenza, inammissibile il ricorso che (come quello in esame) non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. SU n. 7931 del 2013).
2.23. Con il settimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 10 e 14 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c. e all ‘ art. 395 n. 4 e all ‘ artt. 91 e 92 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello , pur avendo statuito ‘l’ applicazione dello scaglione del valore minimo tabellare, ha omesso di applicarlo anche alle spese di CTU e di iscrizione a ruolo, come richiestosi espressamente dalla
domanda attorea, secondo i ‘principi desumibili dagli artt. 10 e 14 c.p.c.’ e quindi ha omesso di disporre la riduzione anche delle dette spese/esborsi di CTU (€. 19.032,00) e dei contributi unificati versati in supero secondo lo scaglione di €. 1.100,00, già ritenutosi vincolante dal Giudice d ‘appello’.
2.24. Il motivo è totalmente infondato: – intanto, perché il contributo unificato ha natura di entrata tributaria e l ‘ invito al pagamento ex art. 248 del d.P.R. n. 115/2002 rappresenta l ‘ atto liquidatorio dell ‘ imposta, contro il quale i soggetti tenuti al suo versamento hanno l’onere, se ritengono di contestarne l’importo, di proporre l ‘ impugnazione prevista dall ‘ art. 19 proc.trib. nei confronti della cancelleria o segreteria dell ‘ ufficio giudiziario che lo ha emesso (cfr. Cass. SU n. 8810 del 2025); la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, in ragione dell ‘ integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell ‘ impugnazione (come l’appello) , non preclude, inoltre, la contestazione della sua correttezza nelle competenti sedi ma non può, tuttavia, formare oggetto di impugnazione unitamente alla sentenza che la contiene (cfr. Cass. n. 18191 del 2024); – le spese di consulenza tecnica d ‘ ufficio, infine, sono costituite dalle somme (incontestatamente) liquidate a tale titolo dal giudice che l ‘ ha disposta (o da quello che si è pronunciato sull’impugnazione del relativo decreto) e non dipendono dall ‘ accertamento del valore della causa (che, in ipotesi, abbia in seguito operato il giudice d ‘ appello) ma, in ragione dei parametri (nella specie neppure
indicati) esposti nel d.m. 30/5/2002, solo dall ‘ attività concretamente svolta dal tecnico.
Il ricorso, per l ‘ inammissibilità di tutti i suoi motivi (al pari dei rilievi, svolti dopo l’articolazione degli stessi da p. 21 a p. 51, i quali, in difetto della necessaria specificità, neppure possono essere qualificati, alla luce di quanto evidenziato ai punti 2.16 e 2.17, come tali, e delle istanze in seguito formulate a p. 51 ss.), è, a sua volta inammissibile: e come tale dev ‘ essere, dunque, dichiarato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l ‘ inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 10 giugno 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME