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Impugnazione delibera assembleare: i termini decadenza

Un azionista ha citato in giudizio una società per i danni derivanti da un’operazione di aumento di capitale ritenuta ‘iperdiluitiva’. La sua richiesta è stata respinta in tutti i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, dichiarando il ricorso inammissibile. Il motivo principale del rigetto è la tardività dell’azione: la domanda di risarcimento danni, legata all’impugnazione della delibera assembleare, deve essere proposta entro il termine di decadenza di 90 giorni previsto dalla legge, termine non rispettato in questo caso.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Impugnazione delibera assembleare: I termini per il risarcimento del danno

Quando un’operazione societaria, come un aumento di capitale, danneggia gli interessi di un socio, è fondamentale agire tempestivamente. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale: la domanda di risarcimento danni derivante da una delibera potenzialmente illegittima è strettamente legata ai termini previsti per l’impugnazione della delibera assembleare stessa. Questo significa che i soci hanno un tempo molto limitato per far valere le proprie ragioni, pena la perdita del diritto.

I fatti di causa

Un azionista di una nota società citava in giudizio l’azienda, sostenendo di aver subito un grave danno patrimoniale. L’origine del pregiudizio risiedeva in una complessa operazione finanziaria che includeva un raggruppamento di azioni (1 nuova ogni 100 vecchie) e un successivo, massiccio aumento di capitale. Secondo l’azionista, questa operazione, definita ‘iperdiluitiva’, aveva di fatto azzerato il valore della sua partecipazione originaria.

L’azionista chiedeva al tribunale di accertare il valore patrimoniale delle sue ‘vecchie’ azioni e di condannare la società al risarcimento dei danni. Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello respingevano le sue richieste. In particolare, i giudici di secondo grado evidenziavano un ostacolo insormontabile: la tardività della domanda.

La decisione della Corte d’Appello sulla impugnazione della delibera assembleare

La Corte d’Appello ha stabilito che la pretesa risarcitoria dell’azionista era inscindibilmente collegata alla delibera assembleare che aveva approvato l’aumento di capitale. Di conseguenza, tale pretesa doveva essere esercitata entro lo stesso termine di decadenza di 90 giorni previsto dall’art. 2377 c.c. per l’impugnazione della delibera.

La delibera in questione era stata iscritta nel registro delle imprese il 26 marzo 2012, mentre l’azione legale era stata avviata solo il 4 settembre 2013, ben oltre il termine di 90 giorni. Secondo la corte territoriale, quindi, il diritto dell’azionista era irrimediabilmente estinto per decadenza.

La posizione della Cassazione

L’azionista ha proposto ricorso in Cassazione, articolando sette diversi motivi di doglianza, di natura sia processuale che sostanziale. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito e consolidando un importante principio di diritto societario.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto tutti i motivi del ricorso, ritenendoli in parte infondati e in gran parte inammissibili per genericità e mancanza di specificità. La motivazione centrale, però, si fonda sulla correttezza della decisione della Corte d’Appello riguardo alla decadenza.

Il punto focale della sentenza è che la pretesa di risarcimento del danno, quando questo è l’effetto diretto e immediato di una delibera assembleare annullabile, non può essere considerata un’azione autonoma con un termine di prescrizione ordinario. Al contrario, essa soggiace allo stesso breve termine di decadenza previsto per l’azione di annullamento.

La logica è quella di garantire la certezza e la stabilità dei rapporti societari. Consentire azioni risarcitorie svincolate dai termini di impugnazione delle delibere significherebbe esporre la società a pretese economiche per un tempo indefinito, minando la validità e l’efficacia delle sue decisioni.

La Corte ha inoltre chiarito che la tutela principale del socio in caso di aumenti di capitale è rappresentata dal diritto d’opzione. Questo diritto consente al socio di sottoscrivere le nuove azioni per mantenere inalterata la propria quota di partecipazione, oppure di monetizzare tale diritto cedendolo sul mercato, compensando così l’effetto diluitivo.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre una lezione fondamentale per tutti gli azionisti, in particolare per quelli di minoranza. Le decisioni dell’assemblea possono avere un impatto significativo sul valore delle partecipazioni, ma la reazione a tali decisioni deve essere immediata.

1. Termini stringenti: Chiunque ritenga di essere stato danneggiato da una delibera assembleare deve attivarsi entro 90 giorni dalla sua iscrizione nel registro delle imprese (o dalla sua adozione, a seconda dei casi).
2. Unicità del rimedio: L’azione di risarcimento del danno non è una via alternativa per aggirare i termini di impugnazione, ma è essa stessa soggetta a tale termine quando il danno è conseguenza diretta della delibera.
3. Importanza del diritto d’opzione: Il legislatore considera il diritto d’opzione come lo strumento primario di tutela del socio contro la diluizione della propria quota. La sua corretta gestione è essenziale per proteggere il proprio investimento.

Entro quale termine un azionista può chiedere il risarcimento dei danni causati da una delibera assembleare?
La domanda di risarcimento del danno deve essere proposta entro lo stesso termine di decadenza previsto per l’impugnazione della delibera, ovvero 90 giorni dalla data della sua iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2377, comma 6°, c.c.

L’azione di risarcimento è autonoma rispetto a quella di impugnazione della delibera?
No, secondo la Corte, quando il danno lamentato è un effetto diretto e immediato della delibera, la pretesa risarcitoria non è autonoma ma è pienamente ricollegabile alla delibera stessa e, di conseguenza, soggiace al medesimo termine di decadenza.

Qual è la principale forma di tutela per un azionista in caso di un aumento di capitale che diluisce la sua quota?
La tutela principale è il diritto d’opzione, previsto dall’art. 2441 c.c. Questo diritto permette al socio di sottoscrivere le nuove azioni in proporzione alla sua quota per mantenere inalterata la sua partecipazione, oppure di cedere tale diritto sul mercato per monetizzarlo e compensare così la perdita di valore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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