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Impugnazione decreto: quando non è ammessa in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un decreto della Corte d’Appello. Il provvedimento in questione, che accoglieva un reclamo e rimetteva la causa al Tribunale per la dichiarazione di fallimento, è stato ritenuto privo di carattere decisorio e definitivo. La Corte ha chiarito che l’atto lesivo dei diritti, e quindi autonomamente appellabile, è la successiva sentenza di fallimento, non l’intermedio decreto di rimessione. Di conseguenza, l’impugnazione del decreto è stata respinta.

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Impugnazione decreto: quando non è ammessa in Cassazione

L’ordinanza n. 10761/2025 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui principi che regolano l’impugnazione di un decreto in materia fallimentare. La Corte ha stabilito che un provvedimento della Corte d’Appello che si limita a rimettere gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento non è ricorribile per cassazione, in quanto privo di carattere decisorio. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni di questa fondamentale decisione.

I Fatti del Caso

Una società creditrice aveva richiesto al Tribunale la dichiarazione di fallimento di una società debitrice. In prima istanza, il Tribunale aveva rigettato la richiesta. La società creditrice ha quindi presentato reclamo presso la Corte d’Appello, la quale ha ribaltato la decisione iniziale. La Corte territoriale, infatti, ha accolto il reclamo, ritenendo che la società debitrice non avesse fornito prova sufficiente del possesso dei requisiti per non essere assoggettata a fallimento e ha accertato la sussistenza dello stato di insolvenza. Di conseguenza, ha disposto la rimessione degli atti al Tribunale di primo grado affinché procedesse con la dichiarazione di fallimento.

L’Impugnazione del Decreto e i Motivi di Ricorso

Contro questa decisione della Corte d’Appello, la società debitrice ha proposto ricorso per cassazione, articolando ben sei motivi di doglianza. Le critiche mosse al decreto impugnato spaziavano dalla presunta mancanza di motivazione alla violazione di norme procedurali e sostanziali in materia di onere della prova, stato di insolvenza e requisiti di fallibilità.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Impugnazione del Decreto

La Suprema Corte, tuttavia, non è entrata nel merito dei motivi proposti, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un consolidato principio di diritto processuale civile, che distingue nettamente i provvedimenti meramente ordinatori da quelli con carattere decisorio e definitivo.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella natura del provvedimento emesso dalla Corte d’Appello. Secondo la Cassazione, il decreto che, in accoglimento del reclamo, rimette gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento non ha né carattere decisorio né definitivo. Questo significa che tale atto non risolve la controversia sui diritti soggettivi delle parti in modo stabile e inappellabile.

Il decreto in questione è un atto endoprocedimentale, ovvero una tappa intermedia all’interno del procedimento fallimentare. L’incidenza reale sui diritti della società debitrice non deriva da questo decreto, ma dalla successiva sentenza dichiarativa di fallimento che il Tribunale emetterà in seguito alla rimessione. È quest’ultima sentenza, e non il decreto preparatorio, l’atto che produce l’effetto lesivo e che, pertanto, può essere autonomamente impugnato secondo le norme specifiche della legge fallimentare.

La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, incluse le Sezioni Unite (sent. n. 26181/2006), ribadendo che sul decreto di rimessione non può formarsi alcun giudicato sostanziale. Pertanto, l’impugnazione del decreto dinanzi alla Cassazione è preclusa, in quanto l’atto non rientra tra quelli previsti dall’art. 111 della Costituzione come ricorribili.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale per chi opera nel diritto: non tutti i provvedimenti emessi da un giudice sono immediatamente impugnabili. È essenziale distinguere gli atti con efficacia decisoria e definitiva da quelli con funzione meramente preparatoria o ordinatoria. Proporre un ricorso contro un atto non impugnabile, come il decreto di rimessione in questo caso, comporta non solo una perdita di tempo e risorse, ma anche una sicura declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese legali. La lezione è chiara: prima di impugnare, è cruciale analizzare la natura e gli effetti del provvedimento per individuare il corretto rimedio processuale.

È possibile impugnare in Cassazione un decreto della Corte d’Appello che, accogliendo un reclamo, rimette gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento?
No, secondo la Corte di Cassazione questo tipo di decreto non è impugnabile perché non è un provvedimento definitivo che decide la causa.

Perché il decreto di rimessione della Corte d’Appello non è ricorribile per cassazione?
Perché non ha carattere decisorio né definitivo. Non risolve la controversia sui diritti delle parti, ma costituisce un atto intermedio del procedimento. L’atto che incide sui diritti e che è autonomamente impugnabile è la successiva sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale.

Qual è la conseguenza della presentazione di un ricorso contro un provvedimento non impugnabile?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La parte che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali del giudizio e può essere tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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