LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Impugnazione contratto a termine: la Cassazione decide

Una lavoratrice, dopo una lunga serie di contratti a termine con una pubblica amministrazione, ha agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno da reiterazione abusiva. Sebbene vittoriosa in primo grado, la sua domanda è stata dichiarata inammissibile in appello e in Cassazione. Il motivo è stato il mancato rispetto del termine di decadenza per l’impugnazione contratto a termine. La Suprema Corte ha precisato che per contestare la successione illecita di contratti è necessario impugnare almeno l’ultimo rapporto entro i termini di legge, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Impugnazione Contratto a Termine: Quando la Decadenza Blocca il Risarcimento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di impugnazione contratto a termine: la necessità di agire entro precisi termini di decadenza, pena l’inammissibilità della domanda di risarcimento per abuso. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti per i lavoratori che si trovano in una lunga successione di contratti a tempo determinato, specialmente nel pubblico impiego.

Il Caso: La Lunga Serie di Contratti a Termine

Una lavoratrice, impiegata per oltre vent’anni da un’amministrazione regionale tramite una successione di contratti a tempo determinato per lavori di sistemazione idraulico-forestale, decideva di agire in giudizio. La sua richiesta era volta ad accertare l’abuso nella reiterazione dei contratti, che avevano superato complessivamente il limite massimo di durata di 36 mesi, e a ottenere il conseguente risarcimento del danno.

In primo grado, il Tribunale le dava ragione, condannando l’amministrazione a risarcirla con un’indennità pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione, dichiarando la domanda inammissibile. La ragione? L’intervenuta decadenza. Secondo i giudici di secondo grado, la lavoratrice non aveva impugnato i singoli contratti entro i termini previsti dalla legge (60 o 120 giorni dalla loro scadenza), un requisito essenziale per far valere l’illegittimità.

La questione è quindi approdata dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando, seppur con una motivazione parzialmente diversa, la decisione di inammissibilità della domanda. Il punto centrale della pronuncia è che l’onere di impugnazione entro un termine di decadenza si applica a tutte le ipotesi di contestazione della legittimità di un contratto a termine, inclusa quella basata sul superamento del limite massimo di durata complessiva.

Regole per una corretta impugnazione del contratto a termine

La Cassazione ha chiarito un aspetto fondamentale: per contestare l’abusiva reiterazione di una serie di contratti, non è necessario impugnarli tutti. È sufficiente, ma anche indispensabile, impugnare tempestivamente l’ultimo contratto della catena. L’ultimo atto del rapporto, infatti, funge da “porta d’accesso” per far valere l’illegittimità dell’intera sequenza contrattuale. I contratti precedenti, anche se non impugnati, assumono il valore di dati di fatto che concorrono a dimostrare l’abuso.

Nel caso specifico, la lavoratrice non aveva impugnato nemmeno l’ultimo contratto, cessato nel novembre 2014, entro il termine di decadenza previsto. Questa omissione ha reso la sua successiva azione giudiziaria inammissibile, precludendole la possibilità di ottenere il risarcimento del danno.

Le Motivazioni: Certezza del Diritto e Termini di Decadenza

La Corte ha ribadito che la ratio dell’introduzione di termini di decadenza stringenti, come quelli previsti dall’art. 32 della legge n. 183/2010, è quella di garantire la certezza delle situazioni giuridiche. L’ordinamento vuole evitare che i rapporti di lavoro possano essere messi in discussione a distanza di anni, creando incertezza sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Questa esigenza di stabilità è ritenuta prevalente e si applica a tutte le forme di nullità o illegittimità del termine apposto al contratto, senza distinzioni.

La Corte ha specificato che l’applicazione della decadenza si estende non solo alle violazioni delle norme sulla causale (artt. 1, 2 e 4 del D.Lgs. 368/2001), ma anche alle ipotesi di superamento del limite massimo di 36 mesi (art. 5 del medesimo decreto). Il richiamo legislativo ai soli articoli 1, 2 e 4 è da intendersi come una designazione della tipologia di atto da impugnare (il contratto a termine) e non come una limitazione dei vizi denunciabili.

Di conseguenza, la difesa della lavoratrice, secondo cui la sua domanda fosse soggetta solo alla prescrizione ordinaria decennale e non alla decadenza, è stata respinta. La decadenza opera come un filtro preliminare: se non viene rispettata, il diritto non può più essere fatto valere, rendendo irrilevante il successivo termine di prescrizione per il risarcimento.

Conclusioni: L’Importanza di Agire in Tempo

Questa ordinanza invia un messaggio chiaro: la tempestività è tutto. I lavoratori che ritengono di subire un abuso nella reiterazione di contratti a termine devono essere consapevoli dei brevi termini di decadenza per l’impugnazione. È essenziale impugnare l’ultimo contratto della serie entro il termine di legge per poter poi chiedere in giudizio l’accertamento dell’abuso e il risarcimento del danno. Attendere troppo significa rischiare di vedere la propria domanda dichiarata inammissibile, vanificando la possibilità di ottenere tutela, anche a fronte di un comportamento palesemente illegittimo del datore di lavoro.

Per contestare una serie di contratti a termine abusivi, è necessario impugnarli tutti?
No, secondo la Corte di Cassazione è sufficiente l’impugnazione tempestiva dell’ultimo contratto della serie. I contratti precedenti valgono come prova dell’abuso commesso dal datore di lavoro.

Il termine di decadenza per l’impugnazione contratto a termine si applica anche se si contesta il superamento del limite massimo di 36 mesi?
Sì, la Corte ha stabilito che l’onere di impugnare entro i termini di decadenza previsti dall’art. 32 della legge n. 183/2010 si applica a tutte le ipotesi di illegittimità del termine, inclusa quella derivante dalla reiterazione abusiva che porta al superamento dei 36 mesi.

Cosa succede se non si impugna nemmeno l’ultimo contratto a termine entro i termini di decadenza?
Se non si rispetta il termine di decadenza per l’impugnazione dell’ultimo contratto, la domanda di risarcimento del danno per abusiva reiterazione diventa inammissibile, e si perde il diritto di far valere l’illegittimità in giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati