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Impugnazione contratto a termine: i termini corretti

Un lavoratore, danzatore presso una Fondazione, ha effettuato una impugnazione contratto a termine per una serie di contratti reiterati. La Cassazione chiarisce che, dopo la richiesta di conciliazione non accettata dal datore di lavoro entro 20 giorni, decorre un nuovo e autonomo termine di 60 giorni per depositare il ricorso in tribunale, annullando la decisione dei giudici di merito che avevano erroneamente dichiarato la decadenza.

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Impugnazione Contratto a Termine: La Cassazione Chiarisce i Termini per il Ricorso

L’impugnazione contratto a termine rappresenta uno strumento cruciale per la tutela dei diritti dei lavoratori. Tuttavia, la procedura è scandita da termini di decadenza molto rigidi, il cui mancato rispetto può compromettere l’esito della controversia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su come calcolare questi termini, in particolare quando il lavoratore sceglie la via del tentativo di conciliazione. Il caso, che ha coinvolto un danzatore e una nota Fondazione Teatrale, offre spunti essenziali per lavoratori e datori di lavoro.

I Fatti di Causa: Contratti Reiterati e la Questione della Decadenza

Un lavoratore, impiegato come danzatore con una serie di contratti a tempo determinato, decideva di agire in giudizio per far accertare l’invalidità di tali contratti e ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Prima di adire il tribunale, il lavoratore aveva inviato una comunicazione stragiudiziale di impugnazione e, successivamente, una richiesta di tentativo di conciliazione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda, ritenendo che fosse incorso in decadenza. Secondo i giudici di merito, il termine per depositare il ricorso in tribunale era scaduto, calcolando una semplice sospensione dei termini durante la fase della richiesta di conciliazione. Il lavoratore, non condividendo questa interpretazione, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla corretta impugnazione contratto a termine

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa a un altro giudice per una nuova valutazione. La Suprema Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano commesso un errore nell’interpretare la normativa sui termini di decadenza, offrendo un’interpretazione chiara e sistematica della procedura.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 6 della L. 604/1966, come modificato dalla L. 183/2010. La Corte ha delineato con precisione la sequenza degli adempimenti a carico del lavoratore che intende procedere con l’impugnazione contratto a termine.

La procedura prevede due percorsi alternativi dopo l’impugnazione stragiudiziale:

1. Ricorso diretto al giudice: Il lavoratore può depositare il ricorso in tribunale entro 180 giorni.
2. Richiesta di conciliazione: In alternativa, entro gli stessi 180 giorni, il lavoratore può comunicare alla controparte una richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Il punto cruciale, affrontato dalla Cassazione, riguarda cosa accade quando si sceglie la seconda via e il datore di lavoro non vi aderisce. La legge prevede che la controparte abbia 20 giorni di tempo per depositare una memoria e accettare la procedura. Se ciò non avviene, si verifica un “mancato accordo”.

La Corte ha stabilito che questo “mancato accordo”, che si perfeziona allo scadere del ventesimo giorno, non si limita a far ripartire il termine precedente. Al contrario, esso fa decorrere un nuovo e autonomo termine di 60 giorni per depositare il ricorso giudiziale.

L’errore della Corte d’Appello era stato quello di considerare una mera sospensione di 20 giorni del termine originario, comminando la decadenza al lavoratore. La Cassazione ha invece chiarito che la legge crea una sequenza di termini distinti: il mancato avvio della conciliazione per inerzia del datore di lavoro apre una nuova finestra temporale per l’azione giudiziaria.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha un’importante valenza pratica. Stabilisce un principio di diritto chiaro: quando l’impugnazione contratto a termine è seguita da una richiesta di conciliazione che il datore di lavoro ignora, il lavoratore non deve temere di perdere il diritto all’azione per il solo decorso del tempo. Dallo scadere dei 20 giorni concessi all’azienda per rispondere, il lavoratore ha a disposizione un nuovo e intero termine di 60 giorni per rivolgersi al giudice.

Per i datori di lavoro, la decisione sottolinea che l’inerzia di fronte a una richiesta di conciliazione non è priva di conseguenze, ma anzi definisce il momento esatto da cui il lavoratore può procedere giudizialmente. Una corretta comprensione di questa scansione temporale è quindi fondamentale per gestire adeguatamente le controversie di lavoro ed evitare errori procedurali.

Cosa deve fare un lavoratore dopo aver impugnato stragiudizialmente un contratto a termine?
Entro 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale, il lavoratore deve, a pena di inefficacia, o depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Cosa succede se il datore di lavoro non risponde alla richiesta di conciliazione?
Se il datore di lavoro non deposita la propria memoria di adesione entro 20 giorni dalla ricezione della richiesta, la procedura di conciliazione si considera fallita per “mancato accordo”, in quanto non viene accettata.

Qual è il termine per fare ricorso in tribunale se il datore di lavoro ignora la richiesta di conciliazione?
Secondo la sentenza, dallo scadere del termine di 20 giorni concesso al datore di lavoro per aderire, decorre un nuovo e autonomo termine di 60 giorni entro il quale il lavoratore deve depositare il ricorso al giudice a pena di decadenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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