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Impugnazione consumata: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Comune contro una condanna per risarcimento danni da occupazione illegittima. La decisione si fonda sul principio dell’impugnazione consumata, poiché le questioni sollevate erano già state decise in un precedente giudizio di Cassazione su una sentenza non definitiva dello stesso procedimento. La Corte ha rigettato anche il ricorso incidentale dei proprietari dei terreni, confermando la valutazione del danno operata dalla Corte d’Appello.

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Impugnazione consumata: la parola fine della Cassazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un principio fondamentale della procedura civile: l’impugnazione consumata. Quando una parte ha già esercitato il proprio diritto di ricorrere contro una sentenza non definitiva, non può riproporre le stesse lamentele contro la sentenza definitiva. La vicenda, nata da una complessa questione di risarcimento per occupazione illegittima di terreni da parte di un ente pubblico, offre spunti cruciali sull’importanza della strategia processuale e sui limiti delle impugnazioni.

I fatti del caso

La controversia ha origine dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da alcuni cittadini nei confronti di un Comune per l’illegittima occupazione e trasformazione dei loro terreni. Il Tribunale, in primo grado, aveva respinto la domanda, ritenendola preclusa da una vecchia sentenza della Corte d’Appello che aveva già determinato l’indennità di espropriazione. Tuttavia, i proprietari hanno impugnato tale decisione.

La decisione della Corte d’Appello e l’impugnazione consumata

La Corte d’Appello, con una prima sentenza non definitiva, aveva ribaltato la decisione di primo grado, affermando l’ammissibilità dell’azione risarcitoria e la responsabilità del Comune. Successivamente, con una sentenza definitiva, ha quantificato il danno e condannato l’ente al pagamento. Il Comune ha quindi proposto ricorso in Cassazione contro quest’ultima sentenza, ma riproponendo, in larga parte, gli stessi motivi già sollevati (e respinti) nel precedente ricorso contro la sentenza non definitiva. Questo errore strategico si è rivelato fatale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i principali motivi del ricorso del Comune. La ragione risiede proprio nel principio di impugnazione consumata: il diritto di impugnare si esaurisce con il suo primo esercizio. Avendo il Comune già impugnato la sentenza non definitiva, e avendo la Cassazione già deciso su quei punti con una precedente ordinanza, tali questioni non potevano essere nuovamente sollevate. Il diritto a contestare quelle specifiche statuizioni si era, per l’appunto, ‘consumato’.

Il rigetto del ricorso incidentale

Anche i cittadini avevano proposto un ricorso, definito ‘incidentale’, lamentando un’errata valutazione del valore dei terreni da parte della Corte d’Appello. Anche questo ricorso è stato però rigettato. La Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse fornito una motivazione adeguata e non illogica sulla scelta del metodo di calcolo del danno, basandosi sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte sono state nette e proceduralmente rigorose. Per quanto riguarda il ricorso principale del Comune, la Corte ha applicato il principio di consumazione dell’impugnazione, affermando che le censure mosse alla sentenza definitiva erano una mera riproposizione di quelle già decise con statuizione di rigetto in un precedente giudizio di Cassazione avverso la sentenza non definitiva. Questo principio serve a garantire la stabilità delle decisioni e a prevenire un uso dilatorio dei mezzi di impugnazione.

Per il ricorso incidentale, invece, la Corte ha sottolineato che il vizio di motivazione, dopo le riforme legislative, può essere fatto valere solo in caso di anomalia grave e manifesta, tale da rendere la motivazione incomprensibile o inesistente. In questo caso, la Corte d’Appello aveva sufficientemente spiegato le ragioni della sua valutazione economica, rendendo la doglianza dei cittadini infondata.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un concetto cruciale: la strategia processuale è fondamentale. Impugnare una sentenza non definitiva cristallizza le questioni trattate. Una volta che la Cassazione si è pronunciata, non è più possibile tornare sugli stessi punti nel successivo ricorso contro la sentenza definitiva. La decisione evidenzia l’importanza di scegliere con cura i motivi di ricorso fin dal primo momento, poiché il principio dell’impugnazione consumata non ammette seconde possibilità.

È possibile riproporre gli stessi motivi di ricorso contro una sentenza definitiva, se erano già stati sollevati contro la sentenza non definitiva dello stesso processo?
No, la sentenza stabilisce che vige il principio di consumazione dell’impugnazione. Una volta esercitato il diritto di impugnare una sentenza non definitiva e ottenuta una decisione, le stesse censure non possono essere riproposte contro la sentenza definitiva.

Cosa significa esattamente “impugnazione consumata”?
Significa che il diritto di una parte di contestare una decisione giudiziaria si esaurisce con il primo ricorso presentato su una determinata questione. Se i motivi di impugnazione sono già stati esaminati e decisi, non si possono riaprire nella successiva fase del giudizio.

La Corte può rigettare sia il ricorso principale che quello incidentale nella stessa decisione?
Sì, come accaduto in questo caso. La Corte di Cassazione ha rigettato sia il ricorso del Comune (principale), in gran parte per inammissibilità dovuta all’impugnazione consumata, sia quello dei cittadini (incidentale), ritenendolo infondato nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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