Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 58 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 58 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 24979-2019 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrenti –
nonché contro
NOME
-intimati – avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di SALERNO n. 1847/2018, depositata il 29 novembre 2018;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di improcedibilità del ricorso;
lette le memorie delle parti; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 dicembre 2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di improcedibilità del ricorso; uditi l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrete e l’avvocato NOME
Pesca per i controricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con citazione notificata il 5.7.1983 NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’accertamento della successione ab intestato di NOME COGNOME, apertasi il 5.4.1942, la cui eredità -costituita nel lato attivo da un fondo denominato “RAGIONE_SOCIALE” -assumeva essersi devoluta per legge a lei e ai convenuti.
Questi ultimi, nel resistere in giudizio, deducevano in particolare che l’attrice non poteva vantare alcuna pretesa su tale eredità, essendosi prescritto il relativo diritto di accettarla.
NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME, quest’ultima deceduta poi nel corso del giudizio, proseguito dai suoi eredi NOME, NOME e NOME COGNOME, promuovevano, altra causa innanzi al medesimo Tribunale, con citazione notificata il 21.6.1986 nei confronti di NOME COGNOME per l’accertamento della proprietà di taluni appezzamenti di terreno (originati dal frazionamento del fondo “Vigna grande”) suddivisi in virtù di precedenti contratti stipulati dai loro danti causa NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME germani di NOME COGNOME; in subordine, chiedevano l’accertamento dell’acquisto per usucapione dei diritti di proprietà loro spettanti.
Ed altra causa ancora, sempre introdotta con citazione del 21.6.1986 e sempre contro NOME COGNOME, promuovevano NOME, NOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, per sentir dichiarare la validità degli atti pubblici di divisione, con domanda anche qui subordinata di usucapione. In tutte le cause resisteva NOME COGNOME.
Queste ultime due cause, registrate con i nn. 562/86 e 563/86, erano riunite, ed era disposta l’acquisizione d’ufficio dei verbali della prima causa, registrata sub n. 717/83 (anch’essa inizialmente riunita, ma poi separata).
Quindi, deceduta NOME COGNOME e proseguito il processo dagli eredi di lei, NOME, NOME e NOME COGNOME il Tribunale con sentenza del 29.9.2003, resa nei confronti di NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, rigettava le domande,
condannava gli attori alle spese e dichiarava la propria incompetenza a decidere sulla causa n. 717/83.
Tale sentenza, impugnata in via principale da NOME e NOME COGNOME ed in via incidentale da NOME e NOME COGNOME e da NOME, NOME e NOME COGNOME, era riformata dalla Corte d’appello di Salerno che, con sentenza pubblicata il 25.1.2007, dichiarata l’inesistenza della sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice aveva declinato la propria competenza a decidere sulla causa n. 717/83, dichiarava prescritto il diritto già spettante ad NOME COGNOME di accettare l’eredità in questione; dichiarava, inoltre, NOME e NOME COGNOME ed NOME, NOME e NOME COGNOME, proprietari delle porzioni del fondo “RAGIONE_SOCIALE” così come stabilite negli atti di divisione.
La Corte territoriale osservava che l’aver NOME COGNOME percepito in passato alcuni prodotti del fondo in questione, allora oggetto di un rapporto agrario, non valeva a dimostrare l’accettazione tacita dell’eredità di NOME COGNOME non avendo valenza univoca e diretta alla conferma della posizione di erede, così come non potevano valere gli accessi al fondo che ella aveva effettuato nel corso degli anni. Pertanto, l’unico atto dispositivo compiuto da NOME COGNOME era costituito dall’introduzione del giudizio di divisione con la citazione del 6.7.1983, atto al momento del quale, però, era già maturata la prescrizione ex art. 480 c.c., eccepita dalle controparti in primo grado e reiterata con l’appello incidentale.
Pertanto, concludeva, NOME COGNOME non aveva mai acquistato l’eredità in questione, ed erano per contro fondate le domande degli appellanti incidentali.
Per la cassazione di tale sentenza ricorsero NOME e NOME COGNOME in base a quattro motivi. Resistettero con controricorso NOME e NOME COGNOME nonché NOME, NOME e NOME COGNOME. NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME non svolsero attività difensiva.
Questa Corte con la sentenza n. 18118 del 26 luglio 2013, ha rigettato i primi due motivi di ricorso, ed in accoglimento del terzo e del quarto motivo, ha cassato la sentenza di appello, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione.
Quanto ai motivi accolti, che investivano il difetto di motivazione e l’erronea applicazione delle norme di legge, nella parte in cui era stata affermata la prescrizione del diritto di accettare l’eredità della dante causa degli Autuori, la Corte osservò che, in base all’art. 476 c.c. l’accettazione dell’eredità è tacita quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. Nel caso in esame la Corte d’appello di Salerno, pur richiamati correttamente i principi di diritto elaborati in sede di legittimità, e pur avendo correttamente escluso che la presentazione della denuncia di successione e il pagamento di imposte potessero integrare gli estremi di un’accettazione tacita, aveva affermato che il solo elemento della percezione di alcuni prodotti del fondo in questione da parte di NOME COGNOME “per mano di COGNOME NOME, conduttore del detto fondo (…) non avesse valenza univoca e diretta alla conferma della posizione di erede della stessa, così come non rilevavano le “visite” al fondo dalla stessa effettuata nel corso degli anni’.
Tale motivazione era reputata, ad un tempo, insufficiente e priva di coerenza rispetto alla premessa di diritto operata., in quanto per come accertati, i fatti lasciavano intendere una percezione dei frutti naturali del fondo non sporadica ed occasionale, ma periodica e reiterata per anni (“visite … nel corso degli anni”), e soprattutto effettuata su base obbligatoria, atteso che i frutti erano corrisposti dal “conduttore” del fondo. La sentenza impugnata non forniva una lettura alternativa di tali fatti, volta a dimostrate che i frutti erano corrisposti benevolentiae causa ovvero per una diversa ragione che non implicasse un rapporto giuridico col proprietario del terreno, ma si limitava a ritenere, senza altra aggiunta, che tale quadro fattuale non sarebbe significativo ai fini della dedotta configurazione di un’accettazione tacita. Invero, la percezione dei frutti appariva espressiva dell’esercizio di un diritto che, spettando soltanto al proprietarioconcedente del terreno, non avrebbe potuto essere esercitato se non dall’erede di lui e con l’intento di proseguire il medesimo rapporto sostanziale, il che implicava altresì la volontà di accettare l’eredità. Ne conseguiva l’insufficienza della motivazione, inidonea a fondare la soluzione negativa prescelta, e la falsa applicazione dell’art. 476 c.c., perché incoerente rispetto all’esatta interpretazione fornitane.
La Corte d’Appello di Salerno, quale giudice di rinvio, con la sentenza n. 1847 del 29 novembre 2018, ha dichiarato l’estinzione del giudizio.
Dopo aver dato atto che il giudizio era stato riassunto da COGNOME NOME ed COGNOME NOME, osservava che si erano costituiti COGNOME NOME, COGNOME NOME, Ventimiglia NOME, Ventimiglia NOME e Ventimiglia NOME, e che alla prima udienza si era rilevata
la mancata prova della notifica dell’atto di riassunzione a COGNOME NOME e COGNOME NOME, così che se ne disponeva la rinnovazione.
La rinnovazione era nuovamente autorizzata alla successiva udienza del 3 marzo 2015, ma nelle more si verificava che COGNOME NOME era già deceduto nel 2011.
Era perciò disposta la rinnovazione della notifica nei confronti degli eredi, e cioè di COGNOME NOME e COGNOME NOME, figli, di NOME NOME moglie, e di COGNOME NOME, sorella.
La notifica a NOME NOME era poi rinnovata, non essendo andata a buon fine.
Quindi eccepita l’estinzione per la mancata rinnovazione delle notifiche, si costituivano la Senatore, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che deducevano di non essere eredi del defunto COGNOME NOME, per avere rinunciato.
Quindi, era nuovamente autorizzata la rinotifica dell’atto di riassunzione a COGNOME NOME
Secondo la Corte distrettuale, era fondata l’eccezione di estinzione del giudizio, in quanto era del tutto mancata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni degli eredi di COGNOME NOME.
Infatti, i soggetti evocati in giudizio in tale qualità avevano dichiarato di avere rinunciato all’eredità, ed in particolare NOME NOME aveva riferito di non vantare alcun diritto successorio, e nonostante tale dichiarazione non era stato in alcun modo integrato il contraddittorio, non potendo rilevare il fatto che l’atto era stato indirizzato nei confronti dei chiamati alla successione, una volta che gli stessi avevano riferito di avervi rinunciato.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di sei motivi.
COGNOME NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza emessa in sede di rinvio che aveva visto la riassunzione operata da entrambi i coeredi di una delle originarie parti del giudizio di merito, risulta essere stato proposto dal solo COGNOME NOMECOGNOME ma non anche dall’altro coerede COGNOME GaetanoCOGNOME che nemmeno risulta tra i destinatari della notifica.
E’ bensì vero che nella specie si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’ , l’integrazione del contraddittorio nei confronti del detto litisconsorte necessario, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.
Senonché, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’
e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. e ) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del
principio del contraddittorio, espresso dall’ , da sostanziali garanzie di difesa ( ) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità ( ) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti ( Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723;
;
;
;
).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie improcedibile, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 331 c.p.c., e la conseguente mancata applicazione dell’art. 332 c.p.c.
Si deduce che la domanda proposta dinanzi al Tribunale da COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali figli di COGNOME NOME, era ormai coperta da giudicato, in quanto gli stessi, una volta intervenuto il rigetto da parte del Tribunale, non avevano proposto appello.
Ancorché tale giudizio fosse stato riunito a quello separatamente avanzato dagli eredi di COGNOME NOME, e cioè COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, lo stesso aveva una sua autonomia, essendosi al cospetto di cause scindibili.
La Corte d’Appello nella sentenza cassata era chiamata a pronunciarsi solo sulla domanda avanzata dagli eredi di COGNOME NOME e tale era anche l’oggetto del giudizio interessato dalla sentenza della Suprema Corte, e del conseguente giudizio di rinvio.
Ciò comporta che, alla luce dell’oggetto della materia del contendere ancora interessata dalla decisione del giudice di rinvio, non poteva sostenersi che COGNOME NOME ed i suoi eredi rivestissero in tale sede la qualità di soggetti da evocare necessariamente in giudizio, dovendo al più trovare applicazione l’art. 332 c.p.c.
Il secondo motivo lamenta per analoghe motivazioni la violazione e falsa applicazione degli artt. 331 e 332 c.p.c.
Anche a voler escludere che sulla domanda proposta da COGNOME NOME ed i suoi fratelli non fosse caduto il giudicato interno, doveva prevalere il carattere scindibile delle cause, attesa la diversità dei beni oggetto delle domande separatamente proposte, il che del pari escludeva che potesse pronunciarsi l’estinzione per la mancata integrazione del contraddittorio in appello.
Il terzo motivo denuncia ulteriore violazione dell’art. 331 c.p.c. in relazione agli artt. 137 e ss. c.p.c. ed 8 della legge n. 890/1982 e 291 c.p.c.
Si deduce che l’atto di riassunzione era stato indirizzato a COGNOME NOME nei cui confronti la notifica deve reputarsi perfezionata, in quanto come si ricava dalla relata di notifica a mezzo posta, l’atto non era stato ritirato presso l’ufficio postale, nonostante fosse stato immesso avviso nella cassetta postale.
Una volta perfezionata la compiuta giacenza, la notifica deve intendersi avvenuta, a nulla rilevando che a quella data il COGNOME fosse già deceduto, essendo la morte emersa solo in epoca successiva.
Il quarto motivo lamenta l’ulteriore violazione dell’art. 331 c.p.c., per omessa valutazione della regolare notifica agli eredi di COGNOME NOME
Si evidenzia che COGNOME NOME era germano di NOME NOME COGNOME e di NOME NOME.
Anche a voler prendere atto della rinuncia all’eredità operata dalla moglie e dai figli, l’atto di riassunzione era stato notificato alle sorelle, che sono a loro volta eredi del defunto fratello, il che implica che sia erronea l’affermazione secondo cui non vi sarebbe stata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di COGNOME NOME.
Il quinto motivo lamenta l’ulteriore violazione dell’art. 331 c.p.c., in quanto non si sarebbe tenuto conto del carattere unitario del rapporto giuridico dedotto con la domanda avanzata dai germani NOME, figli di NOME NOME, il che implicava che la rinuncia all’eredità da parte di uno dei germani non determinava alcuna modifica del rapporto processuale, ben potendo la causa essere decisa attesa la presenza in giudizio delle altre due sorelle.
Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 392 c.p.c. in relazione all’art. 476 c.c.
Si richiama il contenuto della precedente sentenza di questa Corte ed i principi dalla stessa affermati e si sostiene che il giudice di rinvio avrebbe dovuto agli stessi dare attuazione, senza potersi arrestare alla declaratoria di estinzione.
Il ricorso è improcedibile.
Parte ricorrente ha riferito in ricorso che la sentenza impugnata le è stata notificata in data 1 giugno 2019, avendo quindi proposto il ricorso in data 30 luglio 2019, evidentemente nel rispetto del termine di cui all’art. 325 c.p.c., decorrente da detta notifica.
Alla parte era però altresì imposto ex art. 369 co. 2 n. 2 c.p.c. di dover depositare nel termine fissato dalla norma anche la relazione di notificazione, a pena appunto di improcedibilità.
Occorre poi evidenziare che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, contenuta nel ricorso per cassazione, costituisce l’attestazione di un “fatto processuale” – l’avvenuta notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, in quanto manifestazione della “autoresponsabilità” della parte, la impegna a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere, in capo ad essa, ai sensi dell’art.369, c.p.c., l’onere di depositare, nel termine ivi previsto, copia della sentenza munita della relata di notifica (cfr. Cass. n. 15832 del 07/06/2021; Cass. S.U. n. 21349/2022).
Inoltre è stato chiarito nella medesima circostanza che la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata contenuta nel ricorso per cassazione, quale atto processuale formale, indipendente dall’intenzione del dichiarante e produttivo degli effetti cui è destinato dalla legge nella serie procedimentale, non può essere successivamente corretta dal ricorrente con la memoria ex art. 380 bis o 378 c.p.c., atteso, per un verso, che l’ordinamento processuale non prevede un istituto che consenta la correzione degli atti processuali di parte (i quali sono normalmente ripetibili, salvo lo spirare dei termini stabiliti a pena
di decadenza e il maturare delle preclusioni) e considerato, per altro verso, che la dichiarazione medesima, in quanto espressione dell'”autoresponsabilità” della parte, deve ritenersi inemendabile, rimettendosi altrimenti nella disponibilità della parte stessa l’applicabilità della sanzione dell’improcedibilità del ricorso.
In tal senso è stato sottolineato che il difensore abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte suprema, essendo dotato di professionalità specialistica, conosce bene le regole processuali che sovraintendono al giudizio di legittimità, così che, nel momento in cui redige e sottoscrive il ricorso per cassazione, conosce le conseguenze giuridiche che conseguono al suo contenuto e, in particolare, come alla dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata consegua, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., l’onere di depositare, nel termine ivi previsto, copia della sentenza munita della relazione di notificazione.
Ciò comporta che, ove in ricorso si riferisca dell’avvenuta notificazione della sentenza, a fronte di una dichiarazione in tal senso impegnativa della parte anche perché priva di qualsivoglia specificazione, e di cui la Corte non ha alcun modo di controllarne la veridicità, deve reputarsi che la medesima sia logicamente intesa, in ragione della sua collocazione, come dichiarazione della avvenuta notificazione della sentenza presso il procuratore costituito, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, e ciò in quanto non rileva il fatto che la dichiarazione della ricorrente non specifichi quale parte abbia provveduto alla notificazione e quale sia stata destinataria di essa; e neppure rileva il fatto che la dichiarazione del ricorrente non precisi le forme e lo scopo della notificazione.
Per altro verso, poi, la dichiarazione della avvenuta notificazione della sentenza inserita nel contesto della indicazione dell’oggetto della impugnazione, senza specificazioni che depongano in senso contrario, deve essere intesa – perché abbia un senso e una ragion d’essere -come incidente sulla ammissibilità della impugnazione e destinata a consentire alla Corte la verifica della sua tempestività. Essa, in altre parole, deve essere intesa (in mancanza di diversa esplicita precisazione) come eseguita al procuratore costituito ai sensi dell’art. 285 cod. proc. civ., e non alla parte personalmente ai sensi dell’art. 479 cod. proc. civ. (in tale ultimo caso rimanendo, peraltro, priva di alcuna utilità).
Traendo le fila dei principi sopra richiamati, avendo parte ricorrente riferito, senza specificazione alcuna, dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata, e dovendo la dichiarazione reputarsi riferita alla notificazione effettuata al difensore e strumentale alla decorrenza del termine breve, ne consegue che a pena di improcedibilità sarebbe stato necessario produrre anche la copia notificata della sentenza.
Tale copia però non si rinviene, avendo la parte prodotto solo una copia autentica della sentenza impugnata, ma priva della prova dell’avvenuta notifica, né tale prova è dato rinvenire nella produzione di parte controricorrente (cfr. Cass. S.U. n. 10648/2017, che reputa che l’improcedibilità sia evitata ove la prova della notifica si evinca dalla produzione del controricorrente), che parimenti riferisce dell’avvenuta notificazione della sentenza, a nulla rilevando la presenza nel fascicolo di una copia notificata però a fini esecutivi.
Né può tale omissione essere surrogata dal fatto che parte controricorrente confermi l’avvenuta notifica della sentenza alla
data indicata in ricorso, essendo escluso che la produzione della relata possa essere surrogata dalle concordi dichiarazioni delle parti.
Peraltro, ad analoghe conclusioni deve pervenirsi ove la notifica della sentenza sia avvenuta a mezzo pec, in quanto in tal caso si imponeva del pari la dimostrazione della notifica mediante la produzione della stampa dei messaggi di posta elettronica certificata.
Tale omissione, dovendo tale deposito avvenire nel rispetto del termine di cui all’art. 369 c.p.c., determina l’improcedibilità del ricorso (Cass. S.U. n. 8312/2019), non potendo ovviarsi con un tardivo deposito della relata stessa ovvero dei messaggi di posta elettronica (essendo concessa solo la possibilità di produrre l’attestazione di conformità delle stampe agli originali telematici, purché le prime siano già state depositate nel detto termine).
Né può reputarsi che la previsione normativa sia incompatibile con i principi della CEDU.
Questa Corte, come segnalato dal Pubblico Ministero, ha di recente affermato che l’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. e tale sanzione non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia (Cass. n. 19475/2024; Cass. n. 24724/2024; Cass. n. 27883/2024; Cass. n. 27313/2024).
Infatti, la Corte EDU, in una recentissima pronuncia ha escluso che potesse configurarsi una violazione dell’art. 6 paragrafo 1, CEDU, per eccessivo formalismo, in una fattispecie in cui la Corte di cassazione aveva dichiarato l’improcedibilità del ricorso in assenza del deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata nel termine indicato dall’art. 369, comma 1, c.p.c. (cfr. Corte EDU, Sezione Prima, Sentenza del 23.5.2024, COGNOME e altri c. Italia, ove è stata comunque dichiarata la violazione dell’art. 6 paragrafo 1 CEDU in relazione ad altre ipotesi). Secondo la Corte EDU, l’osservanza dell’art. 369, comma 1, c.p.c. consente alla Corte di cassazione di adottare una decisione sulla procedibilità del ricorso nella fase iniziale del procedimento grazie a una procedura accelerata. Infatti, non appena il ricorso è stato depositato, semplicemente consultando il fascicolo, la Corte di cassazione è in grado di verificare il rispetto del termine di impugnazione, fissare un’udienza in camera di consiglio e pronunciarsi sulla causa senza necessità di ulteriori passaggi. La Corte ha rilevato che, nella specie, la relazione di notificazione non era presente nel fascicolo trasmesso dalla cancelleria del giudice che aveva emesso la sentenza impugnata, né era stata depositata dalla controparte. L’inosservanza da parte dei ricorrenti dell’articolo 369, comma 1, c.p.c. aveva pertanto messo la Corte di cassazione nell’impossibilità di verificare l’osservanza dei termini di impugnazione nella fase iniziale del procedimento. L’accettazione di depositi tardivi avrebbe vanificato l’obiettivo di assicurare il rapido svolgimento del procedimento e avrebbe impedito alla Corte di cassazione di pronunciarsi sulla procedibilità del ricorso senza ulteriori passaggi e senza ritardi. La misura
contestata era pertanto adeguata alla realizzazione del legittimo fine perseguito.
Quanto alla gravità delle conseguenze sul diritto di accesso alla giustizia dei ricorrenti, la Corte EDU ha ribadito che, dato il carattere particolare del ruolo della Corte di cassazione, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge, essa può ammettere che le procedure seguite dalla suprema corte siano più formali, specialmente in procedimenti quali quello di cui al caso di specie dove i ricorrenti erano stati rappresentati da un avvocato specializzato iscritto all’albo giurisdizioni superiori. Inoltre, il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione era stato proposto dopo che le richieste dei ricorrenti erano state esaminate da un tribunale di primo grado e da una Corte di appello entrambi dotati di piena giurisdizione. Date tali circostanze non si poteva affermare che la decisione della Corte di cassazione costituisse a un impedimento tale da compromettere la sostanza stessa del diritto di accesso alla giustizia garantito dall’articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione, o avesse ecceduto il margine di discrezionalità nazionale.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato improcedibile.
All’improcedibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente principale al rimborso delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.
Nulla a disporre quanto invece alle parti rimaste intimate.
Poiché il ricorso è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo
unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda