Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3372 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1548-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore I, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv . NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv . NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4170/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 3/10/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 3.4.2015 la RAGIONE_SOCIALE già concessionaria dall’RAGIONE_SOCIALE della gestione del tratto autostradale denominato ‘A3 Napoli – Salerno’, giusta legge n. 729 del 1961 e successiva concessione con allegata convenzione n. 12759 del 21.12.1972, approvata ai sensi della legge n. 287 del 1971 e successivamente rinnovata, evocava in giudizio COGNOME COGNOME innanzi il Tribunale di Torre Annunziata, lamentando che lo stesso aveva abusivamente occupato una parte dell’area di rispetto dal tratto autostradale, realizzandovi alcuni setti murari in calcestruzzo, ed invocando la sua condanna a demolire quanto eretto, a rilasciare l’area occupata e a risarcire il danno derivante dall’eventuale mancata ottemperanza.
Nella resistenza del convenuto il Tribunale, con sentenza n. 9/2018, accoglieva la domanda, ordinando al convenuto l’eliminazione dei setti murari ed il rilascio dell’area occupata senza titolo. Il giudice di prime cure evidenziava che le predette opere erano collocate immediatamente a ridosso del confine autostradale, identificato nel muro di contenimento della carreggiata, in violazione della distanza di 3 metri applicabile alla fattispecie.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 4170/2023, la Corte di Appello di Napoli riformava parzialmente la decisione di prime cure, evidenziando che i setti murari oggetto della domanda proposte dall’attore in prime cure insistevano su area di proprietà di quest’ultimo; secondo la Corte distrettuale, dunque, la condanna
dell’Orazzo alla loro eliminazione non era corretta, non essendo stata conseguita la prova che costui fosse l’autore materiale dell’opera contestata.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE società succeduta all’originaria attrice nella gestione del tratto autostradale di cui è causa, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso COGNOME Giacomo.
A seguito della proposta di definizione anticipata, formulata ai sensi di quanto previsto dall’art. 380 bis c.p.c., la parte ricorrente, con istanza in data 13.5.2024, corredata da nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria ed il P.G. ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Prima di esaminare i motivi del ricorso, ne va rilevata l’improcedibilità, in quanto (come correttamente evidenziato nella proposta di definizione anticipata e confermato anche dalla requisitoria
del P.G.) la parte ricorrente afferma che la sentenza impugnata è stata notificata in data 2 novembre 2023 (cfr. pag. 1 del ricorso), ma non produce la copia del provvedimento munito della relata di notifica, rinvenendosi nel fascicolo solamente copia autentica della sentenza. Il ricorso è stato notificato il 2 gennaio 2024 e dunque dopo il decorso del termine di sessanta giorni di cui all’art. 325 c.p.c., da computarsi in assenza di prova della notificazione della sentenza impugnata- a decorrere dalla data della pubblicazione della stessa, nella fattispecie avvenuta il 3 ottobre 2023 (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 21349 del 06/07/2022, Rv. 665188; in senso conforme, cfr. Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874. Sulla non emendabilità della dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, quale espressione di ‘autoresponsabilità’ della parte, cfr. Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874).
Nel tentativo di superare tale preclusione, la parte ricorrente afferma, nell’istanza di decisione depositata dopo la comunicazione della proposta di definizione anticipata, che comunque la copia notificata della sentenza impugnata sarebbe contenuta nel fascicolo di ufficio, in quanto allegata ad una istanza di visibilità che la società RAGIONE_SOCIALE nuova concessionaria del tratto autostradale di cui è causa, avrebbe depositato nel giudizio di appello, ai fini di acquisire gli elementi informativi necessari alla proposizione del presente ricorso per Cassazione. Al riguardo, tuttavia, va innanzitutto evidenziato che il giudizio di legittimità costituisce un giudizio autonomo rispetto a quello di merito, e che la prescrizione di cui all’art. 369 c.p.c., secondo cui la copia notificata della sentenza impugnata deve essere depositata unitamente all’originale del ricorso, a pena di improcedibilità dello stesso, non ammette equipollenti.
Occorre infatti ribadire, sul punto, il principio di diritto secondo cui ‘La previsione -di cui all’art. 369 c.p.c., comma secondo, n. 2- dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione -a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale- della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, Rv. 607363; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11376 del 11/05/2010, Rv. 613051; Cass. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 25070 del 10/12/2010 Rv. 615089; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1443 del 27/01/2015, Rv. 634107). Non è invocabile, per superare tale orientamento, il diverso principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui ‘In tema di
giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10648 del 02/05/2017, Rv. 643945). Né è sufficiente, per evitare la sanzione dell’improcedibilità prevista dalla norma, il deposito della mera istanza di acquisizione del fascicolo di ufficio del giudizio di merito, posto che, da un lato, la produzione della copia notificata della sentenza impugnata costituisce onere della parte ricorrente, espressamente sanzionato dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. con l’improcedibilità dell’impugnazione, e che, dall’altro lato, la copia notificata della sentenza conclusiva del giudizio di merito non è contenuta, salvo casi eccezionali, nel fascicolo di ufficio, avvenendo la notificazione della stessa in un momento successivo alla definizione del giudizio predetto (cfr. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 21386 del 15/09/2017, Rv. 645764; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14360 del 25/05/2021, Rv. 661397).
Peraltro, sul punto, occorre evidenziare che l’istanza di visibilità depositata dalla parte odierna ricorrente nel giudizio di appello non rientra tra gli atti del fascicolo d’ufficio, bensì, al massimo, tra quelli propri del fascicolo di parte.
Va dunque ribadito (in continuità con Cass. Sez. 6 -3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628539) il seguente principio: ‘L’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti
determina l’improcedibilità del ricorso. Tale sanzione può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purché entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione; non, invece, quando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale. Inoltre, la sanzione dell’improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte, senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione. Infine, l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato’ .
L’indirizzo, come sopra ricostruito, non è messo in discussione, anzi è confermato da successive pronunce delle Sezioni Unite, in materia di notifica della sentenza impugnata in formato digitale e deposito della copia notificata da parte del ricorrente senza attestazione di conformità all’originale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018, Rv. 650462; conf. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597). Invero, dette sentenze hanno chiaramente ribadito la validità del tradizionale orientamento di questa Corte, operando unicamente un temperamento dello stesso nel caso di ricorso o di sentenza impugnata notificati a mezzo p.e.c. e della mancata asseverazione di conformità delle copie della sentenza o della relata depositate dal ricorrente. Solo in tali casi, le Sezioni Unite hanno attribuito rilievo alla non
contestazione della controparte rispetto alla mancanza di attestazione di conformità di atti che risultano in ogni caso depositati in giudizio. Tale attenuazione, tuttavia, non è applicabile al caso di specie, non essendo stata depositata neanche la copia dell’eventuale notificazione eseguita in via telematica, sia pure senza l’attestazione di conformità.
L’accertata improcedibilità del ricorso impedisce l’esame dei due motivi proposti dalla società ricorrente.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara improcedibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi
iva e cassa avvocati. Dispone la distrazione delle predette spese in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratori antistatario.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda