Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4516 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4516 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
Oggetto: Omesso deposito sentenza notificata
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2056/2024 R.G. proposto da
COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME E COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrenti –
COGNOME e NOME
-intimati-
avverso la sentenza n. 925/2023 emessa dalla Corte d’Appello di Lecce in data 26/10/2023 e notificata il 14/11/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c.;
Rilevato che:
Vita NOME COGNOME convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, i germani COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME nonché la propria madre NOME COGNOME chiedendo che si procedesse alla divisione ereditaria del patrimonio relitto dal padre NOME COGNOME deceduto il 03/05/1982.
Nel giudizio così incardinato, si costituirono NOME COGNOME e NOME COGNOME che non si opposero alla divisione, e con distinti atti NOME COGNOME e NOME COGNOME che invece chiesero entrambi, in via riconvenzionale, che venissero esclusi dal patrimonio dividendo alcuni beni indicati in citazione, rispettivamente un appartamento in Fasano, INDIRIZZO, un capannone in Fasano, INDIRIZZO, e un fabbricato rurale, in Fasano, Cda Monte Cannone, l’uno, e un appartamento in Fasano, INDIRIZZO e un locale negozio in Fasano, INDIRIZZO, l’altro, avendone acquisito la proprietà per usucapione.
Si costituirono anche NOMECOGNOME e NOME COGNOME evocati in giudizio in quanto comproprietari pro quota dei beni oggetto delle domande riconvenzionali, ad essi pervenuti all’esito di procedura esecutiva promossa in danno di NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME appellante esclusa.
Il giudizio, interrotto per l’intervenuto decesso di NOME COGNOME e poi riassunto, fu deciso, con riguardo alle sole domande
riconvenzionali, con la sentenza non definitiva n. 8/2011, depositata il 3/2/2020, con la quale il Tribunale di Brindisi accolse entrambe le domande riconvenzionali proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio e rinviando alla sentenza definitiva la liquidazione delle spese di lite.
La suddetta sentenza fu impugnata da NOME COGNOME incardinando un giudizio nel quale si costituirono NOME COGNOME e NOME COGNOME che chiesero il rigetto dell’appello, e NOME e NOME COGNOME che aderirono all’appello, mentre rimasero contumaci NOME COGNOME e NOME COGNOME
La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 925/2023, pubblicata il 10/11/2023, accolse il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza non definitiva, rigettò le domande riconvenzionali proposte da NOME COGNOME e da NOME COGNOME
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, mentre COGNOME e COGNOME NOME sono rimaste intimate.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 714, 1102, 1140 e 1411 cod. civ., in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, affermando che alcuni degli immobili erano venuti ad esistenza successivamente al decesso del defunto ed erano stati consegnati a Mola Bernardino e Mola Donato il 18/10/1983, che il consenso prestato dagli altri eredi riguardava la mera consegna, sì da non poter essere considerato atto di trasferimento a titolo oneroso o gratuito di quote ai fini dell’acquisto per usucapione, e che la disponibilità dei predetti beni non poteva che essere avvenuta per mera tolleranza dei coeredi, e avere, altresì, affermato, quanto al capannone e al fabbricato rurale, che NOME COGNOME li aveva ricevuti dal 2/2/1982 col consenso del padre e ne aveva mantenuto la disponibilità uti condominus e non uti dominus , mentre nulla il deducente aveva affermato con riguardo al locale negozio, aveva rigettato le domande riconvenzionali sulla base dell’erronea applicazione dei principi stabiliti dagli artt. 714 e 1102 cod. civ., anziché fare riferimento alla presunzione di possesso sancita dall’art. 1141 cod. civ.. Ad avviso dei ricorrenti, ciò che rilevava non era tanto l’attività gestoria dei beni rivendicati, siccome compatibile con un possesso uti condominus , quanto il possesso esclusivo e animo domini , incompatibile col compossesso altrui, oltre al fatto che, per i beni venuti ad esistenza successivamente al decesso del padre, nessun possesso i coeredi avevano mai esercitato, sicché non poteva parlarsi di tolleranza, e che, per quelli avuti nella disponibilità prima, il possesso era stato esercitato in danno dello stesso de cuius .
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, dicendo che alcuni dei beni erano stati ricevuti dal padre, che NOME COGNOME non aveva specificato il titolo in virtù del quale
aveva avuto la disponibilità del fabbricato rurale e che spettava ai rivendicanti dimostrare l’inequivoca volontà di possedere come proprietari, non essendo all’uopo sufficiente la mera astensione, avevano fatto ricorso a mere presunzioni, così applicando in modo errato il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2967 cod. civ., in quanto avevano posto a carico dei ricorrenti l’onere di dimostrare di avere posseduto quali proprietari esclusivi, mentre spettava agli appellanti provare che l’esercizio del potere di fatto sul bene era iniziato a titolo detentivo o per mera tolleranza, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2728, 2729 e 2733 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte territoriale non aveva valorizzato la prova fornita dagli appellanti riguardante l’inizio dell’esercizio del potere di fatto sui beni usucapiti , oltre ad avere posto a carico dei ricorrenti l’onere di dimostrare l ‘animus possidendi , anziché presumerlo ai sensi dell’art. 1141 cod. civ.. Ad avviso dei ricorrenti, il rilievo, attribuito dai giudici di merito, al consenso dato dal padre all’apprensione di beni faceva sì che la prova da essi posta a fondamento della decisione di rigetto avesse carattere di presunzione semplice, che, pur priva di requisiti oggettivi, era stata preferita alla prova legale data dalle dichiarazioni confessorie rese in sede di interrogatorio formale da NOME COGNOME
4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’illogicità, contraddittorietà e incomprensibilità della sentenza in violazione dell’art. 132, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito reso una motivazione apparente, sia nella parte in cui avevano ritenuto che la consegna delle chiavi degli immobili ai ricorrenti non costituisse atto traslativo, non essendo detto passaggio correlabile alla
sussistenza dei presupposti del possesso esclusivo del bene, sia nella parte in cui avevano affermato che per i beni ricevuti dal padre non era maturato il possesso utile ad usucapire alla data del decesso dello stesso, così affermando un’inversione del possesso in detenzione, della quale non era stata fornita alcuna motivazione. In sostanza, ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’Appello non aveva individuato, in maniera inequivoca, né il momento in cui era iniziato il possesso uti dominus ovvero uti condominus degli odierni ricorrenti, né l’inizio del possesso prima o dopo il decesso del padre.
5. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito pronunciato extra petita allorché avevano rigettato le domande proposte da NOME COGNOME senza considerare che l’atto d’appello era stato proposto da COGNOME NOME con esclusivo riguardo alla sua quota e non nell’interesse della comunione ereditaria.
Occorre preliminarmente evidenziare come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano recentemente affermato che, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione possa far parte -ed eventualmente essere nominato relatore -del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si
configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass., Sez. U, 10/04/2024 , n. 9611).
Ciò detto, il ricorso è improcedibile ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., per avere i ricorrenti omesso di produrre la sentenza corredata della relata di notifica, nonostante l’indicazione, contenuta nei rispettivi ricorsi, dell’avvenuta sua notificazione.
La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata attesta, infatti, un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 6/7/2022, n. 21349; anche Cass., Sez. 6, 7/6/2021, n. 15832; Cass., Sez. 5, 19/1/2018, n. 1295), a meno che la sentenza, munita della relata di notifica (o delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo PEC), non sia stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, terzo comma, cod. proc. civ., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 cod. proc. civ.) – mediante l’istanza di trasmissione del
fascicolo di ufficio (Cass., Sez. U, 6/7/2022, n. 21349; Cass. Sez. U, 02/05/2017, n. 10648 del, Rv. 643945).
In materia, opera, peraltro, l’ulteriore principio secondo cui, pur in difetto della produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima, prescritta dall’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza indicata nel ricorso e quella della notificazione del ricorso, emergente dalla relata di notificazione dello stesso, assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ. (in tal senso, Cass., Sez. 6-3, 3/4/2019, n. 11386; Cass., Sez. 3, 10/7/2013, n. 17066).
Non rileva, peraltro, il fatto che la riforma introdotta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ratione temporis applicabile, abbia abrogato l’ultimo comma dell’art. 369 cod. proc. civ., essendo rimasto del tutto invariato il restante impianto della norma, ivi compreso il secondo comma, n. 2, che impone al ricorrente di depositare, assieme al ricorso, la relazione di notificazione della sentenza impugnata.
Né può dirsi dirimente, al fine di evitare la sanzione dell’improcedibilità prevista dalla norma, l’avvenuta abrogazione del quarto comma della citata disposizione, che poneva a carico del ricorrente l’obbligo di ‘chiedere alla Cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d’ufficio’, atteso
che, come anche recentemente ricordato da questa Corte (Cass., Sez. 2, 8/11/2024, n. 28781), da un lato, la produzione della copia notificata della sentenza impugnata costituisce onere della parte ricorrente, espressamente sanzionato dall’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ. con l’improcedibilità dell’impugnazione, e che, dall’altro lato, la copia notificata della sentenza conclusiva del giudizio di merito non è contenuta, salvo casi eccezionali, nel fascicolo di ufficio, avvenendo la notificazione della stessa in un momento successivo alla definizione del giudizio predetto (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 15/09/2017, n. 21386, Rv. 645764; conf. Cass. Sez. 1, 25/05/2021, n. 14360, Rv. 661397).
Inoltre, l’onere posto ora a carico del cancelliere della Corte, di acquisire il fascicolo d’ufficio dalla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 137 -bis , disp. att. cod. proc. civ., inserito dall’art. 4, comma 6, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e applicabile a decorrere dal 1 gennaio 2023 per i giudizi introdotti con ricorso notificato da tale data, pone il termine di sessanta giorni dal deposito del ricorso, laddove il disposto di cui all’art. 369, comma 2, n. 2, impone che il deposito avvenga in uno con il ricorso.
La prescritta improcedibilità del ricorso non si pone, del resto, in contrasto con l’art. 6 CEDU, giacché, come affermato dalla Corte EDU nella sentenza del 23 maggio 2024, COGNOME e altri c. Italia integra una sanzione adeguata rispetto al fine di assicurare il rapido svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, che è preordinato alla verifica della corretta applicazione della legge ed interviene dopo la celebrazione di due gradi di giudizio deputati alla delibazione nel merito della pretesa, e non costituisce impedimento idoneo a compromettere il diritto di accesso a un tribunale (Cass., Sez. 3, 16/09/2024, n. 24724).
Va infine esclusa la conferenza, ai fini voluti, dell’arresto giurisprudenziale citato nell’istanza di decisione ex art. 380bis cod. proc. civ., ossia l’ordinanza di questa Corte n. 25971/2022 (l’indicazione dell’anno ‘20229’ è un mero refuso), atteso che lo stesso non ha affatto affermato che la non contestazione in ordine alla decorrenza del termine breve per impugnare dalla notificazione sani il mancato deposito della notifica della sentenza, quanto piuttosto che quel presupposto sana la mancata attestazione di conformità della copia notificata del ricorso o della sentenza impugnata dal ricorrente.
Pertanto, posto che i ricorrenti non hanno prodotto gli atti attestanti la notifica della sentenza, che questi non sono stati allegati neppure dai controricorrenti e che il ricorso è stato notificato successivamente al decorso del termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza, deve dichiararsene l’improcedibilità.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’improcedibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 6.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/2/2025.