Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25754 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25754 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16287/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2158/2023 depositata il 13/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME .
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ingiungeva al cognato NOME COGNOME il pagamento della somma di € 774.690,00, pari a £ 1.500.000.000, a titolo di restituzione di un prestito concessogli, con plurimi versamenti effettuati nel corso degli anni 2002-2003, ed alla cui restituzione NOME NOME si era obbligato, con scrittura del 10/04/2003, mediante ‘…versamenti mensili non inferiori ad euro 5.160,00 pari a lire 10.000.000.
L’ingiunto si oppo neva, eccependo, ai fini che ancora rilevano, 1) di non essere legittimato passivo dell’obbligazione restitutoria, in quanto le somme erano state versate in favore della RAGIONE_SOCIALE; 2) che la scrittura conteneva una dichiarazione resa da un fratello (NOME COGNOME) alla sorella (NOME COGNOME) e non era da considerarsi riconoscimento di debito; 3) che l’elargizione era stata effettuata da NOME COGNOME in virtù di un dovere morale e sociale (per evitare il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e di conseguenza della propria moglie NOME COGNOME) ed era quindi da inquadrarsi nell’ipotesi prevista dall’art. 2034 c.c. che non prevedeva alcuna restituzione; 4) che il credito era comunque prescritto per il decorso del termine decennale decorrente dal 10.04.03, data di sottoscrizione della dichiarazione, in relazione alla prima missiva di contestazione e messa in mora, con valore interruttivo della prescrizione del 09.06.16.
Il Tribunale, ritenuta fondata l’eccezione di prescrizione, accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto, e rigettava la domanda di pagamento, condannando NOME al pagamento delle spese di lite.
In sintesi il Tribunale, dopo aver qualificato la scrittura del 10.04.2003 come ricognizione di debito, riteneva prescritto il diritto
Ric. 2023 n. 16287 sez. S2 – ud. 17/09/2024
alla restituzione del prestito, poiché non v’era la prova che fosse stato raggiunto un accordo sulle modalità e decorrenza dei rimborsi rateali ‘ tanto che il AVV_NOTAIO avrebbe potuto o chiedere la fissazione di un termine ex art. 1183 c.c. che esigere in restituzione la somma sin dal 10.04.03′ (cfr. sentenza impugnata), pertanto, doveva escludersi che fosse stata concessa la facoltà del pagamento rateale all’obbligazione restitutoria, che dunque andava eseguita in unica soluzione e, pertanto, poiché dalla data della ricognizione del debito alla data della citazione in giudizio erano trascorsi più di dieci anni, il diritto alla restituzione era prescritto.
NOME proponeva appello avverso la suddetta decisione.
NOME COGNOME resisteva all’appello.
La C orte d’ Appello accoglieva il primo motivo di gravame e dichiarava nulla la sentenza impugnata per aver omesso di concedere i termini ex art. 190 c.p.c., tuttavia, non costituendo tale nullità causa di rimessione al primo giudice, decideva comunque la causa nel merito e rigettava i restanti motivi in ragione dell’infondatezza della domanda di restituzione del mutuo .
Il punto di partenza nell’esame della vicenda era la qualificazione giuridica della scrittura sottoscritta da NOME COGNOME in data 10 aprile 2003 che prevedeva testualmente di ‘ aver ricevuto a più riprese nel corso degli anni 2002 e 2003, con spontanea iniziativa…del cognato NOME COGNOME, la somma di euro 774.696,00 pari a 1.500.000.000 delle vecchie lire… per la restituzione dell’intera somma il sottoscrivente si impegn a anche a nome del fratello NOME coobbligato nella debitoria, ad effettuare versamenti mensili non inferiori ad euro 5.160,00 pari a L. 10.000.000 da addebitarsi sul c/c bancario o su un contratto di piano
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di accumulazione intestato a NOME COGNOME o a persona da lui indicata ‘ .
Tale dichiarazione costituiva un ‘atto di ricognizione del debito, nel quale il COGNOME‘ si assume va altresì ‘l’obbligo di restituzione rateale della somma mutuata, – dichiarando a tal fine che avrebbe eseguito versamenti mensili non inferiori ad euro 5.160,00. L ‘assunzione da parte di NOME COGNOME dell’impegno di restituire al cognato le somme erogate in proprio favore valeva a connotare la dazione delle somme indicate come mutuo e non come elargizione in adempimento di un dovere morale o sociale non ripetibile.
Secondo la Corte d’Appello , dunque, la prima parte del documento in cui NOME COGNOME dichiarava di aver ricevuto da NOME la dazione della somma di € 774.696,00, affermando di assumersi l’obbligo di restituire il detto importo, consentiva di qualificare la dazione di denaro come prestito, con conseguente obbligo restitutorio.
L a seconda parte della scrittura, contenente l’impegno di restituire il prestito a rate, anche se inteso come proposta di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente ex art. 1333 c.c. di modifica dell’originario mutuo non rateizzato in un mutuo rateizzato, non era idonea a fondare la pretesa restitutoria, perché detto contratto non si poteva ritenere perfezionato (cfr. Cass. 19707/2016).
Sulla scorta della giurisprudenza di legittimità il giudice del gravame riteneva che anche volendo qualificare l’impegno di restituire a rate il mutuo come una promessa di pagamento, la stessa sarebbe stata inefficace (cfr. Cass. 2091/2022).
Secondo la Corte d’Appello la scrittura privata del 10 aprile 2003 nella prima parte conteneva una ricognizione di debito idonea
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a sollevare il creditore NOME COGNOME dall’onere di provare che il rapporto sottostante fosse un accordo per la concessione di un mutuo. Diversamente, quanto al l’ulteriore promessa di restituire detto mutuo mediante un pagamento rateale contenuta nella seconda parte, non poteva prescindersi dalla effettiva esistenza e validità di detto rapporto fondamentale, affinché la promessa esplicasse il suo effetto di sollevare il creditore dall’onere della prova.
Infatti, se era pacifico che l’importo di cui veniva domandata la restituzione era stato effettivamente dato, invece, quanto alla restituzione rateale, era emerso chiaramente, perché non era stato mai neanche allegato, che NOME COGNOME ed NOME COGNOME non avevano mai concluso un accordo per una restituzione rateale del prestito, ed era altresì incontestato, che NOME COGNOME non aveva mai effettuato i pagamenti dei ratei del mutuo e che NOME COGNOME non aveva mai aperto nè aveva indicato al debitore un conto corrente su cui effettuare i versamenti dei ratei, nè era mai stato acceso un piano di accumulo; sicchè risultava dagli atti che il sottostante accordo di pagamento a rate del mutuo in realtà non era mai esistito e che l’impegno contenuto nella scrittura del 10 aprile 2003 era rimasto una mera dichiarazione d’intenti del solo NOME COGNOME.
L’acclarata inesistenza di un reale accordo sottostante alla promessa di pagamento a rate del mutuo determinava la caducazione del naturale effetto della promessa di astrazione processuale, facendo venir meno la relevatio ab onere probandi del creditore che, pertanto, avrebbe dovuto provare di avere effettivamente concordato con il debitore la restituzione rateale delle somme data in prestito. In difetto di tale prova, il diritto alla
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restituzione risultava inesorabilmente prescritto, decorrendo la prescrizione dalla data dei singoli versamenti di dazione del mutuo effettuati nel corso degli anni 2002 e 2003.
Secondo il giudice dell’Appello , inoltre, la prova testimoniale era inammissibile perché non idonea a provare l’ esistenza di un accordo tra NOME ed NOME COGNOME circa la restituzione a rate del mutuo.
Escluso l’effetto di astrazione processuale della scrittura del 10 aprile 2003 e mancando la prova di un accordo in merito alle modalità di restituzione a rate delle somme erogate ad NOME COGNOME, il diritto alla restituzione si era prescritto perché decorrente dalle date dei singoli versamenti che risalivano agli anni 2002 e 2003, essendo stata la domanda proposta nel 2016, dopo più di dieci anni.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di otto motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
È stata f issata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità dell’odierna udienza tutte le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle loro richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c., 1988 c.c., 1367 c.c., 1816 c.c., 1817 c.c., 1819 c.c., 2697 c.c., 2943 c.c., 2730 c.c., 2732 c.c. e 2946 c.c., per non avere la Corte di Appello correttamente interpretato ed applicato le norme in materia di termine e restituzione rateale del mutuo, prescrizione, ricognizione del debito/promessa di pagamento e conseguente astrazione processuale, confessione. Violazione dell’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c. per avere omesso la Corte Distrettuale di pronunziarsi sul secondo e sul sesto motivo sottoposti alla sua attenzione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 112 c .p.c., 1322 comma 2, c.c., 1333 c.c., 1367 c.c., 1813 c.c., 1816 c.c., 1817 c.c., 1819 c.c., 2697 c.c., 2943 c.c. e 2946 c.c., per non avere la Corte di Appello correttamente interpretato ed applicato le norme in materia di termine e restituzione rateale del mutuo, prescrizione, negozio di accertamento ex art. 1333 cc e conseguente effetto preclusivo.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c., 1322 c.c., 1333 c.c., 1367 c.c., 1813 c.c., 1816 c.c., 1817 c.c., 1819 c.c., 2943 c.c. e 2946 c.c., per avere la Corte di Appello erroneamente qualificato il mutuo come contratto con effetti obbligatori bilaterali, escludendo così la possibilità che detto contratto possa essere modificato ex art. 1333 c.c. , per l’effetto applicando erroneamente le norme in materia di prescrizio ne. Violazione dell’art. 360 , comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c. per avere
omesso la Corte Distrettuale di esplicitare il proprio convincimento circa la pretesa bilateralità del contratto di mutuo.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 345 c.p.c. per avere la Corte Distrettuale rilevato di ufficio una prescrizione diversa da quella eccepita dal debitore.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c., 2 Cost., 1175 c.c., 1326 c.c., 1366 c.c., 1375 c.c. e 2729 c.c., per avere la Corte di Appello erroneamente qualificato il contegno del ricorrente, a fronte della scrittura del 10 aprile 2003, come inerte laddove, di converso, da detto contegno era ritraibile una conclusione della convenzione di rateizzo per facta concludentia , essendovi all’uopo anche indizi gravi, precisi e concordanti. Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c. per avere omesso la Corte Distrettuale di pronunziarsi sul secondo motivo di appello.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 112 c.p.c., 1362 c.c., 1367 c.c., 1813 c.c., 1814 c.c., 1816 c.c., 1817 c.c., 1819 c.c., 2943 c.c. e 2946 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto il diritto restitutorio del mutuante ad esigibilità immediata ed errato nell’individuare il dies a quo del termine di prescrizione. Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c. per avere omesso la Corte Distrettuale di pronunziarsi sui motivi di impugnazione nn° 3, 4, 5 e 7.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 183, comma 4, 112, 115, 342, 345 c.p.c., per non avere la Corte di
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Appello ammesso le prove testimoniali richieste dall’odierno ricorrente, con motivazione apparente e perplessa, omettendo di pronunziarsi sull’ottavo motivo di appello e violando, altresì e per l’effetto, anche l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 2 Cost., agli artt. 112, 115, 183, comma 4, e 345 c.p.c. ed agli artt. 1175, 1326, 1327, 1328, 1333, 1366, 1375, 2943, 2944, 2946 e 2697 cc..
8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 91, 92 e 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello erroneamente applicato il principio di soccombenza, condannandolo alle spese del primo grado di giudizio, nonostante la dichiarata nullità della sentenza che ha definito detto grado, e per non aver compensato le spese del giudizio di appello. Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c. per avere omesso la Corte Distrettuale di pronunziarsi sul nono motivo di impugnazione del ricorrente.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis è la seguente: « Visto il ricorso proposto da NOME NOME (R.G. n. 16287/2023) avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2158/2023, pubblicata il 13 maggio 2023, asseritamente notificata il 22 maggio 2023, contro COGNOME COGNOME, con la quale l’appe llo proposto dal NOME RAGIONE_SOCIALE è stato accolto e, per l’effetto, è stata dichiarata la nullità della sentenza impugnata del Tribunale di Napoli n. 2544/2019, depositata l’8 marzo 2019, è stata accolta l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 5257/16 del 18 luglio 2016 e ne è stata disposta la revoca, senza alcuna condanna sostitutiva (con esito conforme a quello della sentenza di cui è stata dichiarata la nullità), con la revoca altresì del disposto sequestro conservativo;
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verificato, in via preliminare, che non risulta depositata, entro il termine di cui all’art. 369, primo comma, c.p.c., la copia notificata della sentenza impugnata, sicché il ricorso appare improcedibile ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. (Cass. S.U. n. 21349/2022; Cass. n. 3466/2020; Cass. n. 19695/2019; Cass. n. 1295/2018), posto che, a fronte della pubblicazione della pronuncia il 13 maggio 2023, il ricorso di legittimità è stato notificato a mezzo PEC il 21 luglio 2023, ossia oltre il termine breve di 60 giorni dal deposito (Cass. n. 15832/2021; Cass. n. 11386/2019; Cass. n. 17066/2013); atteso, dunque, che il ricorso si profila improcedibile».
10. Il ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni ivi formulate, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta, osserva che alcuna contestazione è stata mossa dal controricorrente circa la tempestività della notifica del ricorso in Cassazione atteso che anche nel controricorso si dichiara a pagina 1 che la sentenza di appello è stata notificata in data 22/05/2023 e, pertanto, essendo stato notificato il ricorso in Cassazione in data 21/07/2023 risulta essere pienamente nei termini di rito di 60 giorni dalla notifica della sentenza.
In ogni caso il ricorso è stato proposto anche entro il termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza e se il ricorrente non avesse dichiarato nel corpo del ricorso la data di notifica della sentenza impugnata, non essendoci alcuna contestazione di controparte, non ci sarebbe stata neppure la proposta ex art. 380 bis c.p.c.
Infine, non solo è stata messa nella disponibilità del Collegio Giudicante la prova della relata di notifica ma anche lo stesso
Ric. 2023 n. 16287 sez. S2 – ud. 17/09/2024
contro
ricorrente ha dichiarato nel proprio controricorso la data in cui ha notificato la sentenza impugnata.
Il ricorrente richiama due pronunce di questa Corte e ritiene che l’orientamento tradizionale circa l’improcedibilità del ricorso in caso di mancato deposito nel termine di cui all’art. 369 c.p.c. della relata di notifica della sentenza impugnata al fine della verifica del rispetto del termine breve per l’impugnazione sia stato oramai superato. L ‘ingresso nel giudizio del ricorso e degli atti allegati è condizionato dalla tempestività del relativo deposito, requisito che risponde all’esigenza di razionale g estione del processo di cassazione ma che, nell’ottica dei principi costituzionali, d ovrebbe essere inteso in modo tale da non collegare la sanzione dell’improcedibilità, che comporta il divieto di accesso al giudice, ad inutili formalismi, contrastanti con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia soprattutto in una vicenda così importante e delicata come quella in esame.
Il ricorso è improcedibile.
11.1 La memoria del ricorrente non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata.
È pregiudiziale -in quanto attinente alla procedibilità del ricorso -il rilievo del mancato deposito, da parte del ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione in violazione dell’art. 369, comma secondo, num. 2, cod. proc. civ.
Non è contestato, infatti, che unitamente al ricorso è stata depositata unicamente la copia della sentenza impugnata ma non la relata della sua notifica avvenuta a mezzo P.E.C..
Ric. 2023 n. 16287 sez. S2 – ud. 17/09/2024
Non è contestato inoltre che la sentenza impugnata è stata depositata in data 13 maggio 2023, e che la notifica del ricorso è stata effettuata in data 21 luglio 2023, ossia oltre il termine breve di 60 giorni dalla pubblicazione.
11.2 Ciò premesso deve osservarsi che le pronunce di questa Corte citate dal ricorrente, al contrario di quanto affermato in sede di memoria, sono confermative dell’orientamento tradizionale secondo cui nei casi come quello in esame il ricorso è improcedibile.
Tale orientamento, in sintesi è espresso dal seguente principio di diritto: «la previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma secondo, n. 2, – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale -della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione
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dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione» (Cass. Sez. U. n. 9005 del 16/04/2009; conff., ex multis, Cass. n. 11376 del 2010)
11.3 In particolare, nella ordinanza n.25971 del 2022 citata dal ricorrente si riporta tutta l’evoluzione giurispr udenziale e gli avanzamenti compiuti dalle Sezioni Unite per mitigare il rigore del suddetto principio. In tale occasione si è infatti evidenziato che le Sezioni Unite hanno ritenuto che «deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma secondo, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass. Sez. U. n. 10648 del 02/05/2017). È stato peraltro ulteriormente precisato che, in mancanza del fascicolo di ufficio di cui pure risulti chiesta l’acquisizione, deve comunque dichiararsi l’improcedibilità, posto che l’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., prevede tale sanzione per l’omesso deposito in parola ad opera della parte, senza che possano dilatarsi irragionevolmente i tempi processuali (Cass. 31/05/2018, n. 13751;15/09/2017, n. 21386).
Sempre nell’ordinanza citata si riassume l’orientamento in questione nel seguente modo: a) l’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità
del ricorso; b) l’improcedibilità può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purché entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione; c) l’improcedibilità non può invece essere evitata allorquando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale; d) la sanzione della improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte (senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione); e) l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. n. 17066 del 10/07/2013).
11.4 Ciò premesso, Il Collegio condivide le conclusioni della suddetta ordinanza secondo cui l’ indirizzo ora ricostruito non è messo in discussione, anzi è confermato da successive pronunce delle Sezioni Unite, in materia di notifica della sentenza impugnata in formato digitale e deposito della copia notificata da parte del ricorrente senza attestazione di conformità all’originale (Cass. Sez. U. n. 22438 del 24/9/2018 e n.8312 del 25/03/2019).
Invero, dette sentenze hanno chiaramente ribadito la validità del tradizionale orientamento della RAGIONE_SOCIALE, operando unicamente un temperamento della rigorosità dello stesso nel caso di ricorso o di
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sentenza impugnata notificati a mezzo p.e.c. e della mancata asseverazione di conformità delle copie della sentenza o della relata depositate dal ricorrente.
In tali casi, infatti, le Sezioni Unite hanno attribuito rilievo unicamente alla non contestazione della controparte rispetto alla mancanza di attestazione di conformità di atti che risultano in ogni caso depositati in giudizio, sebbene privi appunto di tale attestazione prevista dalla legge.
In altri termini i principi affermati dalle più recenti pronunce non sono applicabili al caso di specie non essendo stata depositata neanche la copia o il file della ricevuta di accettazione e consegna della PEC sia pure senza l’attestazione di conformità . Per tali motivi deve concludersi nel senso indicato dalla proposta di definizione accelerata ovvero di improcedibilità del ricorso.
12.1 Il ricorrente, infatti, pur avendo attestato che la sentenza impugnata gli è stata notificata il 22 maggio 2023 non ha depositato nel termine di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2 c.p.c. copia della stampa di ricevuta della suddetta notifica a mezzo EMAIL, ancorché priva dell’attestazione di conformità al fine di permettere a questa Corte di verificare la tempestività dell’impugnazione, posto che a fronte della pubblicazione della pronuncia il 13 maggio 2023, il ricorso di legittimità è stato notificato a mezzo PEC il 21 luglio 2023, ossia oltre il termine breve di 60 giorni dal deposito (Cass. n. 15832/2021; Cass. n. 11386/2019; Cass. n. 17066/2013).
Né, come si è detto, rileva il successivo deposito della suddetta relata in applicazione del seguente principio espresso di recente dalle Sezioni Unite: La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza –
idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c. (Sez. U – , Sentenza n. 21349 del 06/07/2022, Rv. 665188 – 01).
12.2 Infine deve evidenziarsi che di recente questa Corte ha anche escluso eventuali profili di non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata e della conseguente improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.. Si è detto, infatti, che tale sanzione non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia (Sez. 1, Ordinanza n. 19475 del 15/07/2024, Rv. 671683 – 01).
Il ricorso è improcedibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-
bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una ulteriore somma a favore della controparte e – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
16 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 7000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma determinata equitativamente in euro 5.000,00, nonché ex art. 96, quarto comma, c.p.c. al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda