Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 671 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 671 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 1743/18 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in ROMA INDIRIZZO giusta procura in atti; nonché COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (TARGA_VEICOLO, giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, e COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE, giusta procura in atti;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1571/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata in data 07/07/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME ha concluso per l’improcedibilità del ricorso; per la parte ricorrente l’avv. COGNOME con delega scritta, riportandosi agli scritti difensivi già depositati, ha insistito per l’accoglimento del ricorso; per la parte resistente nessuno è comparso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti condomini, si videro rigettare dal Tribunale di Firenze la domanda avanzata nei confronti di NOME e NOME COGNOME, usufruttuario il primo e nuda proprietaria la seconda di un appartamento posto all’ultimo piano dell’edificio condominiale, con la quale avevano chiesto riconoscersi la proprietà condominiale del sottotetto, collegato dai convenuti, con una scala interna, al loro appartamento.
La Corte d’appello di Firenze, riunite le impugnazioni avanzate con atti separati, rigettò gli appelli.
Avverso quest’ultima decisione NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano per cassazione sulla base di quattro motivi. Gli intimati resistevano con controricorso.
Il Consigliere relatore, formulava proposta, depositata il 21/11/2018, ai sensi dell’allora vigente art. 380bis cod. proc., di <>, rimettendo la causa alla trattazione in camera di consiglio non partecipata della Sezione Sesta.
I ricorrenti depositavano memoria, datata 10/12/2018. Con la memoria in parola, alla quale asseritamente si affermava essere stata allegata la relazione di notifica della sentenza impugnata, veniva contestata l’improcedibilità del ricorso, concludendosi per una rimessione alle Sezioni unite, per la disapplicazione dell’art. 369, co. 1, cod. proc. civ., da reputarsi in contrasto con l’art. 6 par. 1 Carta EDU e con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, infine, si eccepiva la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma processuale richiamata per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., anche in relazione alla già citata disciplina eurounitaria.
All’epilogo dell’adunanza camerale della Sesta Sezione, con ordinanza interlocutoria depositata il 6/3/2019, <>, il processo veniva rimesso alla pubblica udienza.
Intervenuta la sentenza delle Sezioni unite n. 8312, 25/3/2019 è stata fissata per la trattazione l’odierna pubblica udienza. In vista di essa i ricorrenti rilasciavano procura in favore dell’avvocato NOME COGNOME essendo venuto a mancare il precedente difensore.
Il nuovo procuratore ha depositato ulteriore memoria e il P.G. ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE .
Per non mancare di evidenziare la piena consapevolezza del Collegio sul punto è utile premettere all’esame del merito che, come affermato da questa Corte, <> (cfr. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2720 del 05/02/2020 Rv. 657246; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27305 del 07/10/2021 Rv. 662443). Ed ancora: <> (cfr. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7541 del 16/03/2019 Rv. 653507).
Non occorre far luogo al vaglio dei motivi poiché il ricorso è improcedibile.
2.1. Appare utile una complessiva ricostruzione dei principi, oramai consolidatisi, elaborati da questa Corte di legittimità in materia d’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ.
Va subito anticipato che il complesso delle decisioni sul punto è stato diretto al fine di eliminare qualunque ostacolo non indispensabile per ricorrere al giudizio di legittimità, nell’ottica di elidere quelle preclusioni non direttamente correlate alla necessità d’assicurare l’ordinata e celere accesso al giudizio nel merito delle doglianze, fermo il dovere di autoresponsabilità della parte processuale, che, adendo la Corte, è chiamata al tempestivo deposito degli atti di cui all’art. 369 cit., strumentali alla verifica del diritto processuale all’esame della domanda di giustizia in sede di legittimità.
2.2. Si è così giunti ad affermare, quanto al rispetto dell’onere del tempestivo deposito della copia autentica della sentenza impugnata, che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata -redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della
copia informale all’originale; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (S.U. n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 -02; conf., ex multis, Cass. n. 3727, 12/02/2021).
Inoltre, si è poi esteso il principio a ipotesi assimilabile, affermando che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata, sottoscritta con firma autografa e inserita nel fascicolo informatico, priva di attestazione di conformità del difensore, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (S.U. n. 8312, 25/03/2019, Rv. 653597 -03).
Ed ancora, sempre con quest’ultima sentenza delle Sezioni unite:
a) ai fini della verifica d’ufficio della tempestività del ricorso per cassazione, il ricorrente è tenuto al deposito della decisione comunicatagli a mezzo PEC (nel suo testo integrale) a cura della
cancelleria; ai fini della procedibilità del ricorso, invece, ove la decisione non risulti autenticata, è necessario che il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata oppure non disconosca ex art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all’originale notificatogli, mentre, nell’ipotesi in cui la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata o abbia effettuato il suddetto disconoscimento, è necessario che il ricorrente depositi l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (massima Rv. 653597 -04);
b) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (massima Rv. 653597 -01).
1.3. In precedenza, sempre le Sezioni unite, avevano funditus misurato la normativa interna e la sua compatibilità con i principi eurounitari, disegnando con puntualità gli incombenti minimi, ulteriormente non comprimibili, che il ricorrente è tenuto ad osservare ove aspiri a una pronuncia nel merito del ricorso in sede di legittimità.
Scrivono le Sezioni unite nella sentenza n. 10648, 02/05/2017: <>.
<>, chiariscono le Sezioni unite, <> .
In perfetta sintonia con il riportato ragionamento si è, perciò, affermato che ai fini dell’adempimento del dovere di controllare la tempestività dell’impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l’impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all’art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all’art.372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall’art.369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l’improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio (Sez. 6, n. 15832, 07/06/2021, Rv. 661874 -01).
Perfettamente aderente alla ricostruzione sistematica, sia pure per sintesi, riportata risulta l’affermazione secondo la quale deve escludersi la dichiarazione di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l’impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato,
unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo PEC), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.) mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (S.U. n. 21349, 06/07/2022, Rv. 665188 – 02).
Ove si contemperi con la dovuta attenzione l’obiettivo di assicurare, ad un tempo, il rispetto per gli adempimenti, solo in presenza dei quali il Giudice della legittimità deve ritenersi investito del giudizio (e, sotto altro profilo, la parte evocata onerata d’approntare la difesa), e, per altro verso, portare a ragionevolezza l’interpretazione dell’art. 369 cod. proc. civ., privando di significato quegli inadempimenti tempestivamente ovviati, sia pure con modalità non testualmente previamente individuate dal legislatore, a questo punto è chiaro che il ricorrente non può ambire allo scrutinio del ricorso, senza aver previamente (quindi, tempestivamente, nei termini indicati dalla norma) dimostrato di non essere incorso in decadenza.
Allora è del tutto evidente che se il ricorrente abbia affermato essere stato avviato il termine breve per ricorrere, decorrenti ai sensi dell’art. 326 cod. proc. civ., col fatto stesso di aver dichiarato che la sentenza impugnata gli era stata notificata dalla controparte, è suo preciso onere processuale (art. 369, co. 2, n. 2 cod. proc. civ.) dimostrare la non consumazione del dies ad quem , depositando la relata di notifica della sentenza in questione.
Nel caso in cui una tale assenza non sia altrimenti surrogabile nei termini di cui sopra si è detto, la sanzione dell’improcedibilità è inevitabile.
Come si è avuto modo di riprendere dalle sentenze richiamate la verifica della procedibilità non può che avvenire con assoluta priorità, così da impedire il protrarsi del processo per un tempo che alla fine risulterebbe irragionevole, sia, inoltre, per evitare alla parte intimata di dover fronteggiare nel merito un’impugnazione destinata a non epilogare in una decisione nel merito dei motivi.
La non procrastinabilità dell’accertamento di procedibilità, da effettuarsi in limine litis , ha come logica conseguenza che la dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c. (S.U. n. 21349, 06/07/2022, Rv. 665188 – 01).
Nel caso in cui, per contro, tra la data di deposito della sentenza e la notifica del ricorso, non sia trascorso il termine breve di sessanta giorni il ricorso deve dirsi procedibile (Sez. 6, n. 11386, 30/04/2019), così evitandosi una interpretazione inutilmente rigoristica, nella logica di contemperazione prima richiamata.
2.4. Alla luce delle riflessioni svolte il ricorso, come anticipato, deve essere dichiarato improcedibile.
Non è dubbio, né controverso che la relata di notifica della sentenza impugnata non venne tempestivamente prodotta dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 369, commi 1 e 2, n. 2), cod. proc. civ., i quali, per contro, ebbero a dichiarare in ricorso che la sentenza era stata loro notificata il 10/11/2017, facendo così decorrere il termine breve.
Anche a volere concedere (ma l’atto non si rinviene nel fascicolo) che la relata di cui si discute sia stata depositata solo con la memoria datata 10/12/2018, ciò non avrebbe potuto impedire la declaratoria d’improcedibilità, per le ragioni prima esposte.
Infine, va soggiunto che il tempo decorso dalla pubblicazione della sentenza della Corte d’appello impugnata e la notifica del ricorso supera i sessanta giorni, pur tenuto conto della sospensione feriale dei termini, in quanto la sentenza venne pubblicata il 7/7/2017 e il ricorso notificato telematicamente (quindi, la data della consegna per la notifica e la notifica stessa coincide) il 4/1/2018.
Le considerazioni nel suo complesso poste a sostegno della decisione rendono manifestamente infondata la proposta eccezione d’incostituzionalità, non riscontrandosi la prospettata lesione dei diritti fondamentali eurounitari, recepiti dall’ordinamento. Né, tantomeno, per via diretta, degli artt. 24 e 111 Cost.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso improcedibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 7