Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32769 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32769 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6801/2019 R.G. proposto da: COGNOME, COGNOME, COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende -ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 6851/2018 depositata il 29/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’improcedibilità del ricorso.
RAGIONE_SOCIALE o l’ avvocato NOME COGNOMEsu delega) per la RAGIONE_SOCIALE
FATTI DI CAUSA
Nel 2010 la RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di Velletri (Albano Laziale) NOME, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME per il rilascio di un immobile sul presupposto di un inadempimento da parte di NOME COGNOME di un preliminare di compravendita stipulato nel 2008 con la RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale -previo versamento della somma di € 110.000 i convenuti avevano acquisito la disponibilità dell’immobile. L’attrice assume va la detenzione senza titolo da parte loro, faceva valere di aver acquistato nel 2009 l’ immobile dalla COGNOME e domandava inoltre il risarcimento danni per abusiva detenzione. In via riconvenzionale, i convenuti domandavano l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. del preliminare, sul rilievo della simulazione del contratto di compravendita del 2009 tra l’attrice e la COGNOME, e in via subordinata domandavano la restituzione del doppio della caparra. Il Tribunale accoglieva la domanda di rilascio, rigettava la domanda di risarcimento dei danni, rigettava la domanda riconvenzionale dei convenuti sul rilievo dell’infondatezza della domanda simulazione del contratto di compravendita del 20 09 tra l’attrice e la Re COGNOME, rigettava la domanda di restituzione del doppio della caparra (e accertava il difetto di legittimazione passiva del liquidatore della COGNOME). In secondo grado la sentenza è stata confermata.
I convenuti (e appellanti) ricorrono in cassazione con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste l’attrice con controricorso e memoria.
Resiste NOME COGNOME con controricorso. Il P.M. ha depositato osservazioni scritte per l’improcedibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia la violazione dell’ art. 1415 c.c. per il rigetto della domanda di simulazione della compravendita del 2009. Si attacca la parte della sentenza impugnata ove si argomenta che la simulazione del contratto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME fosse irrilevante a causa del l’ inadempimento contrattuale imputato a NOME COGNOME, che avrebbe determinato la risoluzione del preliminare. Tale impostazione viene censurata perché l’accertamento della simulazione, ai sensi dell’art. 1415 c.c., avrebbe dovuto precedere ogni valutazione sull’inadempimento, in quanto la simulazione comporta la nullità dell’atto e incide sulla legittimazione della RAGIONE_SOCIALE a richiedere il rilascio dell’immobile. Si fa valere che l’atto di compravendita del 26 novembre 2009 era fittizio, posto che la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE sono società con identità di soggetti e scopi, costituite per eludere responsabilità verso il promissario acquirente. La liquidazione della RAGIONE_SOCIALE coincide temporalmente con la costituzione della RAGIONE_SOCIALE, e l’atto di vendita fu stipulato dal liquidatore della prima e dal rappresentante della seconda, entrambi riconducibili al sig. COGNOME Si sostiene che il prezzo di vendita (€ 160.000) fosse inadeguato rispetto al valore reale del bene e alle somme già versate dal sig. COGNOME (€ 210.000) e non vi fosse prova dell’effettivo pagamento. La simulazione dell’atto di compravendita, se accertata, avrebbe reso inefficace il trasferimento dell’immobile alla RAGIONE_SOCIALE lasciando in capo alla RAGIONE_SOCIALE la titolarità del bene e la legittimazione del sig. COGNOME a ottenere l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ex art. 2932 c.c. Si censura la così conferma della sentenza di primo grado, ritenendo che la Corte distrettuale non abbia valutato adeguatamente la nullità del contratto di vendita del 2009 e le sue conseguenze sui diritti del promissario acquirente.
2. – Il secondo motivo denuncia omesso esame circa fatti decisivi, rilevanti sia per il legittimo possesso dell’immobile da parte della famiglia COGNOME sia per l’inadempimento contrattuale della società COGNOME, connesso all’irregolarità urbanistica del bene p romesso in vendita. La sentenza impugnata afferma l’illegittimità del possesso dell’immobile e la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del sig. COGNOME, ma tale conclusione viene censurata perché basata sull’omessa valutazione di do cumenti probatori. Il contratto preliminare del 9 gennaio 2008 prevedeva il trasferimento di un immobile conforme alla normativa urbanistica, come dichiarato dalla società COGNOME, e il versamento di un acconto iniziale di €110.000 su un prezzo complessivo di € 295.000, con successivi versamenti che portarono la somma totale a € 210.000. Il contratto stabiliva che il sig. COGNOME in attesa del rogito, avrebbe potuto accedere all’immobile e iniziare i lavori di ristrutturazione, autorizzati dalla venditrice e formalizzati mediante la consegna delle chiavi il 10 gennaio 2008. Tale consegna, avvenuta presso l’agenzia immobiliare, costituiva immissione nel possesso, documentata in atti. Il rogito venne ripetutamente rinviato a causa della mancata predisposizione della documentazione urbanistica da parte della società COGNOME. Gli accertamenti successivi hanno rivelato che l’immobile era privo del permesso di costruire in sanatoria e, quindi, non commerciabile, come confermato da una perizia tecnica. Inoltre, l’i mmobile risultava gravato da un diritto di enfiteusi. Tali circostanze, unitamente al rigetto di una DIA presentata dalla società venditrice per lavori di ristrutturazione, dimostrano l’inadempimento della parte promissaria venditrice.
L’omessa considerazione di questi elementi ha condotto la Corte distrettuale a errata valutazione, dichiarando l’inadempimento del sig. COGNOME invece che quello della società COGNOME. Da ciò sarebbe dovuto derivare il rigetto della domanda di rilascio del l’immobile proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE e l’accoglimento della domanda di
trasferimento del bene in favore del sig. COGNOME previo computo delle somme già versate. La mancata considerazione delle irregolarità urbanistiche, della conformità delle somme pagate e della legittimità del possesso ha inficiato l’esito del giudizio.
– Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1385 c.c. in relazione alla domanda di restituzione del doppio della caparra confirmatoria, che non è stata accolta dalla Corte di appello in quanto si è ritenuto, erroneamente, che il contratto preliminare fosse risolto per inadempimento della parte acquirente. La decisione della Corte di appello si fonda su un presupposto contraddetto dai fatti e dalla normativa applicabile. Il contratto preliminare del 9 gennaio 2008 prevedeva il versamento di una caparra confi rmatoria da parte dell’acquirente. Ai sensi dell’art. 1385 c.c., la parte non inadempiente ha diritto a trattenere la caparra ricevuta o a pretendere il doppio della caparra versata, quale effetto diretto della clausola. La giurisprudenza consolidata conferma che tale rimedio costituisce una forma preventiva e convenzionale di liquidazione del danno per inadempimento. Nei precedenti motivi è già stata dimostrata la responsabilità della parte venditrice per l’inadempimento contrattuale, in quanto non ha adem piuto all’obbligo di predisporre la documentazione urbanistica necessaria per la stipula del rogito. La mancata consegna di tali documenti ha impedito la formalizzazione della compravendita, rendendo la parte venditrice inadempiente. Anche nell’ipotesi in cui la domanda di trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. non fosse stata accolta, la Corte avrebbe dovuto condannare la parte venditrice alla restituzione del doppio della caparra, quale conseguenza giuridica dell’accertato inadempi mento. Tale conclusione si impone in forza dell’art. 1385 c.c. e della giurisprudenza prevalente. La decisione impugnata, omettendo di applicare correttamente questa disciplina, risulta viziata.
In via preliminare è da accogliere l’eccezione di improcedibilità del ricorso – sollevata dal P.M. per inosservanza dell’art. 369 co. 2
n. 2 c.p.c., per le seguenti ragioni. L’art. 369 c.p.c. dispone a pena di improcedibilità che, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti, insieme col ricorso debba essere depositata la copia autentica della sentenza, «con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta» (v. art. 369 co. 2 n. 2 c.p.c.). Tale formalità è diretta a consentire di verificare la tempestività della proposizione del ricorso in cassazione.
Nel caso di specie, la parte ricorrente ha dato atto della notifica della sentenza impugnata a mezzo PEC, avvenuta il 17/12/2018. Tuttavia, a seguito degli appositi controlli effettuati dal Collegio e dalla cancelleria negli incartamenti processuali, alla data dell’udienza non è stata rinvenuta fra questi ultimi la relazione di notifica da depositare entro il termine ex art. 369 co. 2 n. 2 c.p.c. (mentre è irrilevante il deposito contestuale a quello della memoria) . L’unica copia della sentenza della Corte di appello di Roma presente in atti è quella prodotta all’atto di iscrizione del ricorso (conforme all’originale per uso ricorso in cassazione).
In particolare, copia della sentenza impugnata con allegata la relazione di notificazione non è stata rinvenuta nemmeno nel fascicolo depositato dalla parte controricorrente. Infatti, ciò avrebbe consentito di assicurare la procedibilità del ricorso (così, Cass. SU 10648/2017), mentre è irrilevante la mancata contestazione della parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE trattandosi di un vizio da rilevare d’ufficio.
Infine, nel caso di specie il periodo di tempo intercorrente tra la pubblicazione della sentenza impugnata (il 29/10/18) e la notifica del ricorso (il 15/2/19) è maggiore del termine breve (art. 325 co. 2 c.p.c.: sessanta giorni). Pertanto, la tempestività della proposizione del ricorso in cassazione non può essere acclarata nemmeno in tale modo, come sarebbe altrimenti consentito sulla base della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 11386/2019) (mentre è irrilevante il termine lungo).
-Pertanto il ricorso è da dichiarare improcedibile (cfr. Cass. 1839/2022). Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’improcedibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare a ciascuna delle due parti controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di Eulin in € 5.000 e in favore di NOME in € 4.200, oltre a € 200 per esborsi, nonché alle spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/10/2024.