Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28197 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2332/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, GIÀ RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, con domiciliazione telematica come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , che lo rappresenta e difende, con domiciliazione telematica come in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d ‘ APPELLO di MILANO n. 2704/2023 depositata il 20/09/2023;
udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 16/10/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La questione, per quanto oggi di interesse, trae origine dalla richiesta, azionata in giudizio sommario ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Milano dalla RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, di rimborso da parte della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) della addizionale provinciale sulle accise pagata, per gli anni 2010 e 2011, sulla fornitura di energia elettrica.
A fondamento della sua pretesa, la RAGIONE_SOCIALE deduceva che la legge interna istitutiva dell’addizionale alle ac cise (art. 6 d.l. n. 511 del 1988) – poi abolita su tutto il territorio nazionale nel 2012 – era in contrasto con la Direttiva n. 2008/118/CE, imponendo una tassa (l’addizionale) che non rispondeva ad una specifica finalità opportunamente individuata dal legislatore nazionale.
Con sentenza n. 2828 del 31/03/2022 il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro € 82.080,00, oltre interessi legali di mora dal 14 febbraio 2020 al saldo effettivo, a favore della RAGIONE_SOCIALE, a titolo di ripetizione degli importi versati da quest’ultima per l’addizionale provinciale sulle accise sull ‘energia elettrica.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n 2704 del 20/09/2023, rigettava l’appello interposto dal fornitore di energia e, per l’effetto, confermava la decisione di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE, affidato ad un unico motivo di ricorso, a cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
È stata disposta la trattazione in Camera di Consiglio in applicazione degli artt. 375 e 380bis .1 c.p.c.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
All’adunanza camerale del 16/10/2025 il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. derivante dalla disapplicazione dell’art. 6 , primo comma, del d.l. n. 511 del 23/12/1998 mantenuto in vigore dal 1/01/ 2010 fino all’abrogazione decorrente dal 1° gennaio 2012, per il contrasto con la sopravvenuta direttiva 2008/118/CE, in correlazione ai dettami della Corte di Giustizia Europea come recepiti dalla giurisprudenza di legittimità.
La ricorrente rileva, anzitutto, che il rapporto sostanziale controverso inerisce due soggetti privati (ossia la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE); conseguentemente la Direttiva europea non trasposta a livello nazionale non può essere applicata orizzontalmente nei loro confronti e sostiene che nel caso in oggetto, dovrebbe riconoscersi ‘l’operare del principio riconosciuto dalla CGUE, in Grande Sezione, sulla scorta della giurisprudenza costante della medesima Corte, secondo la quale, in una controversia tra privati in cui viene invocata la disapplicazione di una norma interna, per contrarietà ad una norma dell’Unione stabilita da una Direttiva, e per impossibilità di trovarne una interpretazione conforme a tale direttiva, il giudice non è tenuto a effettuare tale disappl icazione’.
In via preliminare, il Collegio rileva che la sentenza della Corte d’appello di Milano è stata pubblicata in data 20/09/2023 e, sebbene le parti dichiarino che la stessa sia stata notificata in data 24/11/2023, in atti non vi è prova dell’avvenuta notifica : o, in altri termini, non è in atti ritualmente versata l’indispensabile copia notificata della sentenza.
Il ricorso, inoltre, è stato notificato in data 19/01/2024 e depositato in data 29/01/2024 e, pertanto, il termine di sessanta
R.g. n. 2332 del 2024
Ad. 16/10/2025; estensore: NOME COGNOME
giorni risulta decorso avuto riguardo alla data di pubblicazione del provvedimento impugnato (Cass. n. 28781 del 08/11/2024 Rv. 672812 – 01).
La difesa della controricorrente non ha prodotto, a sua volta, come pure era in sua facoltà fare, la copia notificata della sentenza impugnata.
Non ricorre, quindi, nessuna delle ipotesi nelle quali, secondo la giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr. Sez. U n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 – 02; Cass. n. 3727 del 12/02/2021, Rv. 660556 – 01; conf.: Cass. n. 27480 del 30/10/2018, Rv. 651336 01), non vi sarebbe spazio per la sanzione dell’improcedibilità.
Secondo i principi di diritto ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione, la produzione della relazione di notificazione della decisione impugnata, che deve essere verificata d’ufficio dal la Corte (per tutte si veda: Cass. n. 15832 del 07/06/2021 Rv. 661874 – 01), va sempre effettuata dal ricorrente nel termine perentorio di cui all’art. 369 cod. proc. civ., fatti salvi i casi in cui il ricorso sia proposto nei sessanta giorni dalla pubblicazione della stessa, ovvero la suddetta relazione sia prodotta dal controricorrente nel termine fissato per la sua regolare costituzione, ovvero, ancora, essa sia acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio, ma ciò esclusivamente nelle ipotesi in cui il termine cd. breve per l’impugnazione decorra per legge dalla comunicazione o notificazione della decisione di merito da parte della cancelleria, ipotesi nella specie non ricorrenti.
Si è in proposito, ribadito (cfr., da ultimo, la già richiamata Sez. U, Sentenza n. 21349 del 6/07/2022, Rv. 665188 – 01 e 02) che: «la dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un ‘fatto processuale’ – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine ‘breve’ di impugnazione e, quale manifestazione di
‘autoresponsabilità’ della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica, ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL, senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c.; nel giudi zio di cassazione, è esclusa la dichiarazione di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l’impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo EMAIL), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato, da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c. mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio».
Alla mancata produzione della copia notificata della sentenza impugnata consegue la statuizione di improcedibilità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 369, comma 2, cod. proc. civ.
La definizione in rito del giudizio di legittimità preclude il rilievo dell’infondatezza del ricorso, alla stregua delle ragioni esposte in diversi precedenti di questa Corte (tra i quali: Cass. n. 16992 e n. 16993 del 24/06/2025; Cass. n. 24928 e n. 24929 del 9/09/2025; Cass. n. 17642 e 17643 del 30/06/2025; Cass. n. 13740 e n. 13742 del 22/05/2025), da intendersi in questa sede integralmente richiamati.
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato improcedibile.
Le spese di lite, tenuto conto della definizione in rito della presente controversia, seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto dell’attività processuale espletata , in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di improcedibilità del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione III civile, in data 16/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME