Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19956 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19956 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1701-2021 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e dife NOME COGNOME
si dall’avv.
– ricorrenti –
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente a ll’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 944/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata in data 09/10/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME Norma evocava in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Savona, chiedendone la condanna ad eliminare due piante di alloro poste a distanza irregolare dal confine tra i fondi delle parti, e comunque a tagliare i rami protesi sulla proprietà del Condominio ove è situato l’immobile di parte attrice.
Si costituivano i convenuti, nulla eccependo sulla domanda di taglio dei rami protesi, ma resistendo invece a quella di estirpazione delle essenze.
Con sentenza n. 252/2017 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando gli odierni ricorrenti ad eliminare le due piante oggetto della domanda della INDIRIZZO, compensando le spese.
Con la sentenza impugnata, n. 944/2020, la Corte di Appello di Genova, in accoglimento del terzo motivo di gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure, li condannava al taglio dei rami protesi nella proprietà aliena. Secondo la Corte distrettuale, la decisione di prime cure aveva erroneamente ordinato ‘il taglio degli alberi che si protendono nella proprietà del Condominio Rovere’ anziché ‘il taglio dei rami degli alberi’ . La Corte ligure rigettava invece i primi due motivi di impugnazione, con i quali era stata contestata la qualificazione dell’alloro come pianta di alto fusto, e riteneva quindi che le due essenze oggetto di causa dovessero rispettare la distanza minima di tre metri dal confine tra i fondi.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione NOME e NOME NOME affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso INDIRIZZO
Con atto del 12.4.2022 si è costituito il nuovo difensore di parte ricorrente.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare ed assorbente, rispetto all’esame dei motivi di ricorso, va rilevata l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 comma 2 n. 2 cpc per mancata produzione della sentenza impugnata corredata dalla relazione di notificazione. Ed infatti, il ricorrente afferma che la sentenza impugnata è stata notificata in data 11.10.2020 (cfr. pag. 1 del ricorso), ma non produce la copia del provvedimento munito della relata di notifica, rinvenendosi nel fascicolo solamente copia autentica della sentenza.
Neppure nella produzione dell’altra parte o nel fascicolo di ufficio si rinviene la sentenza corredata dalla relata di notifica (cfr. Sez. U Sentenza n. 10648 del 02/05/2017, Rv. 643945).
Né soccorre il principio (cfr. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11386 del 30/04/2019 Rv. 653711; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013 Rv. 628539) che esenta dalle formalità di deposito della copia notificata nel solo caso di intervallo, tra pubblicazione della sentenza e notifica del ricorso, inferiore al termine breve.
Il ricorso è stato notificato il 10.12.2020 e dunque dopo il decorso del termine di sessanta giorni di cui all’art. 325 c.p.c., da computarsi in assenza di prova della notificazione della sentenza impugnata- a decorrere dalla data della pubblicazione della stessa, nella fattispecie avvenuta il 9.10.2020 (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 21349 del 06/07/2022, Rv. 665188; in senso conforme, cfr. Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874. Sulla non emendabilità della dichiarazione di avvenuta notificazione della
sentenza impugnata, quale espressione di ‘autoresponsabilità’ della parte, cfr. Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874. Sulla conformità dell’improcedibilità ai principi affermati dalla Convenzione E.D.U., invece, cfr., tra le altre, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6758 del 14/03/2025, non massimata, pag. 6.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.700,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda