Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17031 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17031 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18343/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente-
contro
Comune di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n. 699/2019 pubblicata e notificata il 14 gennaio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME ha adito il Tribunale di Reggio Calabria, esponendo che:
era un Segretario comunale, fascia professionale A, che, nel corso della sua carriera, aveva svolto in vari Comuni le funzioni sia di Segretario sia di Direttore generale;
era stato Segretario generale del Comune di Reggio Calabria dal 18.3.2011 all’8.3.2015 (dapprima con decreto di reggenza e sua proroga, nelle more del procedimento di nomina, quindi, con espressa nomina da parte del Sindaco);
con deliberazione del 20.12.2013 della Commissione Straordinaria Prefettizia era stato nominato anche Direttore generale del Comune di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 108 TUEL n. 267/2000;
nella detta deliberazione si leggeva, quale motivazione del conferimento dell’incarico, che l’attività svolta dal Segretario Generale del Comune di Reggio Calabria, sin dal suo insediamento alla titolarità della Segreteria Generale, si era caratterizzata in re ipsa per le funzioni tipiche del Direttore Generale;
con tale motivazione la Commissione straordinaria prefettizia avrebbe non solo riconosciuto le sue doti di rilievo e la sua esperienza nelle funzioni di Direttore Generale, ma anche ammesso che le stesse funzioni erano state sostanzialmente da lui svolte sin dal suo insediamento quale segretario generale, per cui l’atto adottando sarebbe stato una mera formalizzazione dell’incarico già sino a lì svolto;
con successivo decreto n. 164 del 21.12.2013, la Commissione Straordinaria Prefettizia aveva riconosciuto in suo favore l’indennità aggiuntiva quale Direttore Generale. dando atto della volontà dello stesso di accettare un abbattimento del 30% di tale indennità;
nel detto decreto si rinviava alla ‘stipula del contratto che disciplinerà nel dettaglio le modalità del rapporto’, ma nessun contratto era mai stato sottoscritto;
con due distinte note (prot. n. 99572 del 25.6.2014 e prot. n. 99738 del 26.6.20 14), la Commissione Straordinaria Prefettizia aveva dato avvio ai procedimenti amministrativi di revoca di entrambi gli incarichi;
con deliberazione n. 58 del 3.7.14 la Commissione Straordinaria aveva disposto la revoca dell’incarico di Direttore generale, mentre il procedimento di revoca dell’incarico di Segretario generale era stato istruito, ma non portato a termine, come da nota della Commissione prot. n. 162722 del 29.10.2014, nella quale si rinviava tutto ai ‘provvedimenti di competenza dell’amministrazione comunale’, vale a dire la nuova Giunta, il cui Sindaco si era insediato nella medesima data (29.10.2014): l’incarico era poi stato affidato ad altro soggetto.
Egli ha chiesto di accertare:
l’illegittimità della revoca dell’incarico di Direttore generale;
l’illegittimità del procedimento – non concluso – di revoca dall’incarico di Segretario generale;
l’illegittimità e l’ingiustizia del comportamento del Comune, consistente nell’ ‘insieme di atti e provvedimenti finalizzati alla sua rimozione dagli incarichi rivestiti presso il Comune di Reggio Calabria e comunque alla sua non riconferma da parte della nuova Amministrazione’;
lo svolgimento delle funzioni di Direttore Generale tra la data di insediamento quale segretario generale e il conferimento formale dell’incarico in data 31.12.2013.
Per l’effetto, ha domandato la condanna dell’ente al risarcimento dei danni così specificati:
a) la somma di € 37.333,36 quale compenso al lordo che gli sarebbe spettato se non fosse stato privato dell’incarico di Direttore
generale, per il periodo compreso tra luglio 2014 (data di revoca dell’incarico e della conseguente indennità economica) e la data di cessazione dell’incarico di segretario comunale (8.3.20 15) ovvero la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia;
o- b) la somma di € 155.000,00 a titolo di compenso lordo maturato per l’incarico di Direttore generale comunque svolto dalla data di insediamento quale segretario generale (18.3.2011) sino al 3 1.12.2013 (data di formale conferimento dell’incarico di direttore generale);
la somma di € 125.000,00 o quella ritenuta di giustizia, a titolo di danno per perdita di chance , in quanto i procedimenti iniziati contro di lui ne avevano minato la credibilità agli occhi del nuovo sindaco, che presumibilmente lo avrebbe scelto, riconfermando il suo ruolo di segretario comunale;
la somma di € 37.000 per danno curriculare e di € 125.000,00 per perdita di chance ;
una somma da determinarsi equitativamente, previo espletamento di CTU medico legale a titolo di danno biologico ed a titolo di danno esistenziale, quantificata in € 100.000,00, a causa della lesione alla libera esplicazione dell’attività lavorativa e delle qualità professionali, nonché alla lesione, all’onore e all’immagine.
Ha resistito il Comune di Reggio Calabria.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Reggio Calabria, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 699/2019, ha respinto.
NOME ha proposto ricorso per cassazione.
Il Comune di Reggio Calabria si è difeso con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Il ricorso, innanzitutto, è, improcedibile.
Come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, contenuta nel ricorso per cassazione, costituisce l’attestazione di un ‘fatto processuale’ – l’avvenuta notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine c.d. breve di impugnazione e, in quanto manifestazione della ‘autoresponsabilità’ della parte, la impegna a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere, in capo ad essa, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., l’onere di depositare, nel termine ivi previsto, copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (Cass., SU, n. 21349 del 6 luglio 2022; Cass., Sez. 6, n. 15832 del 7 giugno 2021).
Nella specie, il ricorrente ha affermato, a pagina 1 del suo ricorso, che la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria era stata notificata il 14 gennaio 2021.
Agli atti non è presente, però, copia della sentenza con relata di notifica.
Ne consegue che trova applicazione il principio per il quale ‘In tema di giudizio di cassazione, l’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. e tale sanzione non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia’ (Cass., Sez. 1, n. 19475 del 15 luglio 2024).
Inoltre, il ricorso è inammissibile per tardività.
Infatti, il ricorrente ha dichiarato che la sentenza impugnata è stata notificata il 14 gennaio 2021, mentre detto ricorso è stato notificato il 7 luglio 2021, pertanto ben oltre il termine c.d. breve di impugnazione di sessanta giorni che decorreva, appunto, dal 14 gennaio 2021.
In aggiunta a ciò, il menzionato ricorso è ulteriormente inammissibile perché è stato redatto in maniera non chiara, senza una specifica articolazione per motivi, ma con uno stile discorsivo che ha reso le contestazioni eventualmente presenti nell’atto di impugnazione generiche e non identificabili.
Ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. 1, n. 20714 del 22 settembre 2006).
In particolare, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., Sez. 1, n. 16700 del 5 agosto 2020; Cass., Sez. 1, n. 24298 del 29 novembre 2016).
Nella specie, non vi sono state neppure una univoca indicazione delle norme di legge che sarebbero state violate e una critica
dettagliata dei singoli passaggi argomentativi della sentenza di appello che non si condividevano.
Al riguardo, le stesse Sezioni Unite hanno chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., SU, n. 23745 del 28 ottobre 2020).
3) Il ricorso è dichiarato improcedibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara improcedibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.000,00 per compenso professionale ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione