Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7553 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7553 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9981/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliato per legge;
-ricorrente principale e resistente al ricorso incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-resistente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 292/2023, depositata il 25/01/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, nella qualità di erede con beneficio d’inventario di NOME COGNOME, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Avellino la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo il pagamento della somma di € 420.000,00.
La società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE si costituiva eccependo l’insussistenza del credito azionato dallo COGNOME e, comunque, la sua estinzione per intervenuta prescrizione
Istruita la causa, il Tribunale accoglieva la domanda, ma avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione ‘RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 292/2023, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nella spiegata qualità, condannandolo al pagamento delle spese processuali, con attribuzione al procuratore antistatario.
2.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso NOME COGNOME articolando un unico motivo con il quale ha denunciato: <> nella parte in cui la corte territoriale, accogliendo l’appello, ha conferito decisività alla considerazione (p. 9) che l’annotazione in bilancio di un debito esigibile oltre l’esercizio successivo di € 420.000,00 non era sufficiente <>.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE che ha proposto ricorso incidentale, articolando tre motivi.
Al ricorso incidentale, a sua volta, ha resistito lo COGNOME con controricorso.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ma i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorso principale è improcedibile.
A norma dell’ art. 369 c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere depositato nella cancelleria della S.C., a pena di improcedibilità, «nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto».
Unitamente al ricorso dev’essere depositata, sempre a pena di improcedibilità, giusta il disposto del n. 2 del secondo comma del medesimo art. 369 cit., la «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta».
Scopo di tale obbligo di deposito è quello di consentire alla Corte di controllare la tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione (giacché, come è noto, una volta che sia stata effettuata la notifica della sentenza, il ricorrente deve rispettare il c.d. «termine breve» di impugnazione del provvedimento) a tutela dell’interesse di carattere pubblicistico (e quindi indisponibile per le parti) al rispetto del vincolo della cosa giudicata formale.
Le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., n. 21349 del 2022) hanno precisato che, nel giudizio di cassazione, è esclusa la dichiarazione di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l’impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di c ui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo PEC), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda
alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.) mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio.
Ma nella specie ciò non ricorre: invero, la documentazione attestante l’avvenuta notifica della sentenza impugnata non è stata prodotta né dal ricorrente (non risultando dalla nota di deposito e iscrizione a ruolo tra le produzioni effettuate) né dalla società resistente.
D’altro canto, non può essere applicato nella specie il principio di diritto, affermato fin da Cass. n. 17066 del 2013, secondo il quale: <>.
Nel caso di specie, infatti, la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25 gennaio 2023, mentre il ricorso è stato notificato il 28 aprile 2023, quando il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione era irrimediabilmente spirato.
Il ricorso, pertanto, è improcedibile.
Il Collegio rileva che l’esegesi adottata è pienamente conforme, come già è stato ritenuto da questa Corte, ai principi affermati dalla
CEDU: si vedano Cass. n. 24724 del 2024, n.27313 del 2024, n. 27883 del 2024.
2.Il ricorso principale -quand’anche non fosse stato improcedibile -sarebbe stato comunque inammissibile.
2.1. Occorre preliminarmente osservare che le c.d. ‘considerazioni critiche preliminari sul giudizio di fatto espresso in sentenza’, che il ricorso espone nella lettera B, dalla seconda metà della pagina 6 sino quasi alla fine della pagina 12, prima di procedere all’esposizione del motivo di ricorso, al di là della estraneità alla struttura normativa del ricorso come disegnata dall’art. 366, che nemmeno può permettere di ricondurle (per la loro espressa natura di critica) al requisito dell’art. 366 n. 3 c.p.c., non possono a maggior ragione essere considerate parte della illustrazione del motivo.
2.2. Venendo all’esame dell’unico motivo di ricorso principale, se ne deve rilevare l’inammissibilità con riferimento a tutte le censure che svolge.
In primo luogo, la doglianza di violazione/falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. non è spiegata nell’illustrazione, atteso che la norma non viene evocata in alcun modo. Comunque, se pure si volesse riferire, per absurdum , posto che si sarebbe al di fuori del requisito normativo della chiarezza espositiva, parte dell’illustrazione, in thesi del ricorrente, implicitamente a detta norma, non risulterebbero rispettati i criteri individuati dalla giurisprudenza che di seguito si cita.
La violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. non è dedotta secondo i criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, ed ex multis da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020: si prospetta solo una divergente valutazione delle risultanze probatorie.
Quanto alla violazione dell’art. 2729 c.c. essa non rispetta i criteri di deduzione indicati a suo tempo, con ampia motivazione espressa,
sebbene non massimata sul punto, dai paragrafi n. 4 e ss. della sentenza delle Sezioni Unite n. 1785 del 1918.
In particolare, la linea argomentativa, percorsa dal ricorrente, si sostanzia in un ragionamento che vorrebbe imputare al giudice di merito di non avere considerato la valenza di una serie di dati probatori, che si rassegnano al punto 2 delle pagg. 13-14, nel presupposto che la loro congiunta valutazione avrebbe dovuto comportare ai sensi dell’art. 2729 c.c. il desumere in via presuntiva la circostanza della ‘esistenza del credito’ (pag. 19, seconda proposizione).
Senonché, in primo luogo, il ricorrente inammissibilmente dimentica che la sentenza non ha basato la sua decisione sulla negazione di tale esistenza (il che ha giustificato la proposizione dei primi due motivi del ricorso incidentale), ma sul fatto che <>, il che evidenzia che la doglianza -e per la verità anche quanto alle doglianze ex art. 115 e 116 pur dedotte in modo errato -non è pertinente rispetto alla motivazione.
Inoltre, si deve comunque rilevare, gradatamente, che difetta ogni argomentazione della riconducibilità -secondo i principi della richiamata decisione delle S.U. ai paradigmi normativi dell’art. 2729, primo comma, c.c. degli elementi probatori di cui sopra.
Da qui l’inammissibilità del motivo anche sotto tale profilo.
Tutto il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti in funzione della dimostrazione della pretesa violazione dell’art. 2560 c.c.
Va poi ricordato che, come questa Corte ha avuto modo di precisare (Cass. n. 17720/2018) <<In tema di presunzioni di cui all'art. 2729 c.c., la denunciata mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, ove il giudice di merito
non abbia motivato alcunché al riguardo (e non si verta nella diversa ipotesi in cui la medesima denuncia sia stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi e nei limiti dell'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell'inferenza di un fatto ignoto principale), purché decisivo.
Peraltro, nel caso di specie, la totale assenza di argomentazione di decisività dei fatti indicati renderebbe impossibile intendere il motivo come dedotto nella sostanza ai sensi del n. 5 del 360 c.p.c., ferma l'assorbenza della mancanza di pertinenza del risultato probatorio discusso.
Il ricorso incidentale, avendo natura di impugnazione incidentale tardiva, avuto riguardo alla notificazione della sentenza, è inefficace ai sensi dell'art. 334, secondo comma, c.p.c.
Per tale ragione, se ne omette l'illustrazione dei tre motivi (vizio assoluto di motivazione, violazione degli artt. 2560 comma secondo, 2709, 2697 c.c.; violazione dell'art. 91 c.p.c.).
Alla improcedibilità del ricorso principale consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Quanto al ricorso incidentale, si fa presente che questa Corte ha precisato (Cass. n. 4074/2014), che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell'art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi
sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all'esame dell'impugnazione incidentale e dunque l'applicazione del principio di causalità con riferimento al "decisum" evidenzia che l'instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara improcedibile il ricorso principale;
dichiara inefficace il ricorso incidentale tardivo;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente in via principale , dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025, nella camera di consiglio