Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25610 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25610 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25318/2023 R.G., proposto da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , i primi tre in proprio e nella qualità di eredi di NOME a e l’ultimo nella qualità di erede di NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
– Ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE la prima in persona della procuratrice speciale NOME COGNOME e la seconda in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME domiciliate ex lege come da indirizzo pec indicato, per procure su fogli separati allegati al controricorso,
–
-controricorrenti
per la cassazione della sentenza n. 4138/2023 della CORTE d’APPELLO di Napoli pubblicata il 3.10.2023;
Cassazione -Ricorso -Improcedibilità Fattispecie
ad. 4.4.2025
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
con sentenza pubblicata il 3.10.2023 la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di erede NOME NOME, avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 1524/2016, pubblicata il 26.5.2016;
il Tribunale aveva rigettato le opposizioni svolte avverso il decreto ingiuntivo n. 536/2014, rispettivamente, da COGNOME NOME e da NOME, COGNOME NOME e COGNOME Pietro, cui era stato ordinato il pagamento in favore del Banco di Napoli s.p.a. di euro 250.547,11, oltre interessi e spese della procedura, dovuti quanto ad euro 49.884,79 per saldo passivo del c/c bancario n. 27/4620 intrattenuto dalla società RAGIONE_SOCIALE presso la filiale di Torre Del Greco del Banco di Napoli, oltre interessi al tasso convenzionale, e quanto a euro 200.662,32 per anticipi erogati dalla banca su fatture, non rientrati, oltre interessi convenzionali;
in data 21.11.2024 è stata comunicata al difensore dei ricorrenti proposta di definizione accelerata, ex art. 380bis cod. proc. civ.
in data 4.12.2024 è stata è stata depositata rituale e tempestiva «istanza per la decisione del ricorso»;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
i ricorrenti hanno richiesto la pronunzia sul ricorso.
CONSIDERATO CHE:
i ricorrenti con la menzionata istanza ex art. 380-bis, comma secondo, cod. proc. civ. hanno osservato che ‘la ratio di un simile obbligo è stata da sempre individuata nel consentire alla SRAGIONE_SOCIALE di controllare che l’esercizio del diritto di impugnazione avvenga tempestivamente (dal momento che, una volta che sia stata effettuata la notifica della sentenza, esso deve rispettare il c.d. «termine breve») a tutela dell’interesse (avente carattere
pubblicistico, e quindi indisponibile per le parti) al rispetto del vincolo della cosa giudicata formale; la giurisprudenza, dopo vari tentennamenti e sollecitazioni dottrinali, ha aderito alla soluzione positiva negando l’improcedibilità del ricorso: qual ora copia della Sentenza impugnata sia già presente nel fascicolo d’ufficio; qualora il deposito del provvedimento sia stato effettuato autonomamente dal contro ricorrente; qualora il (mancato) deposito sia incontestato ‘ ;
il favor verso l’ammorbidimento dei rigorosi canoni previsti dall’art. 369 cod. proc. civ. ‘è stato incentivato sulla scorta dell’esplicito presupposto che la norma mira unicamente a consentire il vaglio sulla tempestività dell’impugnazione, e non ad imporre incombenze processuali alla parte che censuri l’illegittimità della sentenza’, per aver abbandonato la giurisprudenza impostazioni formalistiche sulla base del ragionevole assunto secondo cui l’improcedibilità debba essere esclusa quando ‘dalla documentazione versata in atti il giudice possa accertare la conformità tra la copia depositata e l’originale del provvedimento impugnato’;
le Sezioni Unite hanno operato un temperamento nel caso di sentenza impugnata notificata a mezzo p.e.c. (caso nel quale il difensore è tenuto a depositare la relazione di notificazione attestando che la sentenza notificata è conforme al provvedimento estratto dal relativo fascicolo telematico), là dove è stato statuito che l ‘improcedibilità del ricorso deve essere dichiarata, quando, pur avendo il ricorrente dato atto dell’avvenuta notificazione, non sia possibile reperire nel fascicolo alcuna informazione comprovante la decorrenza del termine breve;
in tale ipotesi, attribuendo rilievo alla mancata contestazione di controparte, si è tenuto conto del fatto che il controricorrente è il soggetto che ha effettuato la notifica in forma digitale, sì che è perfettamente in grado di verificare l’effettività della data di notificazione della sentenza impugnata; nel caso di specie le controricorrenti a pagina 5 del controricorso hanno chiarito di aver provveduto alla notifica della sentenza il 9.10.2023;
ad ogni modo, in caso di omesso deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata (o mancato rinvenimento nel fascicolo di tale informazione) si presume che l’impugnazione sia avvenuta nel termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ.;
qualora si volesse tenere conto della data di notificazione della sentenza come indicata anche dalla parte resistente, il termine di impugnazione ex art. 325 cod. proc. civ. è stato rispettato (9.10.2023 data notificazione della sentenza; 9.12.2023 scadenza del termine; 7.10.2023 data di notificazione del ricorso per la cassazione);
qualora, al contrario, non si ritenesse di tenere conto della notificazione della sentenza per effetto della mancata allegazione dei messaggi di spedizione e ricezione, comunque il termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ. risulta rispettato (3.10.2023 data di pubblicazione della sentenza della Corte d’appello ; 3.4.2023 scadenza del termine per il ricorso);
nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (v., Cass., Sez. Un., 10 aprile 2024, n. 9611);
ritiene il Collegio che, in piena conformità della proposta di definizione anticipata, i cui fondamenti fattuali e giuridici non sono scalfiti dalle argomentazioni svolte nella su riferita istanza, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, a causa del mancato deposito, da parte dei
ricorrenti, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione (che si afferma, in ricorso, essere stata effettuata in data 9.10.2023), in violazione dell’art. 369, comma secondo, n. 2, cod. proc. civ.;
il Collegio ha proceduto alla verifica degli atti depositati unitamente al ricorso (o, comunque, nei venti giorni successivi all’ultima notificazione dello stesso), ma vi ha rinvenuto solo, per l’appunto, la copia della sentenza impugnata priva di attestazione di conformità alla copia estratta dal fascicolo informatico, ma non anche alcuna relata della notifica, che risulta depositata, invece, in data 4.12.2024 come allegato all ‘istanza ex art. 380bis cod. proc. civ. dei ricorrenti, ma priva dei messaggi di spedizione e di ricezione in quanto effettuata a mezzo PEC;
ancora in punto di fatto va rimarcato che la notifica del ricorso è stata effettuata a mezzo PEC in data 7.12.2023, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza (3.10.2023), come rilevato dalla PdA;
in tale contesto va dichiarata l’improcedibilità del ricorso per le ragioni qui di seguito esposte;
secondo il tradizionale orientamento di questa Corte, ‘ la previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma secondo, n. 2, – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità
soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione ‘ (Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005; conf., ex multis , Cass. 11 maggio 2010, n. 11376; Cass. 10 dicembre 2010, n. 25070; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1443);
con successiva sentenza le Sezioni Unite hanno temperato la portata del predetto principio, osservando che: «deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma secondo, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass., Sez. Un., 2 maggio 2017, n. 10648);
è stato peraltro ulteriormente precisato che, in mancanza del fascicolo di ufficio di cui pure risulti chiesta l’acquisizione, deve comunque dichiararsi l’improcedibilità, posto che l’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., prevede tale sanzione per l’omesso deposito in parola ad opera della parte, senza che possano dilatarsi irragionevolmente i tempi processuali per una carenza comunque imputabile alla stessa, e anche atteso che non è previsto, al di fuori di ipotesi eccezionali, qui non dedotte, che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio (Cass. 31 maggio 2018, n. 13751; 15 settembre 2017, n, 21386);
da ultimo, sul punto, sono intervenute nuovamente le Sezioni Unite, chiarendo che «nel giudizio di cassazione, è esclusa la dichiarazione di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l’impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo p.e.c.), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.) – mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass., Sez. Un., 6 luglio 2022, n. 21349): con riferimento a tale ultima precisazione è appena il caso di rilevare che, nel caso in esame, trattandosi di giudizio di cognizione piena, la legge non dispone la comunicazione della sentenza da parte della cancelleria ai fini del decorso del termine breve per impugnare;
alla luce di tali interventi il quadro di riferimento può così essere riassunto: a) l’art. 369 cod. proc. civ. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso;
l’improcedibilità può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purché entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione (art. 369, comma primo, cod. proc. civ.);
l’improcedibilità non può invece essere evitata allorquando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale;
d) la sanzione della improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte (ciò però nel solo caso, nella specie come detto non ricorrente, in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato prevedendo che da tale adempimento decorra il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.: Cass., Sez. Un., 21349/2022, cit.);
e) l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10 luglio 2013, n. 17066);
tale indirizzo non è in contrasto, ma anzi è confermato da altre due pronunce delle Sezioni Unite in materia, rispettivamente, di ricorso per cassazione notificato a mezzo posta elettronica certificata (p.e.c.) e depositato in copia analogica non autenticata dal difensore di parte ricorrente (Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22438) e di notifica della sentenza impugnata in formato digitale e deposito della copia notificata da parte del ricorrente senza attestazione di conformità all’originale (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2019, n. 8312 relativa però al caso, ben diverso da quello in esame, del mancato deposito della asseverazione di conformità della copia analogica della relata di notifica effettuata a mezzo p.e.c. e dei relativi messaggi di posta elettronica certificata);
tali sentenze hanno chiaramente ribadito la validità del tradizionale orientamento della S.C., operando unicamente un temperamento della rigorosità dello stesso nel caso di ricorso o di sentenza impugnata notificati a mezzo p.e.c. e depositati in copia cartacea con la relata di notificazione, mancante, tuttavia, di asseverazione di conformità all’originale digitale;
in tali ipotesi, infatti, le Sezioni Unite hanno attribuito rilievo alla mancata contestazione di controparte, giustificando tale scelta in ragione del fatto
che il controricorrente: a) è il destinatario della notificazione dell’unico originale formato digitalmente (atto notificato come documento informatico nativo digitale), sicché è perfettamente in grado di verificare la conformità del ricorso depositato a quello in suo possesso; b) è il soggetto che ha effettuato la notifica in forma digitale della sentenza impugnata, sicché è perfettamente in grado di verificare l’effettività della data di notificazione della sentenza impugnata depositata in copia non autentica;
è dunque evidente che, in entrambi i casi, ciò che viene sanato dalla non contestazione della parte controricorrente è la mancata attestazione di conformità della copia notificata del ricorso o della sentenza impugnata depositata dal ricorrente; e ciò rispetto ad atti che risultano in ogni caso depositati in giudizio, sebbene privi dell’attestazione di conformità, e che la parte controricorrente ha ricevuto in originale (ricorso) o ha provveduto a notificare telematicamente (sentenza impugnata);
nella specie, giova ribadire, quel che non risulta depositata nei termini, neppure in via telematica, non è l’attestazione di conformità ma proprio la relata di notifica con i messaggi di spedizione e di ricezione;
dall’esame del fascicolo di causa, come detto, si evince che i ricorrenti non hanno depositato tale relata, nel termine previsto dalla legge (venti giorni dalla notificazione del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 1), nessun rilievo potendo assumere il suo successivo, ma tardivo, deposito in allegato alla richiesta di definizione ex art. 380bis , comma secondo, cod. proc. civ., ma pur sempre privo dei messaggi di spedizione e di ricezione;
inoltre, il ricorso è stato notificato a mezzo p.e.c. solo in data 7.12.2023, sicché a quella data era già decorso il termine breve di impugnazione (sessanta giorni) dalla data di deposito della sentenza impugnata (avvenuto il 3.10.2023 e non può pertanto invocarsi, come detto, la c.d. prova di resistenza (v., Cass. 17066/2013, cit.);
la memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , comma primo, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito.
il motivo, altresì, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.;
la Corte d’appello ha disatteso il primo motivo d’appello , con il quale gli appellanti lamentavano l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale INDIRIZZO, osservando che, quand’anche l’operazione di finanziamento mediante anticipazione su fatture potesse essere configurata come sconto e, quindi, come cessione del credito pro solvendo , in ogni caso in presenza di obbligazioni autonome non si determina una situazione di litisconsorzio necessario ex art. 102 cod. proc. civ.;
i ricorrent i denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 102 cod. proc. civ., 24 e 111 Cost. per aver la Corte d’appello escluso l’esistenza di un litisconsorzio necessario senza formulare una critica pertinente alla decisione resa, limitandosi a richiamare il dictum Cass., sez. III, 29 marzo 2005, n. 6558, che però riguarda il problema della cessione del credito in luogo dell’adempimento (‘ In caso di cessione del credito in luogo dell’adempimento, il credito originario rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità di fruttuosa escussione del debitore ceduto ‘ ); va al riguardo ribadito il principio in base al quale ‘i l motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale
requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.’ (v. Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; 3 novembre 2017, n. 22226; 20 marzo 2017, n. 7074, in motivazione, non massimate sul punto; v., da ultimo, Cass., sez. III, 12 gennaio 2024, n. 1341);
con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., nonché degli artt. 24 e 111 Cost.;
il motivo attiene alla decisione resa dalla Corte d’appello in relazione al secondo ed al terzo motivo di appello e contiene due censure;
la prima censura riguarda la statuizione sulle istanze istruttorie, compresa quella di svolgimento di una C.T.U. contabile (in realtà esaminata dalla Corte d’appello in sede di esame del quarto motivo di impugnazione) , svolte nel corso del primo grado , che la Corte d’appello ha ritenuto essere state implicitamente rigettate del Tribunale;
la seconda censura, senza l’indicazione della norma violata, concerne la qualificazione del rapporto come «contratto autonomo di garanzia», pur in presenza di ‘ plurimi e convergenti argomenti per l’accessorietà della garanzia , e quindi la sua riconducibilità al tipo della fideiussione’;
la prima censura è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, 6, cod. proc. civ. per essere del tutto aspecifica, avendo i ricorrenti omesso di precisare il contenuto delle istanze istruttorie disattese e la sede della loro deduzione, la relativa riproposizione in sede di conclusioni in primo e in secondo grado, nonché la relativa indispensabilità ai fini della decisione;
del pari del tutto assertoria è la questione relativa alla documentazione (a pagina 6 del ricorso si riporta invece che tale istanza è stata rigettata dal valutata in primo grado , riferendo di una rimessione in termini dell’opposta Tribunale), senza precisare se essa sia stata oggetto di appello;
la censura non rispetta il principio di specificità, posto che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695);
la seconda censura, affatto diversa dalla prima e senza specificare quale norma sarebbe stata violata o falsamente applicata, nel l’ambito dell’invocato art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. , è inammissibile per l’esistenza di un giudicato interno;
a pagina 11 della sentenza della Corte d’appello si legge ‘Va preliminarmente rilevato che, alla luce delle chiare ed espresse clausole contrattuali, che prevedevano il diritto al pagamento a prima richiesta e senza eccezioni, il Tribunale ha correttamente qualificato il contratto in oggetto come contratto autonomo di garanzia e che tale qualificazione, oltre che del tutto condivisibile, non risulta contestata nell’atto di appello, per cui in merito a tale accertamento sulla natura e tipologia del rapporto negoziale si è formato il giudicato ‘ ;
con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1815, 2697 cod. civ., 112, 115 e 116 cod. proc. civ.;
i ricorrenti lamentano che nell’esame del quarto motivo d’impugnazione la Corte d’appello ha riconosciuto la correttezza della decisione del Tribunale di rigetto della consulenza tecnica ‘di parte’ sul rilievo del carattere generico delle questioni sollevate, non considerando che in materia di usura
bancaria i decreti ministeriali – di rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi per la rilevazione del tasso soglia – sono atti amministrati di carattere normativo, sì che erroneamente ha ritenuto i ricorrenti gravati dell’onere della prova, mentre avrebbe ‘potuto acquisirne conoscenza, o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti, ovvero anche attraverso la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione o l’acquisizione di una C.T.U. tecnicocontabile’;
il motivo è inammissibile perché svolge una censura del tutto disancorata dalla decisione della Corte d’appello, la quale non ha affatto disatteso il motivo d’impugnazione (relativo al superamento dei tassi soglia, alla commissione massimo scoperto, alla capitalizzazione trimestrale, alla nullità del rinvio ai tassi uso piazza, alla postergazione ed antergazione delle valute ed alla violazione dell’art. 5 0 t.u.b.) sulla base del mancato assolvimento dell’onere della prova quanto ai menzionati decreti ministeriali ;
la Corte d’appello ha considerato che l’ammontare del credito era stato provato sulla base degli estratti conto e scalari (pagina 16 della sentenza) e, quanto al la questione dell’asserita usurarietà dei tassi debitori , ha evidenziato la genericità ed indeterminazione delle contestazioni, sì che la chiesta C.T.U. si configurava come meramente esplorativa;
in ordine alle questioni in tema di commissione massimo scoperto, rinvio agli usi su piazza per il calcolo degli interessi passivi, pattuizione relativa alle valute, capitalizzazione trimestrale, in quanto non configurabili come causa di nullità per contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico , esse non potevano essere proposte dal garante autonomo (da pagina 13 a pagina 16 della sentenza);
con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2702 cod. civ., 214, 215 e 216 cod. proc. civ.;
la Corte d’appello avrebbe erroneamente riconosciuto la correttezza della decisione del Tribunale, che ha ritenuto irrituale il disconoscimento delle
fideiussioni, nonché generico e inefficace per mancata specificazione delle copie o delle sottoscrizioni disconosciute;
la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare che gli opponenti avevano disconosciuto tempestivamente la documentazione prodotta dalla banca sin dall’atto di opposizione , non considerando che nell’atto di appello avevano ribadito che la garanzia era stata prestata solo per l’apertura di credito in conto corrente;
il motivo è inammissibile perché non attinge la ratio enunciata a pagina 16 della sentenza, dove si legge ‘ il disconoscimento delle copie fotostatiche impone che la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro e univoco sia il documento specifico che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali (alterazioni, contraffazioni, difformità) di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo sufficiente né il ricorso a clausole di stile né a generiche asserzioni ‘ (pagina 16 della sentenza);
la censura non è aderente alla decisione resa dalla corte territoriale, sì che essa risulta inammissibile, risultando equivalente alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. (v. Cass., sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735) e inoltre solleva una questione nuova che non risulta trattata nella sentenza impugnata in contrasto con il principio di specificità del ricorso (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; 24 gennaio 2019, n. 2038; 9 agosto 2018, n. 20694; 18 ottobre 2013, n. 23675);
il ricorso, in conformità alla proposta di definizione accelerata, deve essere dichiarato improcedibile, dovendosi provvedere alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione secondo il principio della soccombenza;
la definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ.;
come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza 27 dicembre 2023, n. 36069, ‘richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata sanzionabile con la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore a euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, cod. proc. civ., ove, appunto il legislatore usa la locuzione ‹‹altresì››)’ (v., altresì, Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195; Sez. Un., 23 aprile 2024, n. 10955);
anche se deve essere esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (v. Cass., Sez. U n., 36069/2023), nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla previsione legale, stante la complessiva ‘tenuta’ dell’opinamento espresso dalla PDA siccome emergente dalle notazioni innanzi svolte necessaria per confermare il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento, in favore della controricorrente; delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; al pagamento, di euro 6.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, 4° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME