Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5029 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 5029  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4415-2020 proposto da:
COGNOME  NOMENOME  elettivamente  domiciliato  in  Roma,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall ‘AVV_NOTAIO COGNOME;
– COGNOMEnte –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO ,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO NOME  COGNOME,  rappresentata  e  difesa  dagli  Avvocati  NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controCOGNOMEnte –
Avverso la sentenza n. 614/2019 della Corte d’appello di Perugia , depositata il 03/10/2019;
Oggetto
LOCAZIONE ABITATIVA
Improcedibilità del ricorso
R.G.N. 4415/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/09/2023
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 14/09/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 614/19, del 3 ottobre 2019, della Corte d ‘a ppello di Perugia, che -respingendone il gravame avverso la sentenza n. 426/18, del 20 marzo 2018, del Tribunale di Perugia -ha confermato l’accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOMECOGNOME volta alla declaratoria di nullità, per carenza di forma scritta, del contratto di locazione immobiliare dalla stessa concluso con il COGNOME, e alla condanna del medesimo al rilascio della ‘ res locata ‘, oltre che al pagamento di € 13.000,00 a titolo d i indennizzo per occupazione senza giusta causa.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno COGNOMEnte che la COGNOME -dopo aver inutilmente agito a norma dell’art. 700 cod. proc. civ., e ciò sul presupposto di aver concesso in comodato l’immobile per cui è causa , dichiarando di voler esercitare il recesso ‘ ad nutum ‘ dal contratto -radicava un giudizio locatizio, attesa la qualificazione del rapporto quale locazione immobiliare data dall’adito giudicante nel provvedimento di reiezione della domanda cautelare, essendo emerso che la COGNOME percepiva, quale corrispettivo, la somma di € 400,00 mensili.
Chiesta  in  tale  rinnovata  sede  la  declaratoria  di  nullità  del contratto per difetto di forma scritta, nonché il rilascio dell’immobile  da  parte  del  COGNOME ,  oltre  alla  sua  condanna  al pagamento di un indennizzo per l’occupazione illegittima, l’adito Tribunale  provvedeva  in  tal  senso.  Siffatta  decisione  veniva confermata  dal  giudice  d ‘ appello,  che  respingeva  il  gravame
esperito dal convenuto  soccombente,  teso  in  particolare a dimostrare che l’assenza di forma scritta gli fosse stata imposta dalla  locatrice  (sicché  la  nullità  contrattuale  andava  qualificata come  ‘di  protezione’  e, pertanto,  deducibile  solo  dalla  parte conduttrice)  e  che,  comunque,  la  nullità  dovesse  considerarsi relativa, in virtù della modifica apportata -dall’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 -all’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431.
Avverso la sentenza della Corte umbra ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 431 del 1998 e del principio di diritto affermato da Cass. Sez. Un., n. 18214 del 2015, secondo il quale il contratto di locazione ad uso abitativo, stipulato senza la forma scritta, è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, ‘salva l’ipotesi in cui la forma verbale sia stata imposta dal lo catore, nel qual caso l’invalidità è una nullità di protezione del conduttore, solo da lui denunciabile’.
Lamenta  il  COGNOMEnte  che  ambo  i  giudici  di  merito  ‘hanno omesso di verificare se il locatore, come è emerso pacificamente all’atto  dell’istruttoria  compiuta,  abbia  imposto  al  conduttore  la forma verbale’ (come attesterebbero le deposizioni rese dai testi escussi, nonché lo stesso contegno processuale della COGNOME, la quale aveva inizialmente agito sostenendo che il contratto fosse un  comodato  gratuito),  donde  la  COGNOMEnza  della  nullità  di protezione.
Inoltre, la sentenza impugnata non terrebbe ‘conto del fatto che anche in assenza di abuso da parte del locatore, in virtù della riforma  legislativa  intervenuta  dopo  la  pronuncia  delle  Sezioni
Unite’ (di cui in rubrica), ‘la nullità perfezionatasi nel caso di specie deve qualificarsi come relativa’. Difatti, l’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015, sebbene non abbia mutato l’art. 1 , comma 4, della legge n. 431 del 1998, che continua a richiedere la forma scritta per la stipula di validi contratti di locazione, ha riformulato l’art. 13, comma 5 (divenuto comma 6), il quale non fa più riferimento al ‘rapporto di locazione di fatto imposto al lo catore’, ma sposta l’attenzione sulla registrazione del contratto, in particolare prevedendo -sottolinea il COGNOMEnte -‘che il conduttore possa richiedere la riconduzione del contratto «nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nei termini»’. Siffatta evenienza sarebbe quella verificatasi nella specie, visto che la COGNOME ha rifiutato la registrazione, nonostante la richiesta inoltrata dal COGNOME a mezzo di lettera raccomandata AR del proprio legale, inviata in data 19 luglio 2018. Sottolinea, dunque, il COGNOMEnte come il ‘particolare meccanismo sanzionatorio della riconduzione del contratto alle condizioni di legge’, oggi operi ‘automaticamente’, ovvero non essendo ‘necessaria alcuna prova dell’abuso da parte del locatore’ . Di qui, la conseguenza ulteriore che il contratto di locazione, privo di forma scritta, deve ritenersi ancora oggi nullo, con la precisazione, però, che la nullità relativa -da farsi valere dal solo conduttore -è divenuta ‘la regola e non l’eccezione’, e ciò anche al fine di evitare che la nullità, da strumento volto a contrastare l’evasio ne fiscale, si trasformi in un rimedio che ‘consente all’evasore di liberarsi dal vincolo contrattuale’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto, oltre a ‘omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giu dizio’.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che esso COGNOME avrebbe dovuto proporre la domanda di cui all’art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998 (o di cui al comma 6, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ‘in via di azione e non d i mera eccezione riconvenzionale’.
Così pronunciandosi, la Corte perugina avrebbe ‘completamente omesso di considerare’ che l’iniziativa assunta da esso COGNOME, ai sensi delle norme sopra richiamate, è stata, invece, intrapresa con ricorso ‘depositato nell’agosto 2018, rubricato al n. 4606/2018 R.G. del Tribunale di Perugia e trattenuto in decisione all’udienza del 24/09/2019’. Circostanze, queste, ‘rese note alla Corte territoriale mediante la produzione documentale del ricorso e della richiesta di registrazione del contratto, depositate in allegato alle note conclusive, trattandosi di documenti sopravvenuti’ (così da escludere che l’allora appellante fosse incorso ‘in alcuna decadenza’), produzione, peraltro, avvenuta per ‘motivare l’eventuale sospensione del giudizio in corso stante la pregiudizialità della decisione dell’azione proposta dal COGNOME‘.
Orbene, l’ iter motivazionale della Corte perugina, sul punto, si sarebbe concretizzato nell’assoluta omissione e/o mera apparenza, ovvero nell’irriducibile contraddittorietà o nell’illogicità manifesta,  evenienza,  tutte,  ‘che  giustificano  l’esercizio del sindacato di le gittimità’.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione , con controricorso, la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Parte COGNOMEnte ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è improcedibile.
8.1.  Agli  atti  del  presente  giudizio  non  risulta  presente  la relata di notificazione della sentenza impugnata, il deposito della quale è invece prescritto dall’art. 369, comma 2, cod. proc. civ., a pena d’improcedibilità del ricorso stesso .
T rova, pertanto, applicazione il principio secondo cui ‘il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte COGNOMEnte dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369, comma 1, cod. proc. civ., copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controCOGNOMEnte (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 6-2, ord. 22 luglio 2019, n. 19695, Rv. 654987-01).
D ‘altra parte, nel caso di specie neppure è ipotizzabile quella evenienza -nota come c. d. ‘prova di resistenza’ idonea a precludere la declaratoria di improcedibilità. Evenienza, questa, da ritenere integrata allorché la notificazione del ricorso risulti essersi perfezionata, dal lato del COGNOMEnte, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, giacché in questo caso il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di
consentire  al  giudice  dell’impugnazione,  sin  dal  momento  del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ. (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066, Rv. 62853901; Cass. Sez. 6-3, ord. 22 settembre 2015, n. 18645, Rv. 636810-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 30 aprile 2019, n. 11386, Rv. 653711-01).
Nel l’ipotesi che occupa, infatti, la notificazione del ricorso è avvenuta il 20 gennaio 2020 e, dunque, oltre sessanta giorni dal momento della pubblicazione della sentenza, risalendo essa al 3 ottobre 2019.
Né a precludere l’ esito dell’improcedibilità può valere il rilievo che la controCOGNOMEnte nulla ha eccepito al riguardo, giacché il vizio ‘ de quo ‘ risulta, comunque, rilevabile d’ufficio, oltre che non sanabile  dalla  non  contestazione  da  parte  del  controCOGNOMEnte (Cass. Sez. Lav., sent. 12 febbraio 2020, n. 3466, Rv. 65677501).
 Le  spese  del  presente  giudizio  seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del COGNOMEnte e liquidate come da dispositivo.
A carico del COGNOMEnte, stante la declaratoria di improcedibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare  un ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato,  se  dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara improcedibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.1 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,  comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento  da  parte  del COGNOMEnte dell’ulteriore importo a titolo di contribut o unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  all’esito  dell’adunanza  camerale della