Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1845 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1845 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29893/2019 r.g. proposto da:
NOME e NOME COGNOME entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Desio (MB), alla INDIRIZZO, in persona della responsabile dell’Ufficio Contenzioso dott.ssa NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE (quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta mandataria di RAGIONE_SOCIALE), con sede in San Donato Milanese (MI), alla INDIRIZZO. INDIRIZZO/ A-6/B, in persona del procuratore speciale Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO Lillio n. INDIRIZZO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 3020/2019, della CORTE DI APPELLO di MILANO, pubblicata il giorno 05/07/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
23/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 7 ottobre 2015, NOME ed NOME COGNOME, quali fideiussori della ‘ Impresa RAGIONE_SOCIALE di Novara, proposero tempestiva opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso il decreto n. 4254/15 con cui il giudice unico presso il Tribunale di Monza, richiestone da Banco di Desio e della Brianza s.p.aRAGIONE_SOCIALE, aveva ingiunto ai primi il pagamento, in via solidale, in favore di quest’ultima, dell’importo di € 486.118,95, oltre accessori e spese, per saldo debitore del rapporto di c/c n. 187600 intercorso tra la società suddetta ed il menzionato istituto di credito.
1.1. Costituitasi la banca opposta, che concluse per il rigetto delle avverse istanze, l’adito tribunale, con sentenza del 29 maggio 2018, n. 1499, respinse l’opposizione, confermando, per l’effetto, l’indicato decreto e condannando gli opponenti alla refusione delle spese di lite.
Pronunciando sul gravame da essi promosso avverso questa decisione, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 5 luglio 2019, n. 3020, così statuì: « 1) accoglie parzialmente l’appello e revoca il decreto ingiuntivo n. 4254/2015; 2) condanna in solido gli appellanti, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella loro qualità di fideiussori della RAGIONE_SOCIALE a
pagare alla Banca la minor somma di Euro 484.749,95, oltre interessi convenzionali, nei limiti dei tassi soglia usura, dalla domanda al saldo; 3) condanna gli appellanti in solido a rifondere all’appellata i 9/10 delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio, spese che liquida, per la quota indicata, nell’importo di Euro 27.000,00, oltre generali (15%) e oneri di legge, e compensa tra le parti il decimo residuo ».
2.1. In particolare, quella corte: i ) diede atto che « Per la Banca si costituiva nel giudizio di appello la società RAGIONE_SOCIALE, in qualità di cessionaria dei crediti del Banco di Desio e della Brianza s.p.a., e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE »; ii ) quanto, poi, agli ivi descritti undici motivi di gravame, ne argomentò le ragioni di irrilevanza dei primi due e di infondatezza di tutti gli altri esclusi il sesto (concernente l’invocata illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito a decorrere dall’1 gennaio 2014 e la conseguente violazione della legge di stabilità 2014), che accolse, ed il decimo (con cui era stata dedotta l’erroneità della sentenza impugnata per aver confermato il decreto ingiuntivo opposto), che ritenne assorbito; iii ) osservò, in relazione al disatteso quarto motivo (con cui era stata prospettata l’usurarietà del tasso debitore previsto per le ipotesi extra-fido facendosi richiamo, a tal fine, ai tassi soglia vigenti al momento della pattuizione -pari al 16,378% -ed altresì osservandosi che, ai fini della rilevazione in materia di usura, al tasso de quo -indicato nel 14,75% -si sarebbe dovuta sommare la commissione di messa a disposizione fondi, cd. ‘CMDF’, prevista nella misura dello 0,5% al trimestre), che, « poiché la CMDF è calcolata, come da contratto (cfr. pag 1, doc. 3), non sulla somma effettivamente utilizzata dal cliente (come invece accade nel caso degli interessi), bensì su quella messa a disposizione dalla Banca, non avrebbe senso sommare la percentuale relativa a tale commissione omnicomprensiva ai tassi di interesse previsti contrattualmente, in particolare a quello relativo alle ipotesi di ‘superamento fido’, specificamente richiamato dagli appellanti, essendo tali voci determinate sulla base di parametri del tutto diversi (ossia, rispettivamente, del c.d. ‘affidato’ e dell”utilizzato’) »; iv ) respinse la doglianza volta ad ottenere la dichiarazione di nullità dei singoli contratti di
apertura di credito stipulati tra ‘ RAGIONE_SOCIALE e Banco Desio. In proposito, opinò che, « come correttamente già rilevato dal primo giudice, la documentazione contrattuale prodotta dalla Banca (e, segnatamente, le lettere di affidamento e il contratto quadro relativo al rapporto di conto corrente per cui è causa) risulta sottoscritta anche dal correntista, con la conseguenza che non può rinvenirsi, nel caso di specie, alcuna violazione dell’art. 117, comma 1, TUB » e che « gli affidamenti e i relativi utilizzi devono ritenersi disciplinati dalle clausole contrattuali e dalle condizioni economiche che regolano il rapporto di conto corrente, come espressamente stabilito da ciascuna lettera di concessione di affidamento (cfr. pag. 2, doc. 5-13) e come peraltro appare ragionevole anche dal punto di vista logico, atteso che le aperture di credito per cui è causa trovano ragione e giustificazione nello stesso rapporto di conto corrente »; v ) rigettò pure la doglianza afferente la lamentata elusione della Delibera CICR del 9 febbraio 2000. Affermò, infatti, che si « deve effettivamente rilevare che, mentre il tasso annuo debitore nominale (TAN) è fissato al 9,260% e il tasso annuo effettivo (TAEG) al 9,675% (considerando quindi gli effetti della capitalizzazione, come previsto dalla citata Delibera CICR), al contrario, il tasso annuo creditore e quello effettivo risultano fissati nella medesima misura, pari allo 0,013%. Ciò posto, ritiene la Corte che tale rilievo non sia sufficiente a determinare una violazione del già citato art. 2, tenuto conto, per un verso, che il suddetto tasso risulta determinato in una misura troppo bassa perché possa presentare una qualche significativa variazione la capitalizzazione dell’interesse creditore; per altro verso e soprattutto, che il conto corrente in questione è stato concepito e aperto sin dall’origine per lavorare ‘sullo scoperto’ come espressamente ammesso dagli stessi appellanti (cfr. appello, pag. 11) e come risulta provato per tabulas (cfr. movimenti di conto corrente sempre in negativo, sub doc. 34) -con la conseguenza che, nel caso di specie, l’applicazione di interessi creditori appare, in ogni caso, senz’altro inverosimile »; vi ) spiegò, quanto al motivo accolto, che « dagli atti emerge che, in fase monitoria, l’importo del debito per cui è causa è stato calcolato dalla Banca al netto dell’importo dalla stessa applicato per capitalizzazione trimestrale (a decorrere dal 2014),
quantificato in Euro 3.392,00 . E tuttavia, a seguito della contestazione degli opponenti -a detta dei quali, per effetto, della capitalizzazione trimestrale, il credito ingiunto sarebbe ‘sfalsato per Euro 8.543,62 a sfavore del correntista’ e del conseguente ricalcolo imposto dal giudice (cfr. verbale del 21.3.2017), l’istituto di credito ha provveduto alla rideterminazione del suddetto importo, quantificandolo, in definitiva, in Euro 4.761,00. Ne discende che, per espressa ammissione della Banca, il decreto ingiuntivo opposto (confermato, nel suo importo, dalla sentenza impugnata) deve ritenersi illegittimo per la richiesta di interessi capitalizzati dopo il giorno 1.1.2014 in misura maggiore rispetto a quanto effettivamente ‘stornato’ in fase monitoria. Ciò posto e appurata la fondatezza delle ragioni di credito oggetto della presente doglianza, la Corte osserva, tuttavia, che gli appellanti non hanno fornito, né offerto, adeguata prova delle singole poste illegittimamente addebitate atte a giust ificare l’importo richiesto, atteso che, per un verso, essi si sono limitati ad allegare un proprio prospetto di calcolo senza dare una spiegazione ragionata e senza offrire una puntuale e specifica contestazione degli importi che in concreto asserivano non dovuti; per altro verso e per quanto qui rileva, anche la perizia di parte (depositata soltanto con la memoria 183, comma 6, n. 1, c.p.c.) tace del tutto sulla questione. Pare quindi opportuno, in proposito, tenere fermo il computo di tali interessi anatocistici, come presentato dalla Banca in data 5.5.2017. Di qui la rideterminazione degli interessi anatocistici illegittimamente applicati (dall’1.1.2014) nella somma di Euro 4.761,00, con un conseguente minor credito della Banca di euro 1.369,00 (= 4.761 – 3.392). La circostanza impone, quindi, la revoca del decreto opposto e la condanna, in solido, degli opponenti, attuali appellanti, al pagamento, in favore della Banca, della minor somma di euro 484.749,95 (= 486.118,95 -1.369,00), oltre interessi convenzionali, nei limiti della soglia usura, dalla domanda al saldo ».
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso NOME ed NOME COGNOME affidandosi a sei motivi. Ha resistito, con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380bis cod. proc. civ., Banco di Desio e della Brianza s.p.a., pregiudizialmente eccependo il proprio difetto di
legittimazione passiva perché il credito di cui si discute era stato ceduto dalla stessa alla RAGIONE_SOCIALE ancor prima della instaurazione del giudizio di appello.
3.1. Con ordinanza interlocutoria del 27 ottobre 2023/6 febbraio 2024, n. 3369, è stata disposta l ‘ integrazione del contraddittorio nei confronti della ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , ex art. 331 cod. proc. civ., onerandosi i ricorrenti del corrispondente adempimento, da effettuarsi nel termine ivi assegnato, ed eseguito il quale si è costituita, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE (quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, a sua volta mandataria di ‘RAGIONE_SOCIALE‘) . È stata fissata, dunque, una nuova adunanza camerale, in prossimità della quale la sola società da ultimo indicata ha depositato ulteriore memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) « Violazione e falsa applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, conv. in L. 28 febbraio 2001, n. 24, del D.L n. 185 del 2008, art. 2 -bis , comma 2, legge 2/2009, e dell’art. 644 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.) ». Si ribadisce la configurabilità di una usura contrattuale nel rapporto intercorso tra le parti, atteso che nella rilevazione del carattere usurario degli interessi deve essere inclusa anche la commissione di messa a disposizione fondi -CMDF -senza poter distinguere fra accordato e utilizzato, come fatto, invece, dalla corte d’appello;
II) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 4 del D.lgs. 385/93 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), difetto di motivazione ed omessa e falsa considerazione di prove documentali acquisite su alcuni punti decisivi della controversia (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ». Viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso la richiesta declaratoria di nullità dei contratti di apertura di credito stipulati tra ‘ RAGIONE_SOCIALE e Banco Desio, perché le lettere di affidamento ed il contratto quadro relativo al conto corrente risultavano sottoscritti dal correntista e tenuto conto che affidamenti e utilizzi erano disciplinati dalle clausole e condizioni economiche
che regolavano il conto corrente, come stabilito dalle lettere di concessione di affidamento;
III) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 120, comma 2, T.U.B. e degli artt. 2 e 6 della Delibera CICR 9.2.2000, dell’art. 1283 c.c., degli artt. 1175, 1283, 1344 e 1375 c.c., e dell’art. 3 della legge n. 287/90 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); sull’omis sione di pronuncia su aspetto rilevante (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) », criticandosi le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha disatteso il motivo di appello relativo alla dedotta elusione della Delibera CICR del 9 febbraio 2000;
IV) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 101 c.p.c. e 111 Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); omessa e falsa considerazione di prove documentali acquisite su punti decisivi della controversia (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ». Si ascrive alla corte territoriale di avere ritenuto illegittima la capitalizzazione trimestrale a debito dall’1 gennaio 2014, ma, al contempo, non provate le singole poste illegittimamente applicate, così confermando il minor importo riconosciuto dalla banca per tale causale;
V) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 191, 210 c.p.c., dell’art. 119 del d.lgs. n. 385/1983, degli artt. 1832 e 1827 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); omissione di pronuncia su un aspetto rilevante, omessa e falsa considerazione di prove documentali acquisite su punti decisivi della controversia (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) », contestandosi alla corte distrettuale di non aver ammesso, erroneamente ritenendola esplorativa, la consulenza tecnica di ufficio ivi ancora invocata dagli appellanti;
VI) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 -bis del D.lgs. n. 385/1983, dell’art. 27 -bis del d.l. 24/01/2012, n. 1, modificato dall’art. 3, comma 1, lett. a), del D.L. 24 marzo 2102, n. 29, convertito, con modificazioni, dalla L 18 maggio 2012, n. 62, dell’art. 1421 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); omissione di pronuncia su aspetto rilevante ». Vengono contestate le argomentazioni con cui la corte milanese ha disatteso il motivo di gravame volto ad ottenere la declaratoria di nullità delle clausole determinatrici delle commissioni di affidamento per l’applicazione di spese ulteriori, a dispetto del carattere omnicomprensivo della CMDF.
Ancor prima di poter procedere allo scrutinio dei riportati motivi, rileva il Collegio, in via pregiudiziale, che l’odierno ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
2.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, infatti, pur affermando che la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3020/2019, oggi impugnata, è stata notificata in data 9 luglio 2019, non hanno depositato copia della corrispondente relazione di notificazione, come imposto, invece, dall’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. Nel fascicolo di ufficio (ed in quello dei ricorrenti in esso ricompreso), invero, si rinvengono esclusivamente plurime copie autentiche della menzionata sentenza, nessuna delle quali, però, corredata anche della relazione di notificazione suddetta. Lo stesso tenore del ricorso, inoltre, indica fra la documentazione depositata contestualmente ad esso, la copia autentica della sentenza impugnata ( cfr . pag. 24), tuttavia senza traccia alcuna della relazione della sua avvenuta notificazione.
2.2. Giova ricordare, allora, che, come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte ( cfr . Cass., SU, n. 21349 del 2022), la dichiarazione, contenuta nel ricorso per cassazione, di avvenuta notificazione della sentenza impugnata attesta un « fatto processuale » – la notificazione della sentenza idoneo a far decorrere il termine « breve » di impugnazione e, quale manifestazione di « autoresponsabilità » della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile riparare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 cod. civ. ( cfr. , nel medesimo senso, pure nelle rispettive motivazioni, anche la precedente Cass. n. 15832 del 2021 e le più recenti Cass. nn. 14790, 19475 e 27313 del 2024).
2.3. Il difetto di procedibilità, poi, dev e essere rilevato d’ufficio, né può essere sanato dalla mancata contestazione ad opera della parte controricorrente, perché l’improcedibilità trova la sua ragione nel presidiare,
con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo di una parte che ostacola la stessa sequenza di avvio di un determinato processo ( cfr . Cass., SU, n. 9005 del 2009; Cass., SU, n. 10648 del 2017; Cass., SU, n. 21349 del 2022; Cass. nn. 17014, 19475 e 27313 del 2024), sicché nessun valore può assumere, al fine di escluderla, l’eventuale comportamento di non contestazione di un’altra parte. Chiarissima, in tal senso, è l’affermazione di Cass., SU, n. 21349 del 2022, laddove spiega che « Non può condividersi l’affermazione, contenuta nell’ordinanza interlocutoria, secondo cui la sanzione dell’improcedibilità sarebbe inapplicabile quando “la controparte (controricorrente) che ha notificato il provvedimento di merito impugnato (…) abbia riconosciuto nel giudizio di legittimità la data in cui l’adempimento è stato da lei stessa curato, rendendo in tal modo inutile ogni accertamento dell’ufficio al riguardo” . Ed infatti, il ricorrente che, pur dichiarando che la sentenza impugnata è stata notificata in una certa data, depositi la copia autentica della stessa omettendo di depositare la relata della notifica, incorre nella sanzione dell’improcedibilità, trattandosi di omissione che impedisce alla Suprema Corte la verifica – a tutela dell’esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, a nulla valendo la non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente, ovvero il mero reperimento di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga, in ipotesi, la tempestività dell’impugnazione ( ex plurimis , Cass. 3466 del 2020, n. 9987 del 2016, n. 9004 del 2009) ».
2.3.1. In altri termini, la previsione di un termine perentorio per il deposito della relata a cura del ricorrente, ex art. 369 cod. proc. civ., o eccezionalmente del controricorrente, ex art. 370, comma 3, cod. proc. civ., è funzionalmente preordinata all’immediato e diretto riscontro, da parte del giudicante, dell’ordinato svolgersi del giudizio di legittimità mediante la verifica d’ufficio della tempestività dell’impugnazione e del conseguente formarsi del giudicato: tanto giustifica la già spiegata efficacia sanzionatoria della declaratoria di improcedibilità.
2.3.2. È stato insegnato pure che essa è compatibile con il diritto di accesso al giudice se configurata nelle fasi di impugnazione, risolvendosi, altrimenti, in una non ragionevole compromissione del diritto di difesa e che la selezione delle impugnazioni da scrutinare nel merito va perciò compiuta se i termini fissati dal legislatore per la sequenza procedimentale siano stati rispettati ( cfr . Cass., SU, n. 10648 del 2017). Infatti, consentire il recupero della omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento di cui all’art. 372 cod. proc. civ. vanificherebbe il senso del duplice adempimento nel meccanismo processuale che è anche quello di selezionare tempestivamente i ricorsi ai fini della scelta del rito processuale di legittimità più consono.
2.3.3. Va rimarcato, inoltre, che, giusta la recente Cass. n. 19475 del 2024, « In tema di giudizio di cassazione, l’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. e tale sanzione non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia » (in senso conforme si veda anche, in motivazione, la successiva Cass. n. 27313 del 2024).
2.4. A queste conclusioni non possono ritenersi di ostacolo il principio sancito da Cass., SU, n. 22438 del 2018 (« Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1bis e 1ter , della l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente -anche tardivamente costituitosi -depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005.
Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato -così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso -ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio ») e quelli enunciati da Cass., SU, n. 8312 del 2019 (« 1. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1 -ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato -oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso -oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata; 2. I medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata -e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute -senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1 -ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa; 3. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica
della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente -e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 -bis , comma 9 -bis , d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio; 4. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1 -ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio »).
2.4.1. Ad avviso di questo Collegio, infatti, si tratta di principi chiaramente dettati per fattispecie specifiche (e diverse da quella oggi in esame) e non estendibili al di fuori di essi.
2.5. La copia della menzionata sentenza della Corte di appello di Milano n. 3020/2019, munita della corrispondente relata di sua notificazione, poi, neppure è nella disponibilità di questa Corte perché prodotta dalla parte controricorrente (nel suo fascicolo non si rinviene copia della sentenza suddetta corredata della relata di sua notificazione) e ciò preclude anche la possibilità di ritenere che, malgrado l’omessa produzione da parte del ricorrente, l’avvio della sequenza procedimentale non sia stato com unque impedito, né apprezzabilmente ritardato ( cfr . SU, n. 10648 del 2017).
2.5.1. La medesima copia neppure può essere in possesso dell’ufficio perché presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello ( cfr . Cass., SU, n. 10648 del 2017), atteso che, nella specie, non era previsto, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, un obbligo di comunicazione del provvedimento (come nel caso di cui all’ordinanza ex art. 348ter cod. proc. civ.), né notificazione da parte della cancelleria ( cfr . Cass. n. 17014 del 2024). Solo in tali ipotesi, nelle quali la legge anche implicitamente ricollega la decorrenza del termine per impugnare al compimento di attività doverose della cancelleria, sub specie di comunicazione ovvero di notificazione, salvo diversa e specifica disposizione di legge (che imponga alla cancelleria di allegare al fascicolo d’ufficio la copia notificata dalla parte della sentenza impugnata), è previsto o possibile che resti traccia degli adempimenti a cura della cancelleria, cioè della comunicazione e notifica della sentenza, nel fascicolo d’ufficio, sicché ben potrebbe la trasmissione avvenuta in adempimento della richiesta di cui all’art. 369 cod. proc. civ. supplire alla negligenza della parte ricorrente. Al di fuori di esse, invece, laddove la notificazione della sentenza, idonea a far decorrere il termine breve, sia frutto di una successiva ed autonoma iniziativa della parte interessata ad abbreviare i tempi di formazione del giudicato, non è previsto che nel fascicolo d’ufficio (nel quale sono inseriti i soli atti indicati nell’art. 168 cod. proc. civ.) debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi evidentemente di attività
che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio, non sussistendo un diritto delle parti a provvedere ad ulteriori inserimenti di atti nel fascicolo nei tempi dalle stesse liberamente decisi, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dal legislatore ( cfr ., in termini, Cass. n. 21386 del 2017. In senso conforme, si vedano anche Cass. n. 14360 del 2021, Cass., SU, n. 21349 del 2022 e Cass. n. 27313 del 2024). Perché la sanzione dell’improcedibilità sia evitata, quindi, non è sufficiente, che il documento (la relata di notifica ad istanza di parte) sia materialmente presente nel fascicolo d’ufficio (di cui il ricorrente abbia chiesto la trasmissione) per esservi stato materialmente inserito dalla parte interessata nei tempi dalla stessa determinati.
2.6. Fermo quanto precede, poiché, nella specie, il ricorso è stato avviato alla notifica solo in data 7 ottobre 2019 (lunedì ), l’improcedibilità dello stesso nemmeno può essere scongiurata in riferimento alla data della pubblicazione della sentenza impugnata (5 luglio 2019), come stabilito dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui, pur in difetto della produzione della relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve ugualmente ritenersi procedibile ove risulti che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno (nella specie da individuarsi nella giornata di venerdì 4 ottobre 2019) dalla pubblicazione della sentenza, perché in tal caso è comunque consentito al giudice dell’impugnazione, fin dal momento del deposito del ricorso ed in riferimento alla sola data di pubblicazione della decisione impugnata, verificare e ritenere la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 11386 del 2019; Cass. nn. 17014 e 27313 del 2024).
2.7. Resta solo da dire, da ultimo, che la improcedibilità della odierna impugnazione può essere rilevata d’ufficio senza necessità di stimolare il contraddittorio, perché il divieto di porre a fondamento della decisione una questione non sottoposta al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative ai requisiti di procedibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, § 1, della
CEDU, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea – ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato su questioni di rito che la parte, con una minima diligenza, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi ( cfr . Cass. n. 27313 del 2024. In senso analogo, sebbene con riferimento al rilievo della tardività della impugnazione, Cass. n. 7356 del 2022. In senso sostanzialmente conforme, cfr . pure Cass. n. 6218 del 2019).
3. In conclusione, il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME deve essere dichiarato improcedibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il loro ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara improcedibile il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME e li condanna, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, liquidate in complessivi € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liqui dati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il loro ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile