Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6777 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6777 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2197/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n.1583/2019 depositata l’ 11.7.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 2009, COGNOME NOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, COGNOME Giovanni. L’attore deduceva di essere comproprietario di un fondo agricolo sito in Barletta e lamentava che sul confinante un fabbricato, composto da un piano terreno e un primo piano, in distanza legale di 10 metri dalla sua parete finestrata, prevista dall’art. 873 cod. civ. come integrato dalle terreno, di proprietà del convenuto, era stato realizzato violazione della norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Barletta. Tanto premesso, COGNOME Vittorio Emanuele chiedeva l’accertamento della lamentata violazione e, per l’effetto, la condanna del convenuto alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi mediante demolizione o arretramento del manufatto a distanza legale. Inoltre, il COGNOME chiedeva il risarcimento dei danni patiti, da considerarsi connaturati alla violazione stessa.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME contestando la domanda di parte attrice e, in particolare, asserendo che il proprio terreno non fosse confinante con il fondo del INDIRIZZO, atteso che tra gli stessi era interposto un fondo di proprietà di terzi.
L’attore precisava, con la memoria ex art. 183, comma 6° c.p.c., che il proprio fondo, benché non contiguo a quello del convenuto, per giurisprudenza costante era da considerarsi finitimo, in quanto da esso separato da una porzione di terreno di ampiezza inferiore a quella prescritta per le distanze.
Con sentenza n. 2005/2015 il Tribunale di Trani, previo espletamento di CTU, accoglieva la domanda di riduzione in pristino mediante arretramento o demolizione del manufatto e la domanda
risarcitoria, ritenendo irrilevante l’inserzione tra i due terreni di un’area di altri soggetti.
Avverso detta pronuncia proponevano appello COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Si costituiva in secondo grado COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza gravata.
Con sentenza n. 1583/2019, la Corte di Appello di Bari rigettava l’impugnazione, confermando la pronuncia di primo grado e condannando COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per Cassazione, articolato su quattro motivi, e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 872, comma 2° e 873 c.c.. Il Giudice a quo avrebbe errato nel ritenere violate le N.T.A. del P.R.G. del Comune di Barletta, come norme integrative dell’art. 873 c.c., attesa l’inapplicabilità di detto articolo al caso di specie. In particolare, i ricorrenti espongono la carenza dei presupposti di applicazione della norma, non potendosi i fondi delle parti in causa qualificare come finitimi stante la sussistenza, tra gli stessi, di un fondo interposto di proprietà di un terzo. In ogni caso, anche se i fondi si considerassero finitimi, COGNOME NOME non sarebbe stato tenuto a rispettare una distanza dal fondo attoreo in quanto aveva edificato in aderenza ad una preesistente costruzione, insistente sul fondo interposto.
Col secondo motivo, subordinato al primo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4 c.p.c., la violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 2.07 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Barletta, degli artt. 872, comma 2°, 873 e/o 2697 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che l’art. 2.07 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Barletta non si limita a disciplinare le distanze tra costruzioni in modo differente dall’art. 873 cod. civ., ma possiede una portata molto più ampia, essendo teso al perseguimento di interessi generali e non meramente privati. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare detta norma integrativa della disciplina codicistica, con l’ulteriore conseguenza che l’edificazione in violazione della stessa avrebbe potuto dar luogo soltanto ad una tutela risarcitoria ex art. 872, comma 2° cod. civ., ma non al ripristino dello status quo ante .
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2.07 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Barletta, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. I germani COGNOME espongono che, anche laddove si considerasse l’art. 2.07 delle N.T.A. norma integrativa dell’art. 873 cod. civ., la distanza minima ivi prescritta non potrebbe comunque trovare applicazione al caso di specie, stante la non edificabilità del fondo del Saracino. Tutt’al più, potrebbe applicarsi la lettera ‘Dc’ dell’art. 2.07, relativa alla ‘ distanza minima tra fabbricati con interposto confine ‘, consistente nella ‘ somma delle altezze dei fabbricati prospicienti ‘, distanza osservata rispetto al confine del Saracino.
Col quarto motivo, proposto in autonomia dalla ricorrente COGNOME Angela, si lamenta la nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 91 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La Corte di Appello avrebbe errato nel condannare anche la ricorrente alla rifusione delle spese processuali atteso che
la stessa, unitamente al germano COGNOME NOME, aveva agito in giudizio soltanto in qualità di procuratrice del comune dante causa COGNOME NOME.
5. Rileva la Corte, di ufficio ed in via assorbente rispetto ad ogni altra questione, che il ricorso è improcedibile ex art. 369 c.p.c., in quanto pur essendo stato notificato il ricorso a mezzo pec dal legale di COGNOME NOME e COGNOME NOME, avvocato NOME COGNOME ai legali domiciliatari di Saracino Vittorio Emanuele nel giudizio di secondo grado, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 27.12.2019, il deposito del ricorso e l’iscrizione a ruolo della causa sono avvenuti solo in data 20.1.2020, come risulta degli atti e quindi ben oltre il termine di venti giorni dall’ultima notificazione stabilito dal primo comma dell’art. 369 c.p.c..
La giurisprudenza di legittimità é consolidata, infatti, nel ritenere che l’omesso o tardivo deposito del ricorso per cassazione dopo la scadenza del ventesimo giorno dalla notifica del gravame comporta l’improcedibilità dello stesso, rilevabile anche d’ufficio e non esclusa dalla costituzione del resistente, salva la possibilità di rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153, comma 2, c.p.c., ove il mancato tempestivo deposito sia dipeso da causa non imputabile al ricorrente, (nella specie neppure richiesta), essendo il termine dell’art. 369 comma 1° c.p.c. un termine perentorio, al quale non é applicabile la sanatoria per raggiungimento dello scopo dell’art. 156 comma 3° c.p.c. (vedi in tal senso Cass. 12.10.2022 n. 29889; Cass. 4.9.2019 n. 22092; Cass. 26.10.2017 n.25453).
Solo per completezza, va osservato che secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza del 23 maggio 2024, Ricorso n. 37943/17; sentenza del 28 ottobre 2021, Ricorso n. 55064/11 e altri), una decisione sulla procedibilità del ricorso nella fase iniziale del procedimento grazie a una procedura accelerata non costituisce un impedimento sproporzionato tale da
compromettere la sostanza stessa del diritto di accesso a un tribunale dei ricorrenti garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (principio affermato con riferimento alla improcedibilità per l’inosservanza dell’obbligo di depositare la relazione di notificazione entro il termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, ma senz’altro estensibile, per la sua portata generale anche all’ improcedibilità per tardivo deposito del ricorso).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, con distrazione in favore del difensore che ne ha fatto richiesta.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € . 3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario, avvocato NOME COGNOME Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6.2.2025