Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20250 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26573/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO/O STUDIO NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 696/2020 depositata il 14/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.A seguito di donazione paterna del 13.10.1979, i germani NOME NOME, NOME NOME e NOME divennero, originariamente, proprietari di 4 appartamenti siti in Marina di Torchiarolo, INDIRIZZOpoi divenuta INDIRIZZO) tutti insistenti nel medesimo edificio.
A NOME e NOME vennero attribuiti gli appartamenti siti al piano terra mentre a NOME e NOME quelli al primo piano.
In relazione alle parti comuni con atto del 31.1.1987 NOME NOME e NOME donarono a NOME e NOME la quota di loro spettanza pari ad un mezzo dell’intero del vano scale e sottoscale, costruite e costruende del fabbricato. Al contempo rinunciarono irrevocabilmente ed incondizionatamente ad ogni diritto di usare i lastrici solari costruiti e costruendi del citato fabbricato.
I proprietari del lastrico solare costruirono in sopraelevazione al secondo piano altri due appartamenti in corrispondenza dei propri appartamenti.
COGNOME NOME e NOME agirono in giudizio contro le sorelle COGNOME NOME e NOME al fine di accertare e dichiarare l’illegittimità delle variazioni planimetriche catastali effettuate nonché accertare che i germani con le loro opere si erano appropriati illegittimamente di porzioni di parti comuni.
Nel corso del giudizio le questioni afferenti alla veranda sita al piano terra vennero risolte tra le parti coinvolte mediante transazione (con la quale fu divisa la veranda comune) mentre rimase la controversia relativa alla veranda sita nel primo piano.
Il giudice di prime cure: 1) accertò che il vano scala, la veranda situata al primo piano e l’area ad essa sovrastante fosse di proprietà comune tra NOME NOME e NOME; 2) condannò NOME COGNOME alla demolizione parziale del muro che separava il terrazzo a livello dal ripostiglio e la veranda al secondo piano e della scala da lui edificata che dalla veranda dal secondo piano porta al solaio del vano scala,
nonché allo spostamento dei barbecue presente sul terrazzo di dieci cm; 3)accertò inoltre che NOME Silvio faceva defluire illegittimamente le acque di scolo del solaio della propria abitazione sulla proprietà comune (la veranda) e lo condannava a porre in essere tutti gli accorgimenti necessari per ovviarvi; 4) accertò che NOME COGNOME era proprietaria esclusiva della portafinestra che dal vano scala consente l’accesso al primo piano e condannò NOME COGNOME a non accedere da tale porta finestra ovvero a pagare 300,00 ossia la metà del suo valore; affermò che la autodichiarazione resa da NOME COGNOME nel 1995 nella domanda di condono edilizio era mendace; dispose la divisione della veranda in parti uguali.
2.La decisione venne appellata in via principale da NOME COGNOME ed in via incidentale da NOME COGNOME.
Il giudice di merito respinse l’appello affermando che nell’atto di donazione, all’art. 8, fosse chiaramente indicato il confine delle unità immobiliari e l’estensione delle parti comuni.
Dopo aver riportato il contenuto dell’atto di donazione, si affermò che dall’esame delle planimetrie emergesse come fosse di proprietà comune di NOME e NOME la veranda ed il pozzo luce sito al piano terra, mentre fossero di proprietà comune di NOME e NOME la veranda situata al primo piano e l’area soprastante a quest’ultima.
La Corte d’appello osservò che, alla luce degli esiti della ctu espletata, emerse che ‘gli abusi commessi dall’appellata e quelli commessi dall’appellante sui medesimi spazi, così come analoghe variazioni, in modo assolutamente speculare’ erano state commesse ‘dalle germane NOME e NOME con riferimento al piano terra. Detti comportamenti erano, quindi, sussumibili, nella previsione normativa dell’art. 1102 c.c. Sicché, nella specie, non era da ravvisarsi alcuna ragione che precludesse la possibilità di uso del
bene comune da parte dell’appellante principale avuto riguardo alla nozione di pari uso della cosa comune’.
Nella specie non era stato provato come le modifiche apportate da NOME COGNOME avessero precluso il pari uso della cosa comune al NOME COGNOME.
Per l’effetto, vennero dichiarati assorbiti i motivi 3,4,5,7, relativi alla divisione della veranda.
Venne accolto l’appello incidentale, in punto di errata compensazione delle spese del giudizio.
Avverso la prefata decisione ricorre NOME COGNOME con un motivo, resiste con controricorso NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza sono state depositate memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente dichiararsi nulla la procura conferita dalla controricorrente all’avvocato NOME COGNOME e conseguentemente inammissibile la costituzione dello stesso in aggiunta all’altro difensore.
Ed infatti trattandosi di procedimento instaurato nel 2006, quindi prima del 4 luglio 2009, nel giudizio di cassazione la successiva comparsa di costituzione di un nuovo difensore, con il conferimento della procura in calce all’atto ed autenticata dallo stesso legale nominato, è nulla in quanto la procura speciale, ex art. 83, comma 3, c.p.c., vigente ratione temporis, deve essere rilasciata con atto pubblico o con scrittura privata autenticata ex art. 83, comma 2, c.p.c., ove non apposta a margine o in calce al ricorso o al controricorso; non può pervenirsi, peraltro, ad una soluzione diversa quando sopraggiunge la sostituzione del difensore, dovendosi anche escludere l’introduzione da parte dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c. come sostituito dal d.lgs. n. 149 del 2022, che ha disposto che
l’istanza di decisione è eseguita dal difensore munito di nuova procura speciale – di una regola in deroga all’art. 83 c.p.c., nella formulazione applicabile al giudizio in relazione alla data di suo inizio (da ultimo Cass. n. 12833 del 2025; tra le varie, v. anche Sez. 2 – , Ordinanza n. 12434 del 19/04/2022).
La difesa della controricorrente resta pertanto assicurata dall’altro difensore.
Premesso quanto innanzi, c on l’unica doglianza il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte territoriale violato l’art. 1102 c.c. e gli artt. 46 del d.P.R. n. 380/2001 e 40 della l. n. 47 del 1985 avendo la Corte omesso di esaminare elementi decisivi della controversia, inoltre motivando in maniera carente, illogica e contraddittoria le risultanze processuali.
Il ricorso è però improcedibile ai sensi dell’art. 369 comma 2 n. 2 cpc.
Il ricorrente attesta che la sentenza gli è stata notificata a mezzo pec in data 15.7.2020 (cfr. pag. 1 del ricorso), ma ha omesso di depositare la copia della sentenza impugnata con la relata di notifica.
Nel fascicolo di ufficio (ed in quello del ricorrente in esso ricompreso), invero, si rinvengono esclusivamente plurime copie autentiche della menzionata sentenza, nessuna delle quali, però, corredata anche della relazione di notificazione suddetta.
Neppure nel fascicolo del controricorrente si rinviene la sentenza corredata dalla relazione di notifica, il che avrebbe potuto scongiurare la sanzione della improcedibilità: cfr. SSUU, n. 10648 del 2017.
Come affermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., SU, n. 21349 del 2022), la dichiarazione, contenuta nel ricorso per cassazione, di avvenuta notificazione della sentenza impugnata attesta un «fatto processuale» – la notificazione della sentenza –
idoneo a far decorrere il termine «breve» di impugnazione e, quale manifestazione di «autoresponsabilità» della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile riparare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 cod. civ. (cfr., nel medesimo senso, pure nelle rispettive motivazioni, anche la precedente Cass. n. 15832 del 2021 e le più recenti Cass. nn. 14790 e 19475 del 2024).
Il difetto di procedibilità, poi, deve essere rilevato d’ufficio, né può essere sanato dalla mancata contestazione da parte della controricorrente, perché l’improcedibilità trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo di una parte che ostacola la stessa sequenza di avvio di un determinato processo (cfr. Cass., SU, n. 9005 del 2009; Cass., SU, n. 10648 del 2017; Cass., SU, n. 21349 del 2022; Cass. nn. 17014 e 19475 del 2024), sicché nessun valore può assumere, al fine di escluderla, l’eventuale comportamento di non contestazione di un’altra parte.
In altri termini, la previsione di un termine perentorio per il deposito della relata a cura del ricorrente, ex art. 369 cod. proc. civ., o eccezionalmente del controricorrente, ex art. 370, comma 3, cod. proc. civ., è funzionalmente preordinata all’immediato e diretto riscontro, da parte del giudicante, dell’ordinato svolgersi del giudizio di legittimità mediante la verifica d’ufficio della tempestività dell’impugnazione e del conseguente formarsi del giudicato: tanto giustifica la già spiegata efficacia sanzionatoria della declaratoria di improcedibilità.
Quanto innanzi, non è messo in discussione, anzi è confermato da successive pronunce delle Sezioni Unite, in materia di notifica della sentenza impugnata in formato digitale e deposito della copia notificata da parte del ricorrente senza attestazione di conformità all’originale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018, Rv. 650462; conf. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597). Invero, dette sentenze hanno chiaramente ribadito la validità del tradizionale orientamento di questa Corte, operando unicamente un temperamento dello stesso nel caso di ricorso o di sentenza impugnata notificati a mezzo p.e.c. e della mancata asseverazione di conformità delle copie della sentenza o della relata depositate dal ricorrente. Solo in tali casi, le Sezioni Unite hanno attribuito rilievo alla non contestazione della controparte rispetto alla mancanza di attestazione di conformità di atti che risultano in ogni caso depositati in giudizio. Tale attenuazione, tuttavia, non è applicabile al caso di specie, non essendo stata depositata neanche la copia dell’eventuale notificazione eseguita in via telematica, sia pure senza l’attestazione di conformità (cfr. Cass. n. 28781 del 2024).
Infine, ma solo per completezza, va aggiunto che secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza del 23 maggio 2024, Ricorso n. 37943/17; sentenza del 28 ottobre 2021, Ricorso n. 55064/11 e altri), l’osservanza dell’obbligo di depositare la relazione di notificazione entro il termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, ai sensi dell’articolo 369 comma 1 del codice di procedura civile, giacché consente alla Corte di cassazione di adottare una decisione sulla procedibilità del ricorso nella fase iniziale del procedimento grazie a una procedura accelerata, non costituisce un impedimento sproporzionato tale da compromettere la sostanza stessa del diritto di accesso a un tribunale dei ricorrenti garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Va quindi ribadito (in continuità con Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013 e da ultimo Cass. Sez. 2, n. 28781 del 2024) il seguente principio: ‘ L’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso. Tale sanzione può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purché entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione; non, invece, quando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale. Inoltre, la sanzione dell’improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte, senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione. Infine, l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato’.
Fermo quanto precede, poiché, nella specie, la notifica del ricorso è avvenuta in data 14 ottobre 2020 l’improcedibilità dello stesso nemmeno può essere scongiurata in riferimento alla data della pubblicazione della sentenza impugnata (14 luglio 2020), come stabilito dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui, pur in difetto della produzione della relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve ugualmente ritenersi
procedibile ove risulti che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (Cass. n. 11386 del 2019; Cass. 17066 del 2013). Nel caso in esame, il sessantesimo giorno scadeva martedì 13.10.2020.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
Le spese sono liquidate come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso improcedibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.800,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025