Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24199 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12676/2024 R.G. proposto da : COGNOME NOME e NOMECOGNOME quali eredi di COGNOME NOMECOGNOME domiciliati digitalmente ex lege ; rappresentate e difese da ll’ Avv. COGNOME NOMECODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa da ll’ Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1238/2024, depositata il 21/2/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Fondazione Enasarco, locatrice dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO intimò licenza per finita locazione al conduttore NOME COGNOME, in relazione alla scadenza del 31/12/2021. Il COGNOME oppose che l’ente era tenuto alla stipula di un nuovo contratto, in ossequio agli accordi ex art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998. Il Giudice non convalidò la licenza ma, all’esito del giudizio, accolse la domanda, dichiarando che il contratto di locazione sarebbe cessato alla data del 31/12/2021 (con esecuzione fissata al 30/6/2022).
La sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d’appello di Roma, sul presupposto che, a fronte del rifiuto del COGNOME agli inviti dell’Enasarco a stipulare un nuovo contratto, quest’ultima era senz’altro legittimata a sciogliersi da quello in corso. Né -prosegue il giudice di secondo grado -‘ dirsi manifestata validamente la volontà di rinnovare il contratto di locazione attesa la chiara contestazione circa la corresponsione delle somme a titolo di differenze di canoni, dovute dagli inquilini, secondo i predetti accordi sindacali del 2008, non potendosi sostituire il Giudice alla autonomia contrattuale delle parti, né potendo la parte pretendere di accettare la proposta di rinnovo contrattuale, espungendo a suo piacimento parte delle condizioni ivi previste, peraltro in linea con gli accordi sindacali di categoria’ (pag. 5 e s. della sentenza impugnata).
NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME, hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.
La Fondazione Enasarco si è difesa con controricorso.
In data 11/1/2025 è stata depositata proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., del seguente tenore: ‘ rilevato che nel ricorso si asserisce che la sentenza impugnata è stata notificata in data 19/03/2024; considerato che, dall’esame degli atti, risulta depositata soltanto copia autentica della sentenza senza la relata dell’indicata notificazione; considera to che la c.d. prova di resistenza (Cass. n. 17066 del 2013) con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza, che è stata il 21/02/2024, non consente di considerare tempestivo il ricorso calcolando il decorso del temine breve da essa, atteso che il ricorso è stato notificato in data 17/05/2024, mentre detto termine scadeva il 22/04/2024; ritenuto, dunque, che sussiste improcedibilità del rico rso ai sensi dell’art. 369, secondo comma n. 2 c.p.c. (Cass. Sez. U. n. 21349 del 2022); propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronuncia di improcedibilità ‘.
Le ricorrenti hanno quindi depositato la richiesta di decisione di cui al secondo comma della disposizione citata, osservando come la notificazione della sentenza impugnata in data 19/3/2024 dovesse considerarsi nulla (in quanto effettuata alla parte personalmente anziché nel domicilio da questa eletto), come tale inidonea a far decorrere il termine breve ex art. 325, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1326 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.’ . Sostengono le ricorrenti che il giudice di secondo grado non avrebbe valutato il doc. 10 prodotto nel giudizio di primo grado, il quale integrerebbe accettazione della proposta contrattuale formulata da Enasarco il 9/1/2019 , finalizzata al ‘rinnovo del contratto con gli adeguamenti di canone richiesti, ma ritenendo nulla la clausola con la quale la Fondazione chiedeva, sine titulo ed, anzi, contra legem , la corresponsione di una somma di denaro ulteriore rispetto al canone e agli oneri, trattandosi, nel caso di specie, di
contratto a canone vincolato e non libero’ (pag. 20 del ricorso per cassazione).
Il secondo motivo censura la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., di cui alla domanda in via principale e degli artt. 2932 c.c. e 2931 c.c., di cui alle domande subordinate, in combinato disposto con la legge 431/1998 art. 2 comma 3 e segg. e relativi accordi con le organizzazioni di categoria, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’. Si dolgono le ricorrenti che la Corte d’appello non si sia pronunciata sulle domande ex artt. 2932 e 2931 c.c., in tal modo non dando luogo alla conclusione del contratto di locazione de quo , nonostante la rituale accettazione, da parte del conduttore, della proposta di rinnovo della locatrice (dalla quale era stata ‘espunta’ , ‘quale clausola nulla, (…) la corresponsione della cospicua somma richiesta, estranea al canone corrente, vincolato ex lege ‘ (pag. 23 del ricorso per cassazione).
Con il terzo motivo di ricorso è censurata la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 90 e ss. c.p.c., in combinato disposto con il D.M. n. 55/2014 e D.M. 147/22 e ss.mm., in relazione all’art. 360, n . 3, c.p.c.’, per non avere la Corte d’appello statuito in ordine all’invocata compensazione (anche) degli esborsi relativi al primo grado di giudizio; nonché per avere liquidato le spese processuali di secondo grado utilizzando lo scaglione di valore indeterminato, anziché quello relativo al ‘valore dichiarato calcolato sulla base del canone annuale della locazione, come dichiarato nell’atto introduttivo dell’appellante’ (pag. 24 e s. del ricorso per cassazione).
Il ricorso è improcedibile, per le ragioni già esplicitate nella proposta di definizione accelerata, che meritano integrale conferma. Nel l’epigrafe del ricorso per cassazione la sentenza impugnata si afferma ‘notificata in dat a 19/03/2024 ‘ . La copia della sentenza impugnata, prodotta all’atto del deposito del ricorso dai ricorrenti, è, però, priva della relazione di notificazione , in violazione dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.. Alla stregua della giurisprudenza di
questa Corte, ‘la previsione dell’art. 369, comma 2, c.p.c. non consente di distinguere tra il deposito della sentenza impugnata e quello della relazione di notificazione della stessa, con la conseguenza che la mancanza di uno dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso, a meno che il deposito del documento mancante avvenga entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, o detto documento sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o presente nel fascicolo d’ufficio senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione. L’improcedibilità non sussiste altresì quando il ricorso per cassazione è notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza, perdendo rilievo in questo caso la data della notifica del provvedimento impugnato’ (Cass., n. 28781/2024). Come osservato nella proposta di definizione del giudizio, nel caso di specie il termine di sessanta giorni non risulta rispettato, essendo stata pubblicata la sentenza in data 21/2/2024, a fronte di un ricorso per cassazione notificato il 17/5/2024. Non è integrata, pertanto, quella ‘prova di resistenza’ che renderebbe superflu a la conoscenza della data della notificazione.
Né può tenersi conto della deduzione secondo cui, essendo stata fatta la notifica alle parti personalmente anziché al procuratore costituito, la stessa sarebbe nulla e, come tale, inidonea a far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione. Occorre, infatti, in primo luogo premettere che ‘l a dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata contenuta nel ricorso per cassazione, quale atto processuale formale, indipendente dall’intenzione del dichiarante e produttivo degli effetti cui è destinato dalla legge nella serie procedimentale, non può essere successivamente corretta dal ricorrente con la memoria ex art. 380bis o 378 c.p.c., atteso, per un verso, che l’ordinamento processuale non prevede un istituto che consenta la correzione degli
atti processuali di parte (i quali sono normalmente ripetibili, salvo lo spirare dei termini stabiliti a pena di decadenza e il maturare delle preclusioni) e considerato, per altro verso, che la dichiarazione medesima, in quanto espressione dell'”autoresponsabilità” della parte, deve ritenersi inemendabile, rimettendosi altrimenti nella disponibilità della parte stessa l’applicabilità della sanzione dell’improcedibilità del ricorso ‘ (Cass., n. 15832/2021). Inoltre, con precipuo riguardo al caso di specie, d eve senz’altro escludersi che l’istanza di decisione ex art. 380bis , secondo comma, c.p.c., sia il ‘luogo’ processuale idoneo allo scopo, non contemplando la sua specifica finalità la possibilità di allegare circostanze nuove e tantomeno di produrre documenti idonee a comprovarle. In definitiva, deve trovare applicazione il principio di diritto espresso da questa Sezione con ordinanza 27883/2024, alla cui stregua ‘l’omesso deposito della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., a meno che essa risulti comunque nella disponibilità del giudice, perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (nella specie, la S.C. ha dichiarato improcedibile il ricorso, per essere stata la relazione di notificazione depositata tardivamente dal ricorrente con l’istanza di decisione ex art. 380bis c.p.c.) ‘ .
Mette conto di rilevare che neppure la formulazione dell ‘art. 372 , secondo comma, c.p.c. consente una diversa soluzione. La disposizione, infatti, allude solo ai documenti relativi all’ammissibilità del ricorso, espressione che – avuto riguardo al disposto del n. 2 del secondo comma dell’art. 369 c.p.c. (che parla espressamente di ‘sentenza o decisione impugnata con la relazione di notificazione’ ) -non può considerarsi idonea a comprendere la produzione di cui a tale numero, anche tenuto conto del l’uso del termine ‘documenti’ nel numero 4.
La conclusione non muterebbe anche se la nozione di documento (di cui al citato art. 372, secondo comma, c.p.c.) potesse estendersi alla copia notificata della sentenza, dal momento che il termine per il relativo deposito è previsto a pena di improcedibilità e non di inammissibilità del ricorso.
Nella specie, parte ricorrente ha, peraltro, non solo prodotto un documento nuovo, ma anche fatto un’allegazione nuova rispetto all ‘ affermazione dell ‘avvenuta notifica della sentenza impugnata alle parti personalmente: allegazione e produzione non consentite in sede di istanza di decisione.
Ne segue che il giudizio deve definirsi nei termini indicati dalla PDA. 5. Il Collegio rileva, peraltro, che, là dove fosse stato scrutinabile, il ricorso si sarebbe dovuto, peraltro, dichiarare inammissibile per le seguenti ragioni.
6. Il primo motivo deduce l’omesso esame di un documento del quale, in violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., si omette del tutto di riportare il contenuto rilevante. Inoltre, la struttura del motivo sollecita -a ben vedere – non già una diretta rilevanza decisiva del non meglio individuato fatto omesso, ma la sua valutazione in relazione ad altri documenti, così collocandosi al di fuori del perimetro normativo del n. 5 del l’art. 360 c.p.c., come ricostruito dalle sentenze delle Sezioni unite di questa Corte nn. 8053 e 8054 del 2014. In ogni caso, il documento è successivo all’intimazione di licenza per finita locazione, e non si vede come avrebbe potuto avere l’effetto di accetta zione in relazione a una proposta di rinnovo contrattuale ormai superata dall’inerzia dei ricorrenti , e comunque posta nel nulla dall’esercizio del potere di intimare la licenza medesima.
7. Il secondo motivo di ricorso vìola, a sua volta, gli oneri riproduttivi imposti dal menzionato art. 366, n. 6, c.p.c., non fornendo i ricorrenti alcuna specifica indicazione dei profili di violazione e/o falsa applicazione delle norme evocate in rubrica, e prospettando, in
ultima analisi (e in modo, peraltro, confuso) una rivalutazione dei fatti di cui alla documentazione già oggetto del precedente motivo.
8. Il terzo motivo vì ola l’art. 366 n. 6 c.p.c., poiché riferisce in modo del tutto generico del motivo di appello cui fa riferimento, di modo che non evidenzia come e dove di esso fosse stata investita la corte territoriale. Quanto al valore della controversia, va considerato che quella relativa alla licenza per finita locazione, essendo finalizzata a ottenere la declaratoria della cessazione del contratto alla futura scadenza, ha il valore corrispondere al cumulo dei canoni dal momento della introduzione della lite fino alla scadenza. D’altra parte, il motivo trascura di considerare che la causa aveva ad oggetto anche domande riconvenzionali, il cui cumulo con la domanda principale è senz’altro idoneo a giustificare l’applicazione dello scaglione indeterminabile di bassa complessità.
In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato improcedibile, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali (liquidate in dispositivo).
La conferma della proposta di definizione del ricorso impone l’ulteriore condanna ai sensi dell’art. 96, commi terzo e quarto, c.p.c. (secondo il disposto dell’art. 380 -bis c.p.c.).
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso;
condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 4. 500,00, oltre a € 200,00 per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge;
condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di € 2. 0 00,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.; condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 5 00,00, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza