Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34208 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34208 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
Oggetto:
procacciamento affari
di
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14357/2023 R.G. proposto da COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO
– RICORRENTE –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, alla INDIRIZZO
-CONTRORICORRENTE – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2614/2023, pubblicata in data 12.4.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.9.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 2614/2023, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto l’opposizione proposta dal ricorrente avverso il decreto ingiuntivo n.
17361/2023, emesso in favore di NOME COGNOME per l’importo di € 350.000,00 a titolo di compensi per il procacciamento di affari svolto in esecuzione di due scritture di incarico.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati con successiva memoria, cui ha replicato con controricorso NOME COGNOME
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritenendo l’impugnazione manifestamente improcedibile per omesso deposito della relata di notifica della sentenza di appello.
Su opposizione del ricorrente, che ha chiesto la decisione, è stata fissata l’udienza in camera di consiglio.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 115, 167 c.p.c. e 2967 c.c., per aver la Corte di merito ritenuto incontestato che il resistente fosse iscritto nell’albo dei mediatori, sebbene tale circostanza non fosse stata mai allegata dal COGNOME, non essendo i ricorrenti tenuti a contestarla espressamente.
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 2 e 6 della L. 39/1989, assumendo che la Corte distrettuale era tenuta a verificare d’ufficio l’iscrizione della controparte all’albo del mediatori.
Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. sostenendo che il giudice distrettuale, in contrasto con le stesse allegazioni del resistente, abbia escluso che questi avesse operato come procacciatore di affari, così pronunciando su domanda diversa da quella proposta.
3. Il ricorso è improcedibile.
Il ricorrente ha dichiarato che la sentenza di appello, pubblicata il 12.4.2023, è stata notificata il 17.4.2023, ma ha provveduto al deposito della relata di notifica solo al momento della formulazione della richiesta di decisione e, quindi, tardivamente, data la perentorietà del termine di cui all’art. 369, comma secondo, n. 2 c.p.c.. (Cass. s.u. 21349/2022); il ricorso è stato notificato in data
16.6.2023 a mezzo PEC, oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della decisione.
Se la sentenza impugnata è stata notificata ma il ricorrente ha depositato la sola copia autentica priva della relata di notifica, il vizio di improcedibilità deve essere rilevato anche d’ufficio, non potendo ritenersi sanato dalla mancata contestazione da parte della controricorrente (Cass. 17014/2024; Cass. 3466/2020).
L ‘art. 369 c.p.c. trova , difatti, la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio del processo.
Detta sanzione può essere evitata se: a) il giudice abbia comunque disponibilità della relata poiché prodotta dal controricorrente o contenuta nel fascicolo d’ufficio acquisito su richiesta di parte (Cass. su 10648/2017; Cass. 3466/2020; Cass. 26291/2023); b) se la notifica del ricorso sia intervenuta nel termine breve decorrente dalla pubblicazione della sentenza (Cass. 17066/2013; Cass. 11386/2019; Cass. 14839/2020; Cass. 15832/2021).
L ‘assoggettamento della domanda a termini e condizioni anche stringenti non è incompatibile con i principi del giusto processo, né introduce restrizioni irragionevoli per l’accesso alla giustizia, dovendo il processo essere governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da precise scansioni temporali; non si profila alcun contrasto con l ‘art. 6 CEDU , come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, perché la norma incide non sulla possibilità di ricorso al giudice, ma sulla prosecuzione del procedimento per l’inattività della parte in un tempo ragionevole ed attua un’equilibrata sintesi tra esigenze di certezza e di buona amministrazione nel contesto di un rimedio, quale il ricorso per cassazione, il cui rilievo nell’ordinamento è tale da giustificare regole d’accesso più rigorose (Cass. 19475/2024; Cass. s.u. 25513/2016: Cass. s.u. 10648/2017).
Le spese seguono la soccombenza.
Poiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis, cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell ‘art. 96, cod. proc. civ., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. S.u. 27433/2023; Cass. s.u. 27195/2023; Cass. s.u. 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente, nella qualità di cui in epigrafe, in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad € 6.000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, nonché di € 6.000 ,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e dell’ulteriore importo di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione