Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29932 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 29932 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29018/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME; già elettivamente domiciliato presso lo studio legale dell’avvocato COGNOME NOME ed attualmente domiciliato per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata de l proprio difensore di fiducia;
-ricorrente-
contro
PAGANO DOMENICO
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2089/2022 depositata il 23/09/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2025 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Su ricorso di NOME COGNOME, il Tribunale di Prato con decreto 703/2009 ingiungeva a NOME COGNOME il pagamento della somma di € 351.143,74 oltre accessori. Il COGNOME, a fondamento del ricorso, aveva evidenziato che: a) il COGNOME, suo cognato, aveva aperto un conto corrente presso l’agenzia di Monzuno della banca RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Credito Cooperativo, ottenendo un affidamento in forma di apertura di credito per la somma di € 300.000,00; b) lui, a garanzia di tale esposizione debitoria, aveva costituito, in favore di RAGIONE_SOCIALE, un pegno su obbligazioni di cui era titolare; c) il 24.06.2004 il COGNOME aveva ricevuto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE una lettera di messa in mora e di revoca dell’affidamento concesso, con contestuale intimazione di versare all’istituto di credito € 379.897,13; d) il COGNOME non aveva corrisposto la somma, sicché la RAGIONE_SOCIALE aveva proceduto alla vendita dei titoli dati in pegno, per un realizzo di € 351.143,74; lui, surrogandosi ex lege alla banca ai sensi degli artt. 1203 e 1204 c.c., aveva agito in regresso, in applicazione analogica degli artt. 1950 e 2871 c.c., nei confronti del debitore principale COGNOME per € 351.143,74.
Il decreto ingiuntivo veniva opposto dal COGNOME, che, in via pregiudiziale, eccepiva la litispendenza o la continenza della domanda azionata in via monitoria con identica domanda proposta in via riconvenzionale in altro e precedente giudizio, all’epoca pendente tra le stesse parti davanti (r.g.n. 534/2007), al fine di paralizzare la pretesa creditoria fatta valere in quella sede; e, nel merito, allegava un proprio controcredito per l’importo di dieci miliardi delle vecchie lire nei confronti del COGNOME, a tutela del quale aveva proposto domanda riconvenzionale, producendo una scrittura, a suo dire sottoscritta dal COGNOME, recante un riconoscimento di debito per quella somma.
Si costituiva il COGNOME, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’opposizione per tardività della notifica e, nel
merito, disconoscendo le sottoscrizioni apposte sul documento prodotto da COGNOME quale riconoscimento di debito.
Il COGNOME, senza eccepire alcunché in ordine al rapporto fondamentale, disconosceva l’autenticità della sottoscrizione del documento a base della difesa dell’opponente, chiedendo la verificazione delle firme.
Istruita la causa anche a mezzo di due consulenze tecniche di ufficio, che avevano attribuito la sottoscrizione al COGNOME, il Tribunale di Prato, con sentenza n. 729/2016, in accoglimento dell’opposizione proposta dal COGNOME, revocava il D.I. n. 703/2009; dichiarava il COGNOME creditore nei confronti di COGNOME per € 351.143,74 oltre interessi dal 03.04.2009 al 14.05.2009, così per un totale di € 352.327,05; dichiarava a sua volta il COGNOME creditore nei confronti di COGNOME per € 2.419.031,85; operava la compensazione tra i suddetti due crediti e condannava il COGNOME a pagare al COGNOME la somma di € 2.066.705,80 (pari alla differenza tra i due crediti messi in compensazione), oltre interessi legali dal 14.05.2009 al saldo; provvedeva infine sulla regolamentazione delle spese processuali e delle due espletate consulenze tecniche di ufficio.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il COGNOME.
Si costituiva il COGNOME, che resisteva all’impugnazione avversaria e chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 2089/2022, rigettava l’impugnazione.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il COGNOME, che ha articolato due motivi.
Con il primo motivo ha denunciato: <> nella parte in cui (pp. 18-
21) la corte di merito non ha considerato la censura, da lui formulata in sede di atto di citazione in appello (pp.23-27).
Con il secondo motivo ha denunciato: <> nella parte in cui la corte di merito – nell’indicare (pp. 22-23) le ragioni per le quali era pervenuta alla determinazione dell’oggetto del riconoscimento di debito nella somma pari al 50 % di Lire 18.735.602.985, corrispondenti ad € 9.676.131,42, quindi € 4.838.065,71 – avrebbe omesso di esaminare la censura, da lui formulata nel secondo motivo di appello (pp. 29-31), sulla distinzione tra norme che disciplinano la determinazione dell’oggetto contrattuale, in tesi difensiva applicabili al caso di specie, e norme che regolano la interpretazione/integrazione del contenuto negoziale.
Non ha svolto difese parte intimata.
È stata formulata proposta di definizione accelerata, cui il ricorrente ha reagito instando per la decisione del ricorso.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla data della decisione in camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è improcedibile.
Occorre partire dal dato di fatto che, nel caso di specie:
la sentenza è stata pubblicata il 23 settembre 2022 ed il ricorso è stato notificato venerdì 25 novembre, cioè quando erano già scaduti già dal precedente 22 novembre i 60 giorni, decorrenti dalla pubblicazione (scaduti il 22 novembre);
b) il ricorrente ha riferito in ricorso che la sentenza gli era stata notificata via pec lunedì 26 settembre, ma non ha allegato al ricorso la documentazione attestante la relativa notifica;
c) tale documentazione non è stata prodotta dal controricorrente (che non ha svolto difese) e neppure risulta acquisita o acquisibile mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio, riguardando un documento nell’esclusiva disponibilità della parte.
Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 21349/2022, hanno testualmente affermato: «La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un ‘fatto processuale’ – la notificazione della sentenza, appunto – idoneo a far decorrere il termine ‘breve’ di impugnazione e, quale manifestazione di ‘autoresponsabilità’ della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c.».
La successiva giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici ha precisato che:
– il deposito della mera copia autentica della sentenza impugnata priva della relazione di notificazione importa – salvo che detta documentazione non risulti prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, terzo comma, cod. proc. civ. oppure acquisita dal giudice mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio – il difetto di procedibilità del ricorso, vizio rilevabile di ufficio e non sanato dalla mancata contestazione della controricorrente, l’improcedibilità trovando la sua ragion d’essere nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la stessa
sequenza di avvio del processo per cassazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 17014/2024);
-la sanzione dell’improcedibilità contemplata dall’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia (cfr., fra le tante, Cass. n. 19475/2024);
l’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata determina l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., la quale – in base a quanto affermato dalla Corte EDU nella sentenza del 23 maggio 2024, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE c. Italia – non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, poiché integra una sanzione adeguata rispetto al fine di assicurare il rapido svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, che è preordinato alla verifica della corretta applicazione della legge ed interviene dopo la celebrazione di due gradi di giudizio deputati alla delibazione nel merito della pretesa, e non costituisce impedimento idoneo a compromettere il diritto di accesso a un tribunale (cfr., tra le tante, Cass. n. 24724/2024).
A fronte del dato normativo e dalla richiamata granitica giurisprudenza richiamata, è irrilevante quanto dedotto dal ricorrente nella memoria (presentata successivamente alla proposta di definizione anticipata, che aveva rilevato l’improcedibilità del ricorso).
È, infatti, irrilevante che il ricorso sia stato comunque notificato entro sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza, in quanto il combinato disposto di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. prevede un termine breve in caso di notifica della sentenza impugnata.
È irrilevante il fatto che nessuna eccezione sia stata svolta da parte intimata, che non ha svolto difese, in quanto il controllo della tempestività dell’impugnazione corrisponde a una esigenza pubblicistica e, pertanto, esso è sottratto alla disponibilità delle parti (cfr. Sez. Un. n. 9005/2009, nonché Cass. n. 19654/2004; n. 15232/2008; n. 25070/2010 e n. 17450/2017).
È irrilevante che, nell’elenco documenti riportato in ricorso, fosse stata espressamente indicata la data di notifica della sentenza corrispondente a quanto risultante dalla relata (allegata alla memoria, come parte integrante della stessa), come pure è irrilevante che dal ricorso per correzione di errore materiale a suo tempo diretto alla corte territoriale, allegato alla memoria, risulta la data di notifica della sentenza ad istanza di parte appellata, in quanto, in disparte il fatto che nel ricorso per correzione di errore materiale risulta solo la data di pubblicazione della sentenza impugnata (e non anche la data di notifica), alla luce della giurisprudenza sopra ripercorsa e della ratio della norma, ogni altro documento o indicazione di parte, al di fuori della tempestiva produzione della relazione di notificazione della sentenza impugnata nelle modalità su indicate, in alcun modo può sopperire all’improcedibilità del ricorso; peraltro, la produzione da parte del ricorrente, con la memoria ex art. 378 c.p.c., della copia del messaggio PEC di notifica della sentenza – che, ad ogni buon conto, neppure varrebbe a sanare l’originaria improcedibilità, per la vista indisponibilità ad opera delle parti – non è munita di attestazione di conformità né di sottoscrizione per autentica.
In definitiva – ribadito che la parte ricorrente, pur avendo riferito in ricorso che la sentenza gli era stata notificata via pec lunedì 26 settembre, non ha prodotto, nel termine perentorio previsto dall’art. 369 comma 2 numero 2 c.p.c., la copia autentica del provvedimento impugnato, ritualmente corredata dalla relata di notifica, né questa si rinviene aliunde dagli atti ritualmente acquisiti, né ricorre la speciale
esenzione dall’improcedibilità in ipotesi di notifica del ricorso entro i sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa – il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, in conformità della proposta di definizione accelerata, sulla base del seguente principio di diritto:
<>.
Le spese di lite seguono la soccombenza della parte ricorrente e, essendo la presente pronuncia conforme all’originaria proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 bis , comma 3, cod. proc. civ., la stessa deve essere condannata ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., con liquidazione delle spese e delle ulteriori somme ai detti titoli come in dispositivo, in considerazione del valore della controversia e dell’attività processuale espletata.
Infine, all’improcedibilità del ricorso non consegue la condanna alle spese, non essendo state svolte difese da parte intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali
per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
La Corte:
dichiara improcedibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 5.000, ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificat o a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2025, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Presidente NOME COGNOME