Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7641 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7641 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25564/2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME
OTTAVI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4958/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata in data 18/07/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. COGNOME NOME conveniva il fratello NOME innanzi al Tribunale di Latina, esponendo di essere proprietaria, in forza di un accordo transattivo di divisione sottoscritto con il convenuto e ratificato dall’adito Tribunale in data 21.07.1989, di taluni terreni e di un appartamento in Sabaudia, che ella aveva lasciato in uso al germano per gentile tolleranza; deduceva inoltre che il fratello era proprietario, sulla scorta del medesimo accordo divisorio, di altri immobili, dei quali però egli non s’era mai interessato, tant ‘è che era stata l’attrice ad averne da sempre avuto il possesso pacifico ed indisturbato. Ciò dedotto, la COGNOME rivendicava i propri beni, dei quali chiedeva il rilascio, e domandava l’accertamento dell’acquisto per intervenuta usucapione della proprietà degli immobili solo formalmente intestati al fratello in forza dell’atto di divisione. COGNOME NOME, nel resistere alle pretese attoree, spiegava domanda riconvenzionale, chieden do l’accertamento dell’intervenuta usucapione dell’appartamento intestato alla sorella con l’atto di divisione , del quale deduceva di avere il possesso esclusivo ed ultraventennale. Istruita la causa tramite interrogatorio formale delle parti, prova per testi e consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale: rigettava la domanda di usucapione proposta dall’attrice ; ordinava al convenuto il rilascio dei terreni assegnati alla sorella; dichiarava l’acquisto da parte del COGNOME, per intervenuta usucapione, dell’appartamento oggetto di domanda riconvenzionale.
Sul gravame dell’originaria attrice , la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza di cui in epigrafe, n. 4958/2022, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, per il resto confermata, rigettava la domanda riconvenzionale di COGNOME NOME , condannandolo al rilascio dell’appartamento in contestazione in favore della sorella. In particolare, per quel che ancora rileva nella presente sede di legittimità, la Corte distrettuale, pur ritenendo integrata la prova del corpus possessionis , escludeva ch e l’attore in via riconvenzionale avesse dato prova dell’ animus possidendi , affermando che nella fattispecie dovesse presumersi la sussistenza di un accordo tra le parti inteso a mantenere la situazione di fatto anteriore a ll’atto di divisione del 1989, in forza del quale i due fratelli avevano continuato a detenere l’uno l’appartamento assegnato all’altra. Il giudice di merito osservava inoltre che la lunga durata dell’utilizzazione esclusiva dell’appartamento da parte del COGNOME non valeva a configurare una situazione possessoria idonea all’usucapione, in quanto lo stretto vincolo di parentela tra le parti portava a ritenere che detta utilizzazione si fosse protratta con la tolleranza della proprietaria, per ragioni di solidarietà familiare.
Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso COGNOME NOME , affidandosi a due motivi.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso
Questa Corte formulava proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: « Nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle disposizioni del cod. civ. che regolano l’usucapione, in particolare artt. 1141 c.c., 1158 c.c., 1164, 1165, 1166 in relazione all’art. 2697 cod. civ. ». Il ricorrente deduce che la Corte d’Appello avrebbe errato a non ritenere provata la sussistenza dell’ animus rem sibi habendi , poiché le parti, con il più volte menzionato accordo divisorio del 1989, avrebbero inteso in realtà lasciare immutata la precedente attribuzione dei beni disposta con atto paterno del 1978, corrispondente allo stato di fatto . D’altra parte, prosegue il COGNOME, nella fattispecie, il corpus possessionis , esplicatosi ‘ in azioni, opere, modifiche costruttive dell’immobile per oltre trenta anni ‘ (cfr. pag. 10 del ricorso), avrebbe dovuto far presumere l’ animus possidendi , spettando semmai alla controparte l’onere di provare la sussistenza di una situazione di mera detenzione.
Il secondo motivo è così rubricato: « Omesso esame da parte della RAGIONE_SOCIALE di fatti decisivi per la delibazione della presente controversia, relativamente alla parte della sentenza n. 4598/2022 impugnata da COGNOME NOME, ai sensi dell’art. 360 cpc n. 3 e 5, e cioè di fatti storici principali la cui esistenza risulta dagli atti processuali di prime cure, e totalmente ignorati dai giudici del
gravame in palese violazione degli artt. 1140-1141, 1158, 2697 c.civ. ». Il COGNOME deduce la ‘ carente disamina e valutazione ‘ (cfr. pag. 12 del ricorso), da parte del giudice del merito, degli elementi probatori attestanti l’esercizio del possesso, lamentando, in particolare, che la Corte distrettuale avrebbe ignorato sia la mancata risposta della sorella all’interrogatorio for male ritualmente deferitole, sia il reale contenuto della transazione giudiziale del 1989, attestante la volontà delle parti di lasciare immutata l’attribuzione dei beni come da divisione/donazione paterna del 1978.
La proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. pro. civ. comunicata alle parti è del seguente tenore: «inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso avverso pronuncia di rigetto di domanda di usucapione.
Primo e secondo motivo: inammissibili, o comunque manifestamente infondati, in quanto essi contesta la valutazione condotta dal giudice di merito in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’usucapione. La Corte di Appello, riformando la decisione del Tribunale, ha ritenuto in particolare dimostrato che con l’accordo raggiunto tra le parti e ratificato dal Tribunale nel 1989 l’appartamento sito al piano terra fosse stato assegnato a COGNOME NOME e quello al primo piano a COGNOME NOME; ciascuna delle parti, tuttavia, aveva proseguito ad occupare l’alloggio assegnato all’altra, evidentemente per motivi di tolleranza giustificati dal rapporto familiare esistente tra i due fratelli, ed ha conseguentemente escluso la sussistenza del requisito dell ‘animus possidendi. Il ricorrente attinge tale ricostruzione, cui contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto
che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili co n la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Né si configura alcun profilo di omesso esame di fatti decisivi -denunciato con il secondo motivo di ricorso -in quanto la censura attiene alla valutazione delle risultanze della prova. Sul punto, è opportuno ribadire che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto s torico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi
intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso i ndicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio. Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830)».
Nella memoria illustrativa il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
Il Collegio, pur condividendo le conclusioni di cui alla proposta comunicata al ricorrente, rileva preliminarmente che il ricorso è improcedibile.
COGNOME NOME , infatti, pur affermando che la sentenza impugnata è stata ‘ notificata tramite posta elettronica certificata in
data 19/07/2022 dall’AVV_NOTAIO difensore della COGNOME RAGIONE_SOCIALE ‘ (cfr. pag. 1 del ricorso), non ha prodotto la copia del provvedimento munita della relazione di notificazione, rinvenendosi nel fascicolo solamente copia autentica della sentenza della Corte d’Appello (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 21349 del 06/07/2022, Rv. 665188. In senso conforme, cfr. Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874; Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874).
L’omesso deposito del provvedimento impugnato munito di relata , una volta decorso il termine di cui all’art. 369 , comma 1, cod. proc. civ., non può più essere ovviato dal ricorrente, nemmeno con le forme di cui all’art. 372 cod. proc. civ., in quanto ‘ La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c. ‘ (cfr. Cass . Sez. U. Sentenza n. 21349 del 06/07/2022, Rv. 665188).
Nella fattispecie, peraltro, la relazione di notificazione della sentenza oggetto di ricorso non risulta prodotta nemmeno dalla parte controricorrente.
Inoltre, il vizio in questione non è suscettibile di sanatoria per effetto della non contestazione della controparte, essendo rilevabile d’ufficio (cfr. ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 3466 del 12/02/2020, Rv. 656775).
Da ultimo, la notifica del ricorso risulta effettuata in data 18.10.2022, oltre il termine ‘breve’ di giorni 60 dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata (18.07.2022); termine scaduto, tenendo conto del periodo di sospensione feriale, in data 17.10.2022 (lunedì).
In conclusione, a fronte di tali risultanze, si impone la declaratoria di improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369, comma secondo, cod. proc. civ., intendendo il Collegio assicurare continuità all’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘ In tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell’adempimento del dovere di controllare la tempestività dell’impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l’impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all’art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente
l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all’art.372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall’art.369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l’improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio ‘ (cfr. Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, Rv. 661874).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui in dispositivo in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Poiché il ricorso non è stato deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., non sussistono i presupposti di cui al terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., per applicare il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6000,00
(seimila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della 2^ Sezione