Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7339 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 7339 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 17544 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da
COGNOME Consiglia (C.F.: MGL CSG 44D48 F839J)
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata- per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Roma n. 2989/2021, pubblicata in data 23 aprile 2021 (e che si assume notificata in data 3 maggio 2021);
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 5 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME uditi:
il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per la dichiarazione di improcedibilità del ricorso, come da requisitoria scritta in atti;
l’avvocato NOME COGNOME per la ricorrente.
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in virtù di un contratto di assicurazione contro i danni, per ottenere l’indennizzo dovuto in seguito al furto di un autoveicolo di sua proprietà.
La domanda è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Roma, che ha condannato la società convenuta a pagare all’attrice l’importo di 31.500,00, oltre accessori .
La Corte d’a ppello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece integralmente rigettata .
Ricorre la COGNOME, sulla base di cinque motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la società intimata.
È stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c. e parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
La Corte ha, peraltro, successivamente disposto la trattazione in pubblica udienza; il pubblico ministero ha depositato requisitoria scritta e parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
È pregiudiziale ed assorbente -in quanto attinente alla procedibilità del ricorso -il rilievo del mancato regolare e tempestivo deposito, da parte della ricorrente, della relazione di notificazione del provvedimento impugnato, in violazione dell’art. 369 c.p.c..
La stessa ricorrente dichiara espressamente -nel ricorso -che la sentenza impugnata, la quale risulta pronunciata in data 23 aprile 2021, le sarebbe stata notificata in data 3 maggio 2021, a mezzo P.E.C..
Unitamente al ricorso, notificato a mezzo P.E.C. in data 1° luglio 2021 e depositato in data 6 luglio 2021, in modalità analogica, ha prodotto (sempre in modalità analogica) una copia cartacea
Ric. n. 17544/2021 – Sez. 3 – Ud. 5 marzo 2025 – Sentenza – Pagina 2 di 10
del provvedimento impugnato, con certificazione di conformità all’originale digitale contenuto nel fascicolo telematico; ha, inoltre, prodotto una copia cartacea della relazione di notificazione di tale provvedimento (avvenuta, come già chiarito, a mezzo P.E.C.), nonché una copia del relativo messaggio di posta elettronica, ma senza alcuna attestazione di conformità di tali copie cartacee agli originali digitali ricevuti a mezzo posta elettronica. In base all’indirizzo sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, « il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall ‘ ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della legge n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l ‘ improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all ‘ originale notificatogli; nell ‘ ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l ‘ onere di depositare l ‘ asseverazione di conformità all ‘ originale della copia analogica, entro l ‘ udienza di discussione o l ‘ adunanza in camera di consiglio » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 -01).
Il ricorso non risulta notificato nei sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento impugnato (data di pubblicazione della sentenza: 23 aprile 2021; data di notificazione del ricorso: 1° luglio 2021); la relazione di notificazione di quest’ultimo non risulta prodotta neanche dalla controparte, che è rimasta intimata. L ‘a ttestazione di conformità all ‘ originale della copia
analogica dalla relazione di notificazione della sentenza non è stata prodotta dalla parte ricorrente neanche entro l’adunanza in camera di consiglio originariamente fissata per la trattazione del ricorso.
Non ricorre, quindi, nessuna delle ipotesi nelle quali, secondo la giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 -02, già richiamata; conf.: Sez. 1, Ordinanza n. 3727 del 12/02/2021, Rv. 660556 -01; Cass., Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018, Rv. 650462 -01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 27480 del 30/10/2018, Rv. 651336 – 01), non vi sarebbe spazio per la sanzione dell’improcedibi lità.
Il ricorso è da ritenere, pertanto, improcedibile.
2. La conclusione appena esposta, per come applicabile al caso di specie, deve ritenersi pienamente compatibile con le indicazioni emergenti dalla sentenza pronunciata in data 23 maggio 2024, dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), in causa NOME ed altri contro Italia ( applications n. 37943/17 and 2 others ), di condanna della Repubblica Italiana a risarcire, in favore di alcuni ricorrenti, i danni derivanti dalla dichiarazione di improcedibilità di due ricorsi per cassazione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., proprio in ipotesi di mancata produzione dell’attestazione di conformità agli originali digitali delle relazioni di notificazione delle sentenze impugnate, sulla base della ravvisata violazione dell’art. 6, § 1, della relativa Convenzione, per la ritenuta lesione del loro diritto di accesso ad un tribunale.
Deve, infatti, osservarsi, in proposito, che:
a) i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite in ordine alla necessità e, al tempo stesso, alla possibilità per la parte ricorrente di produrre, entro l’adunanza camerale o la pubblica udienza, l’attestazione di conformità delle copie analogiche agli originali digitali dei documenti di cui l’art. 369 c.p.c. impone il deposito contestuale al ricorso, a pena di improcedibilità dello
stesso, quanto meno in caso di mancata costituzione delle controparti (ovvero di contestazioni di queste ultime sulla conformità delle copie prodotte), si sono ampiamente consolidati sin dal 2019, onde la parte ricorrente avrebbe avuto la (più che agevole) possibilità di adempiere ai predetti oneri, semplicemente depositando una siffatta attestazione, non solo al momento dell’iscrizione a ruolo del ricorso (nel luglio 2021), ma anche successivamente, fino al maggio 2024 (precisamente, fino alla data in cui è stata fissata l’adunanza camerale per la decisione del ricorso stesso), cioè per un lasso di tempo di quasi tre anni; e a tanto non ha provveduto, nonostante la ormai chiara e ferma giurisprudenza di questa Corte in proposito, che non ha più subito ulteriori oscillazioni;
b) essendo l’iscrizione a ruolo del ricorso avvenuta nel luglio 2021, in realtà la parte ricorrente ben avrebbe potuto produrre tempestivamente, sin dal momento dell’instaurazione del giudizio di legittimità, l’originale digitale della relazione di notificazione della sentenza impugnata (avvenuta a mezzo P.E.C.), in modalità telematica (e ciò anche a non voler ritenere addirittura obbligatoria tale forma di deposito, in considerazione del fatto che, ai sensi dell’art. 9, comm i 1bis e 1ter , della legge 21 gennaio 1994 n. 53, in tema di notificazioni eseguite dagli avvocati, ai fini della prova della notificazione a mezzo P.E.C. è consentito il deposito di copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna, con attestazione di conformità ai documenti informatici, solo « qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell ‘ atto notificato »), il che avrebbe in radice reso superflua l’attestazione di conformità all’originale della copia cartacea: c on provvedimento in data 27 gennaio 2021 del Direttore Generale dei Sistemi Informativi e Automatizzati (‘DGSIA’) del Ministero della Giustizia (emanato in base all’art. 221 , comma 5, del decreto-
legge n. 34 del 2020 convertito con modificazioni in legge n. 77 del 2020), infatti, è stata accertata, a decorrere dal 31 marzo 2021, presso la Corte Suprema di Cassazione, l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche nonché la funzionalità dei servizi di comunicazione del settore civile per il deposito telematico degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti; pertanto, la produzione della relazione di notificazione della sentenza impugnata nel suo originale formato digitale era certamente possibile, se non addirittura obbligatoria.
E non giova alla ricorrente la condotta della controparte, poiché questa rimane intimata, integrando così la fattispecie, prevista dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 -02, già richiam ata), di ineludibilità del deposito dell’asseverazione entro l’adunanza o l’udienza fissata per la trattazione del ricorso.
Tanto evidenziato, il mancato regolare deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 369 c.p.c. è, nel caso di specie, certamente da imputare a grave ed inescusabile negligenza del difensore della parte ricorrente, il quale non solo avrebbe potuto depositare i documenti nell’originale formato digitale, ma, in ogni caso, di certo non avrebbe potuto ignorare la necessità di provvedere al deposito dell’attestazione di conformità a questi ultimi della relativa copia cartacea entro la data dell’adunanza camerale fissata per la decisione del ricorso, in quanto tale necessità era chiaramente e inequivocabilmente sancita da un indirizzo di questa Suprema Corte ormai da anni consolidato , a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del 2019, e mai successivamente contraddetto, rispetto al quale non era possibile residuasse alcuna incertezza. 3. D’altronde, proprio in applicazione del predetto indirizzo sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte (cui le sezioni semplici, di regola, necessariamente si conformano), non sarebbe stata
possibile l’eventuale concessione alla parte ricorrente di un ulteriore termine, a tal fine, dopo la data in origine fissata per la decisione del ricorso in camera di consiglio (nel maggio 2024). Si sarebbe trattato, infatti, della concessione di un ulteriore termine, o di una rimessione nel medesimo, non previste da alcuna disposizione di legge, al fine dello svolgimento di un’attività che condiziona la possibilità di decidere il merito del ricorso e che, pertanto, deve essere necessariamente compiuta prima della data fissata per la decisione, e neanche giustificate da una situazione di incertezza interpretativa o dalla necessità di adeguarsi ad un recente mutamento normativo, ovvero dalla difficol tà di provvedere all’adempimento omesso.
Né -a fortiori -potrebbe, ovviamente, ammettersi il riconoscimento della possibilità, per la medesima parte ricorrente, di produrre la relazione di notificazione della sentenza in originale digitale e/o l’attestazione di conformità all’originale digitale della copia cartacea in origine depositata, in vista della nuova odierna udienza pubblica -che è stata fissata proprio ed esclusivamente per la decisione, in forma solenne e con la partecipazione del pubblico ministero, della questione nomofilattica di diritto in esame -il che sarebbe, sul piano logico e giuridico, una conclusione in sostanza non dissimile da quella della concessione di quel termine.
In altri termini, è del tutto idonea, per colmare la pure sussistente originaria lacuna della carenza in atti di quell’asseverazione, la limitazione del relativo intervallo fino alla prima delle adunanze o udienze ritualmente fissate per trattare il ricorso, non potendo avvantaggiarsi la parte inottemperante, salvi i casi di rimessione in termini (e, quindi, di non imputabilità della relativa inottemperanza), dei differimenti disposti per l’ordinario sviluppo del giudizio di legittimità: come è avvenuto nella specie, in cui l’importanza della questione è stata reputata tale da esigere la pubblica udienza, per la quale, tuttavia, non sono
stati somministrati argomenti od elementi per superare i già ricordati approdi delle Sezioni Unite del 2019.
Inoltre, va considerato che sia un eventuale invito a depositare l’attestazione non prodotta, con concessione di termine a tal fine, all’esito della trattazione del ricorso (in udienza pubblica o adunanza camerale), con rinvio della decisione e prolungamento dei tempi del processo, sia (analogamente) l’eventuale riconoscimento della ammissibilità del deposito della stessa (ovvero della relazione di notificazione della sentenza nel suo originale digitale) successivamente alla pubblica udienza o all’adunanza camerale originariamente fissata per la decisione del ricorso, costituirebbero modalità operative in palese contrasto con i chiarissimi principi di diritto enunciati in proposito dalle Sezioni Unite di questa Corte, che determinerebbero il superamento di una decadenza derivante dalla mancata osservanza di un termine perentorio, finalizzato all’ordinato sviluppo dell’intero giudizio di legittimità, ad ingiustificato vantaggio di una delle parti in causa e ad iniquo detrimento dell’altra parte .
Siffatte opzioni operative condurrebbero, infine, anche a causa del complessivo carico di ricorsi da trattare davanti a questa Corte Suprema, ad un inevitabile e non indifferente prolungamento della durata dei giudizi di legittimità, in violazione del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, ma pure ad una scorretta violazione dell’affidamento delle controparti (quand’anche rimaste intimate, vista la natura ufficiosa dell’impulso del giudizio di legittimità) quanto al rispetto dei termini a tal fine previsti e delle conseguenze della loro inottemperanza, senza che l’esito contrario (di improcedibilità del ricorso, per il caso che la parte non abbia adempiuto agli oneri su di essa gravanti, nei termini indicati) possa ritenersi eccessivamente gravoso e pregiudizievole: tanto è reso evidente soprattutto nella specie, considerato che la ricorrente ha avuto circa tre anni per adempiere agli oneri in questione,
peraltro di più che agevole natura e chiaramente noti e conoscibili, in quanto ampiamente e dettagliatamente chiariti da una ormai consolidata e ferma giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, e non lo ha fatto senza alcuna plausibile giustificazione.
È opportuno, altresì, precisare che le considerazioni che hanno condotto alla già richiamata condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani (in causa NOME ed altri contro Italia) sono state svolte facendo riferimento al precedente, originario e più rigoroso indirizzo di questa Corte, secondo il quale l’attestazione di conformità all’originale digitale della copia cartacea della relazione di notificazione della sentenza impugnata doveva necessariamente essere prodotta entro il te rmine perentorio di cui all’art. 369 c.p.c. e l’omissione determinava l’improcedibilità del ricorso anche a prescindere dalla costituzione e dalle eventuali contestazioni delle controparti, mentre i più elastici principi espressi dalle Sezioni Unite con la già richiamata sentenza n. 8312 del 2019, secondo i quali la produzione dell’attestazione di conformità non è necessaria in caso di costituzione di tutti gli intimati e di omessa contestazione della stessa conformità e, anche in caso contrario, è sempre sanabile da una produzione successiva, purché anteriore alla data della adunanza o della pubblica udienza originariamente fissata per la decisione del ricorso (principi che comportano le conseguenze in precedenza esposte), sono stati richiamati (al paragrafo 100 della motivazione della decisione in esame) dalla stessa Corte Europea dei Diritti Umani, la quale li ha sostanzialmente qualificati come principi sufficientemente proporzionati al fine del rispetto della tutela del diritto di difesa della parte ricorrente.
La corretta applicazione di tali principi -almeno e in quanto una volta consolidati e, quindi, da ritenersi ben noti ai difensori ammessi al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori -deve
ritenersi idonea, in altri termini, secondo le indicazioni provenienti dalla stessa Corte Europea dei Diritti Umani, ad assorbire anche la prospettata possibilità di un invito alla parte a produrre l’attestazione di conformità mancante: essi costituiscono, dunque, di per sé, una adeguata tutela dei diritti delle parti ricorrenti ad ottenere una pronuncia di merito sulle proprie istanze giudiziarie.
La Corte ritiene, in definitiva, la sanzione di improcedibilità del ricorso, oltre che imposta dalla normativa vigente e dalla necessità di conformarsi all’indirizzo indicato dalle Sezioni Unite (neppure rilevandosi elementi o argomenti tali da rimetterlo in discussione), del tutto congrua per la fattispecie in esame, anche alla luce dei principi nelle more espressi dalla Corte EDU. Non è nemmeno necessario, stante il carattere assorbente dei rilievi fin qui svolti, dare conto dei singoli motivi del ricorso.
Il ricorso è dichiarato improcedibile.
Nulla è a dirsi in ordine alle spese del giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara improcedibile il ricorso.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-