Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25190 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25190 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 29845/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo difensore, in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al controricorso, la quale dichiara di voler ricevere ogni comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2388/2020, depositata in data 15 settembre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/7/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ora fuse nella RAGIONE_SOCIALE, erano titolari nel periodo 20072009 di due strutture in provincia di RAGIONE_SOCIALE accreditate con il servizio sanitario nazionale per la specialistica ambulatoriale e, limitatamente al RAGIONE_SOCIALE, per la diagnostica strumentale/risonanza magnetica.
Poiché le due strutture erano site in prossimità del confine tra RAGIONE_SOCIALE ed Emilia-Romagna e, vigendo per i pazienti il principio di libertà nella scelta del luogo di cura, tali società erogavano ordinariamente una parte delle proprie prestazioni sanitarie «in convenzione», in regime di accreditamento, anche ad utenti provenienti dall’Emilia-Romagna («mobilità RAGIONE_SOCIALE passiva»).
Il compenso delle prestazioni fornite dalle singole strutture accreditate era posto a carico del servizio sanitario della regione in cui le strutture operavano e, in tale quadro normativo, ciascuna regione risultava onerata anche del costo delle prestazioni erogate
sul proprio territorio a favore di pazienti di provenienza extraregionale; tuttavia, in tal caso, le spese delle prestazioni erogate a favore di pazienti provenienti da altra regione erano successivamente restituite o «compensate» dalla regione di provenienza del paziente alla regione erogatrice.
Erano stati dunque sottoscritti accordi tra regioni di cui all’art. 8sexies , comma 8, del d.lgs. art. 502 del 1992, al fine di evitare «squilibri finanziari tra sistemi regionali diversi».
Gli accordi interregionali erano finalizzati «a favorire l’erogazione in loco delle prestazioni assistenziali o specialistiche», oltre che a «promuovere l’autosufficienza RAGIONE_SOCIALE di ciascuna regione».
A tal fine erano stati fissati dei «tetti» reciproci di remunerazione delle prestazioni relative alla «mobilità passiva» tra regioni, cui si doveva collegare un sistema di ricadute economiche sulle strutture («penalità») volte a disincentivare la programmazione RAGIONE_SOCIALE di prestazioni erogate a residenti in altre regioni.
Le regioni, dunque, si impegnavano a limitare entro un certo tetto «i rimborsi reciproci della c.d. mobilità passiva».
Era stato, quindi, stipulato un accordo tra il RAGIONE_SOCIALE e l’EmiliaRomagna in data 2/8/2007, in base al quale per le prestazioni di specialistica ambulatoriale «il tetto economico per la reciproca mobilità passiva nel periodo di validità è rappresentato dal dato consolidato dell’anno 2006».
Inoltre, quanto alle prestazioni di diagnostica strumentale/risonanze magnetiche, l’accordo prevedeva che «il numero di prestazioni erogate a favore di cittadini dell’Emilia Romagna da ritenersi non incrementabile in relazione al fabbisogno: pertanto il tetto di produzione ed economico viene fissato nello standard dell’anno 2006».
Tale tetto poteva essere modificato solo su specifica richiesta dell’Emilia-Romagna.
Ad avviso delle due società, affinché il meccanismo sortisse i suoi effetti, le regioni contraenti avrebbero dovuto regolamentare, al proprio interno, i rapporti con le strutture operanti nel territorio di ciascuna, «in modo che la programmazione delle prestazioni effettuate dalle strutture pubbliche o private accreditate, a fronte della prospettiva di una riduzione o di un azzeramento dei relativi corrispettivi loro riconosciuti, inducesse scelte in linea con gli obiettivi di contenimento della mobilità RAGIONE_SOCIALE passiva definiti a livello regionale».
Nell’accordo si prevedeva anche che «è responsabilità di ciascuna regione al proprio interno fare ricadere le penalità che derivano dall’applicazione del presente accordo sulle strutture erogatrici, siano esse pubbliche o private, responsabilizzando pertanto direttamente i produttori al rispetto degli obiettivi definiti».
La riduzione o la mancata remunerazione delle prestazioni effettuate in eccedenza rispetto ai «tetti» avrebbe potuto operare nei confronti delle singole strutture sanitarie – ad avviso delle società –
: 1) solo ed esclusivamente in caso di previo accertamento dello sforamento del dato consolidato regionale di riferimento; 2) a seguito di una adeguata previa concertazione con le strutture dei meccanismi di «penalità» relativi delle prestazioni di mobilità passiva.
Pur non assumendo alcun provvedimento attuativo interno per regolamentare le ricadute economiche per le singole strutture, in relazione al limite stabilito su base regionale consolidata, la RAGIONE_SOCIALE, in data 24/11/2009, inviava al RAGIONE_SOCIALE una prima nota con riferimento alle prestazioni sanitarie erogate per l’anno 2008 e, l’anno successivo, in data 5/8/2010, una seconda nota di analogo
tenore riferita all’anno 2009, contestando alla società «uno scostamento rispetto ai tetti calcolati con riferimento all’anno 2006» delle prestazioni di diagnostica strumentale/risonanze magnetiche erogate, chiedendo la restituzione di quanto in eccedenza, pari ad euro 284.582,00 per il 2008 ed euro 260.762,85 per il 2009.
Analogamente, la RAGIONE_SOCIALE inviava una nota in data 5/8/2010 al RAGIONE_SOCIALE, per aver superato il tetto previsto per l’attività specialistica ambulatoriale, in relazione all’anno 2009, chiedendo la restituzione della somma di euro 17.750,00.
Le due società agivano con atto di citazione notificato il 2/11/2010 nei confronti dall’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo, per quel che ancora qui rileva, l’accertamento negativo dei predetti crediti.
In particolare, evidenziavano:1) che non era stato preso in esame il dato consolidato regionale della mobilità passiva nei confronti dell’Emilia-Romagna, confrontandolo con il dato analogo dell’anno 2006, con la dimostrazione del superamento; 2) che la contestazione del superamento dei tetti era stata illegittimamente compiuta direttamente in relazione a ciascuna singola struttura; 3) che solo il superamento dei tetti di mobilità RAGIONE_SOCIALE a livello consolidato regionale avrebbe consentito di esaminare le ricadute economiche per la remunerazione delle prestazioni eccedenti.
L’RAGIONE_SOCIALE (allora RAGIONE_SOCIALE) sosteneva invece che il raffronto dei dati di mobilità doveva essere effettuato «azienda per azienda» e «struttura per struttura», senza alcun accertamento dei dati su base consolidata regionale. Eccepiva, inoltre, «la presunta mancata contestazione, da parte delle attrici, del quantum della pretesa restitutoria». Chiedeva, quindi, in via riconvenzionale, l’accertamento della debenza degli importi dedotti.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE con sentenza art. 111 del 2018, preliminarmente, reputava di fare propria l’interpretazione
dell’accordo quadro del 2/8/2007 stipulato tra la Regione EmiliaRomagna la Regione RAGIONE_SOCIALE.
L’accordo era immediatamente operativo, le soglie erogabili dalle singole strutture si applicavano a prescindere dal dato complessivo di mobilità RAGIONE_SOCIALE regionale e gli scostamenti dovevano imputarsi ai singoli operatori in proporzione agli sforamenti dei tetti di ciascuna. Non erano consentite compensazioni tra strutture della regione stessa.
Accoglieva, però, la domanda delle società attrici, non avendo l’RAGIONE_SOCIALE soddisfatto l’onere della prova.
Infatti, «quanto a RAGIONE_SOCIALE la convenuta non ha fornito il dato relativo all’esatto numero di prestazioni, relative all’area della diagnostica strumentale/risonanze magnetiche, erogate dalla società attrice in favore di cittadini dell’Emilia-Romagna nell’anno 2006 e del relativo valore, il cui asserito superamento da parte dell’attrice è posta a fondamento della domanda della convenuta». Non vi era dunque prova «di quale esattamente il tetto massimo relativo all’area della diagnostica strumentale-risonanze magnetiche, di cui la convenuta allega il superamento da parte della società RAGIONE_SOCIALE»
inoltre, quanto al RAGIONE_SOCIALE, il tribunale osservava che «mancano i dati relativi alle prestazioni di specialistica ambulatoriale effettivamente erogate dalla società in favore dei cittadini dell’Emilia-Romagna nell’anno 2009».
Il tribunale, dunque, rigettava la domanda riconvenzionale formulata dalla RAGIONE_SOCIALE ed accoglieva la domanda attore ha di accertamento negativo dei crediti.
Veniva rigettata, in quanto generica ed indeterminata, l’ulteriore domanda formulata dalle attrici in relazione all’accertamento
negativo anche di eventuali successive pretese dell’RAGIONE_SOCIALE che si fossero basate sul medesimo accordo interregionale.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale la RAGIONE_SOCIALE ed appello incidentale le due società.
6.1. In particolare (primo motivo appello principale), la RAGIONE_SOCIALE rilevava che le società non avevano contestato i dati numerici, ma esclusivamente «la possibilità di effettuare il calcolo a prescindere dalla formazione di un dato a livello consolidato regionale». Pertanto, «l’esistenza e l’entità degli sforamenti non era stata contestata».
6.2. Inoltre (secondo motivo appello principale), deduceva la non corretta applicazione dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova.
6.3. Rilevava infine (terzo motivo appello principale) che, qualora i dati contenuti nei documenti non fossero stati ‘presi per buoni’, «avrebbero dovuto essere accolte le richieste di esibizione e disposta una consulenza tecnica».
7.1. Nel primo motivo di appello incidentale le società rilevavano che il tetto economico per la reciproca compensazione nella mobilità passiva, nel biennio 2007-2009, era rappresentato dalle prestazioni di specialistica ambulatoriale in base al dato consolidato dell’anno 2006 e, quanto alle prestazioni di diagnostica strumentale, sulla scorta dello standard dell’anno 2006.
Lamentavano, quindi, l’errata interpretazione da parte del giudice di prime cure dell’accordo quadro del 2/8/2007.
7.2. Con il secondo motivo di appello incidentale le società si dolevano del mancato accoglimento della richiesta relativa a qualsiasi altra obbligazione di restituzione sussistente fra le parti, ritenuta generica dal tribunale.
La Corte d’appello di Venezia accoglieva il gravame principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre rigettava l’appello incidentale.
8.1. In particolare, accoglieva il primo motivo di appello principale, in quanto il tribunale aveva erroneamente ritenuto che l’RAGIONE_SOCIALE non avesse soddisfatto l’onere della prova.
Al contrario, ad avviso della Corte territoriale, il tribunale non aveva tratto le dovute conseguenze dall’assenza di una contestazione specifica sul quantum preteso.
Per la Corte d’appello non v’era stata alcuna specifica contestazione da parte delle due società del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE.
La controversia riguardava esclusivamente «l’individuazione di un tetto complessivo regionale» quale condizione «per applicare le regressioni tariffarie».
Precisava la Corte d’appello che «almeno entro i termini delle preclusioni processuali, non vi erano state contestazioni: a) su quali fossero state le prestazioni erogate dal RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE residenti nella Regione EmiliaRomagna; b) sulle tariffe applicate dall’RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di queste prestazioni; c) sull’entità di riduzione delle tariffe per l’ipotesi di applicazione delle regressioni-riduzioni tariffarie e di conseguenza sugli importi da restituire».
Pertanto, «anche l’entità del credito eventualmente riconoscibile necessitava di specifica contestazione».
Ad avviso della Corte territoriale «le strutture private si erano limitate a contestare il debito – pur essendo nelle condizioni di svolgere una critica più ampia – esclusivamente sotto il profilo dell’esistenza del presupposto giuridico delle regressioni tariffarie», ma non avevano contestato i conteggi delle regressioni tariffarie,
delle remunerazioni ricevute per tali prestazioni. Neppure avevano contestato i conteggi «delle remunerazioni ricevute per tali prestazioni e di quali minori remunerazioni fossero previste dalle riduzioni tariffarie».
Pertanto, «l’art. 115 c.p.c. onerava la parte di compiere un passo ulteriore, di effettuare una specifica contestazione del credito dell’RAGIONE_SOCIALE».
8.2. La Corte d’appello, quindi, pur rilevando che l’accoglimento del primo motivo di appello principale era assorbente rispetto al secondo ed al terzo motivo, con i quali era stata contestata la non corretta applicazione dei principi in tema di distribuzione dell’onere della prova e la decisione sulle istanze istruttorie, si soffermava sull’appello incidentale subordinato di COGNOME, relativo all’interpretazione del contratto quadro del 2/8/2007.
Per la Corte d’appello il dato letterale dell’accordo era meno significativo di quanto prospettato dalla difesa dell’appellata, in quanto con riferimento all’attività ambulatoriale si faceva riferimento allo standard dell’anno 2006, e non ad un dato consolidato.
Inoltre, i tetti di spesa, per il principio di autoresponsabilità, dovevano riguardare, evitando compensazioni fra le diverse strutture del territorio, anche la singola struttura accreditata.
Diversamente, una struttura RAGIONE_SOCIALE o rischierebbe di essere penalizzata dall’eccessiva spesa attribuibile ad altre strutture o quanto meno verrebbe favorita dal comportamento virtuoso di altre.
Pertanto, una struttura, pur non rispettando il tetto di spesa del 2006, avrebbe potuto trarre un vantaggio dal contenimento della spesa attuato da altre strutture sanitarie.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, scaturita a seguito di fusione della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
Ha resisteva con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Il AVV_NOTAIO delegato ha depositato proposta di definizione accelerata della controversia, stante l’improcedibilità del ricorso per cassazione.
La società ricorrente ha insistito per la decisione ed ha depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce « Error in iudicando ex art. 360, primo comma, art. 3, c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 115, primo comma, c.p.c., e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Errata ricostruzione del thema decidendum e conseguente mancato rilievo dell’inadempimento dell’onere probatorio gravante sulla RAGIONE_SOCIALE convenuta».
In particolare, per la ricorrente la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 115 c.p.c., che è norma relativa alla disponibilità della prova, per delimitare, invece, l’ambito ed il perimetro della materia del contendere, utilizzandolo ai fini dell’individuazione del thema decidendum .
In particolare, l’errore derivava dalla omessa considerazione che: 1) le due strutture agivano proprio per l’accertamento negativo dei crediti, con relativa contestazione specifica del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE; 2) nella comparsa di costituzione di COGNOME si faceva espresso riferimento ad un omesso riconoscimento da parte delle società del credito dell’RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce « Error in iudicando ex art. 360, primo comma, art. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. e dell’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. Errata ricostruzione del thema decidendum ».
La Corte d’appello ha ritenuto che «almeno entro i termini delle preclusioni processuali» non vi erano state specifiche contestazioni da parte delle due società, le quali non avevano contestato i conteggi delle regressioni tariffarie.
In realtà, la specifica contestazione era stata effettuata, oltre che nell’atto di citazione, anche nella prima memoria ex art. 183, 6º comma, c.p.c., e dunque nel rispetto delle preclusioni processuali.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta « Error in iudicando ex art. 360, primo comma, art. 5, c.p.c.: omesso esame del contenuto testuale dell’atto di citazione e della memoria ex art. 183, sesto comma, art. 1, c.p.c. di parte attrice in primo grado».
Non sarebbe stato esaminato un fatto che era stato oggetto di discussione tra le parti e certamente decisivo ai fini del giudizio, ossia «se le strutture attrici avessero, o meno, nelle proprie memorie di primo grado, materialmente effettuato delle contestazioni in relazione al quantum delle pretese creditorie dell’RAGIONE_SOCIALE».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce « Error in iudicando ex art. 360, primo comma, art. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 seguenti e 1371 c.c. Errata interpretazione e applicazione dell’accordo quadro».
Con riferimento al secondo capo della sentenza, riguardante la ritenuta sussistenza del presupposto giuridico delle pretese creditorie avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente evidenzia l’erronea interpretazione dell’accordo del 2/8/2007.
L’interpretazione del giudice d’appello sarebbe smentita dal contenuto letterale dell’accordo – quadro, in quanto, con riferimento all’attività specialistica ambulatoriale, si fa espresso riferimento al «dato consolidato dell’anno 2006», come tetto di reciproca mobilità passiva regionale.
Solo con riferimento alla categoria della diagnostica strumentalerisonanze magnetiche, si faceva riferimento allo «standard dell’anno 2006». Tale espressione avrebbe lo stesso identico significato di quella precedente.
Inoltre, le strutture sanitarie non avevano partecipato all’accordo – quadro siglato dalle regioni.
L’interpretazione offerta dalla sentenza d’appello sarebbe illegittima per violazione di tutti i canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 seguenti c.c.
4.1. Il ricorso per cassazione è improcedibile.
4.2. Infatti, nel ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE ha dedotto che la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2388/2020, pubblicata in data 15/9/2020, era stata notificata il 25/9/2020.
Analoga dichiarazione – di notifica avvenuta il 25/9/2020 – è stata resa anche dalla controricorrente.
Tuttavia, la ricorrente non ha provveduto al deposito della relativa relazione di notificazione.
Neppure la controricorrente ha adempiuto a tale adempimento.
4.3. Trova applicazione, allora, il principio giurisprudenziale per cui «la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, contenuta nel ricorso per cassazione, costituisce l’attestazione di un ‘fatto processuale’ – l’avvenuta notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine ‘breve’ di impugnazione e, in quanto manifestazione della ‘autoresponsabilità’ della parte, la impegna a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere, in capo ad essa, ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., l’onere di depositare, nel termine ivi previsto, copia della sentenza munita della relata di notifica ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a
mezzo pec, senza possibilità di recupero della omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento di cui all’art. 372 c.p.c.» (Cass., Sez. U., 6/7/2022, n. 21349).
Si è precisato che va esclusa la possibilità di applicare la sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo pec, ove queste ultime risultino comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente nel termine di cui all’articolo 370, comma 3, c.p.c., ovvero eventualmente acquisite – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve di impugnazione ex articolo 325 c.p.c.) -mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass., Sez. U., n. 21349 del 2022).
4.4. Invero, in tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell’adempimento del dovere di controllare la tempestività dell’impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l’impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle
parti o del fascicolo d’ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all’art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all’art.372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall’art.369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l’improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio (Cass. 15832/2021). Ipotesi queste motivatamente escluse dalla PDA. Confermerei la proposta con condanna del ricorrente alle spese ed alla sanzione ex art. 96 c.p.c. (Cass.S.U. 27433/2023; Cass.S.U. 28540/2023; Cass. 11346/2024).
5. La proposta di definizione anticipata va, dunque, confermata. Ai sensi dell’art. 380bis , terzo comma, c.p.c., «se entro il termine indicato al 2º comma la parte chiede la decisione, la Corte procede sensi dell’art. 380bis .1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’art. 96».
Si è affermato che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), che, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, richiama l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., si applica ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023, poiché l’art. 35, comma 6, del citato d.lgs. fa riferimento ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data dell’1 gennaio 2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio e una diversa interpretazione, volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28
febbraio 2023, depotenzierebbe lo scopo di agevolare la definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi prive di giustificazione (Cass., Sez.U., 23/4/2024, n. 10955).
Inoltre, si è ritenuto che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez.U., 27/9/2023, n. 27433; Cass., Sez.U., 13/10/2023, n. 28540; Cass., n. 11346/2024); tuttavia, la disposizione citata non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez.U., 27/12/2023, n. 36069).
Nella specie non si rinvengono ragioni (stante la correttezza del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’improcedibilità del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
La ricorrente soccombente va, pertanto, condannata al pagamento, in favore della controricorrente, ex art. 96, terzo comma, c.p.c., della somma di euro 15.000,00, valutata equitativamente, oltre alle spese processuali, nonché al pagamento, ex art. 96, quarto comma, c.p.c., in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, quale rimborso delle spese processuali, della somma di euro 15.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 15.000,00, in favore della controricorrente, nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 luglio 2024