Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24200 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24200 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14522/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI ENNA, domiciliato digitalmente ex lege ; rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta n. 100/2024, depositata il 15/3/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società agricola RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio il Comune di Enna, invocandone la condanna al risarcimento dei danni per la perdita di 95 ovini, sbranati da un branco di cani randagi nella notte tra il 6 e il 7 febbraio 2012. Il Tribunale di Enna rigettò la domanda, ritenendo non provata l ‘ ascrivibilità eziologica del decesso degli animali ai cani randagi, l ‘omessa cattura dei quali avrebbe potuto essere imputata al Comune in ragione degli obblighi sullo stesso gravanti ai sensi della l. reg. Sicilia n. 15/2000.
La Corte d’appello di Caltanissetta confermò la sentenza di primo grado, evidenziando come non fosse stata raggiunta la prova (gravante sulla parte attrice) di una condotta colposa omissiva del Comune, tenuto anche conto che non risultava ‘allegato, ad esempio, che l’Azienda RAGIONE_SOCIALE avesse provveduto ad apportare idonee tutele (quali una recinzione) al fine di evitare che animali vaganti per il territorio potessero arrecare danno agli ovini (…)’ (pag. 12 della sentenza in questa sede impugnata ).
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo. Il Comune di Enna ha depositato controricorso.
In data 27/1/2025 è stata depositata istanza di definizione del giudizio ex art. 380bis c.p.c., del seguente testuale tenore: ‘ rilevato che nel ricorso si asserisce che la sentenza impugnata è stata notificata in data 10/4/2024; considerato che, dall’esame degli atti, risulta depositata soltanto copia autentica della sentenza ma non anche la relata dell’indicata notificazione; con siderato che la c.d. prova di resistenza (Cass. n. 17066 del 2013) con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza (15/3/2024), non consente di
considerare tempestivo il ricorso calcolando il decorso del temine breve da essa, atteso che il ricorso è stato notificato in data 10/06/2024, mentre detto termine scadeva il 14/05/2024; ritenuto, dunque, che sussiste improcedibilità del ricorso ai sensi d ell’art. 369, secondo comma n. 2 c.p.c. (Cass. Sez. U. n. 21349 del 2022); propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronuncia di improcedibilità ‘ .
La società ricorrente ha, quindi, proposto istanza di decisione ai sensi del secondo comma della menzionata disposizione, nonché memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso la parte ricorrente deduce la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. in ordine alla carenza di prova relativa alla condotta colposa dell’Ente appellato -sulla mancata allegazione di prove specifiche tali da ricondurre l’evento lesivo all’opera di cani randagi’ , per non avere la Corte d’appello ritenuto dimostrati i fatti costitutivi della pretesa , nonostante le prove acquisite al processo consentissero pienamente di ricondurre l’evento lesivo al novero di quelli che la regola cautelare non osservata mirava ad evitare, con conseguente trasferimento sul Comune del l’onere di provare di avere adottato le misure utili all’assolvimento del compito di cattura dei cani randagi, assegnatogli dalla legge.
Il ricorso è improcedibile, per le ragioni già esplicitate nella proposta di definizione accelerata, che meritano integrale conferma. Nel ricorso per cassazione si dà conto dell ‘avvenuta notifica della sentenza impugnata in data 10/4/2024. La copia della sentenza impugnata prodotta dalla ricorrente è, però, priva della relazione di notificazione , in violazione dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, ‘la previsione dell’art. 369, comma 2, c.p.c. non consente di distinguere tra il deposito della sentenza impugnata e quello della relazione di
notificazione della stessa, con la conseguenza che la mancanza di uno dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso, a meno che il deposito del documento mancante avvenga entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, o detto documento sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o presente nel fascicolo d’ufficio senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione. L’improcedibilità non sussiste altresì quando il ricorso per cassazione è notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza, perdendo rilievo in questo caso la data della notifica del provvedimento impugnato’ (Cass., n. 28781/2024). Come osservato nella proposta di definizione del giudizio, nel caso di specie il suddetto termine di sessanta giorni non risulta rispettato, essendo stata pubblicata la sentenza in data 15/3/2024, a fronte di un ricorso per cassazione notificato il 10/6/2024. Non è inte grata, pertanto, quella ‘prova di resistenza’ che renderebbe superflua la conoscenza della data della notificazione.
Né può tenersi conto della produzione documentale effettuata dalla parte ricorrente in uno con l’istanza di decisione ex art. 380bis , comma 2, c.p.c., non contemplata tra gli atti processuali idonei allo scopo, come recentemente affermato da questa Sezione nell’ordinanza n. 27883/2024, alla cui stregua ‘l’omesso deposito della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., a meno che essa risulti comunque nella disponibilità del giudice, perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (nella specie, la S.C. ha dichiarato improcedibile il ricorso, per essere stata la relazione di notificazione depositata tardivamente dal ricorrente con l’istanza di decisione ex art. 380bis c.p.c.).
Mette conto di rilevare che neppure la formulazione dell ‘art. 372, secondo comma, c.p.c. consente una diversa soluzione. La disposizione, infatti, allude solo ai documenti relativi all’ammissibilità del ricorso, espressione che – avuto riguardo al disposto del n. 2 del secondo comma dell’art. 369 c.p.c. (che pa rla espressamente di ‘sentenza o decisione impugnata con la relazione di notificazione’) -non può considerarsi idonea a comprendere la produzione di cui a tale numero, anche tenuto conto dell’uso del termine ‘documenti’ nel numero 4.
La conclusione non muterebbe anche se la nozione di documento (di cui al citato art. 372, secondo comma, c.p.c.) potesse estendersi alla copia notificata della sentenza, dal momento che il termine per il relativo deposito è previsto a pena di improcedibilità e non di inammissibilità del ricorso.
Ne segue che il giudizio deve definirsi nei termini indicati dalla PDA. 3. Il Collegio rileva, peraltro, che, là dove fosse stato scrutinabile, il motivo di ricorso si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile. E invero, la deduzione della violazione dell’art. 2697 c.c. è ammissibile ‘soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo ” art. 360 n. 5 c.p.c.)’ (Cass., n. 13395/2018), laddove, nel caso di specie, sotto l’egida de l vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ricorrente sollecita, in realtà, un riesame del merito della controversia, estraneo alle prerogative del giudice di legittimità, posto che ‘la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice
di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti (…)’ (Cass., n. 16467/2017) .
Analogo discorso deve farsi per la censura afferente all’art. 2043 c.c., la quale -anche a volerla ricondurre sotto l’egida del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (in coerenza con la denunzia di omesso esame dei fatti rappresentati negli articoli di giornale citati a pag. 6 del ricorso) -si mostra carente della precisazione del se e del dove i suddetti fatti sarebbero stati dedotti nel giudizio di merito , non valendo all’uopo la mera indicazione della loro produzione come allegato 14a), in quanto la parte che produce un documento deve comunque allegare di avvalersi del fatto da esso rappresentato.
In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato improcedibile, ma la parte ricorrente non può essere condannata alle spese del presente giudizio di legittimità (così come al pagamento della somma ex art. 96, terzo comma, c.p.c.), essendo stato il controricorso depositato tardivamente il 25 luglio 2025 (dunque oltre il termine di quaranta giorni ex art. 370 c.p.c., che scadeva lunedì 22/4/2024, a seguito di proroga dal sabato 20/4/2024).
Alla conferma della proposta di definizione del ricorso consegue, dunque, la sola condanna ai sensi dell’art. 96, comm a quarto, c.p.c. (secondo il disposto dell’art. 380 -bis c.p.c.).
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 500,00, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio
di merito, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione