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Impresa familiare convivente: la svolta storica

Una donna che ha lavorato per anni nell’azienda agricola del suo partner si è vista negare i diritti previsti per l’impresa familiare convivente perché non erano sposati. A seguito di un intervento decisivo della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale la norma restrittiva, la Corte di Cassazione ha annullato le decisioni precedenti. Il caso torna ora alla Corte d’Appello, che dovrà riconoscere alla convivente lo status di ‘familiare’, stabilendo un precedente fondamentale per le coppie di fatto.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Impresa Familiare Convivente: La Cassazione Scrive la Storia

Una recente ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a seguito di una pronuncia epocale della Corte Costituzionale, ha finalmente riconosciuto la piena tutela dell’impresa familiare convivente. Questa decisione estende i diritti patrimoniali previsti dall’art. 230-bis del codice civile anche a chi ha prestato la propria attività lavorativa nell’azienda del partner, pur non essendo sposato. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso che cambia le regole per le coppie di fatto in Italia.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla domanda di una donna che, dopo la morte del suo compagno, aveva chiesto agli eredi il riconoscimento dei suoi diritti come partecipe dell’impresa agricola di famiglia. La coppia aveva convissuto stabilmente per molti anni, durante i quali la donna aveva contribuito in modo continuativo alla crescita dell’azienda. Tuttavia, il suo compagno era rimasto legalmente sposato con un’altra persona fino al suo decesso.

I tribunali di primo e secondo grado avevano respinto la sua richiesta, basandosi su un’interpretazione tradizionale della legge: l’istituto dell’impresa familiare era riservato esclusivamente al coniuge e ai parenti, escludendo quindi il convivente di fatto.

Il Percorso Giudiziario e la Tutela dell’Impresa Familiare Convivente

Di fronte a un orientamento giuridico che appariva superato dall’evoluzione sociale, la questione è approdata alla Corte di Cassazione. Riconoscendo l’enorme importanza del tema, il caso è stato assegnato alle Sezioni Unite. Queste ultime, anziché decidere direttamente, hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale, chiedendo alla Corte Costituzionale di valutare se l’esclusione del convivente dall’art. 230-bis violasse i principi fondamentali della nostra Costituzione.

La Svolta della Corte Costituzionale

Con la storica sentenza n. 148 del 2024, la Corte Costituzionale ha risposto affermativamente. Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non includeva il convivente di fatto tra i soggetti tutelati. Secondo la Consulta, tale esclusione violava il diritto al lavoro, alla giusta retribuzione e il principio di uguaglianza, non riconoscendo il valore del lavoro prestato all’interno di una formazione sociale stabile come la famiglia di fatto.

Le Motivazioni della Cassazione

Alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, la decisione della Corte di Cassazione è diventata una logica conseguenza. L’ordinanza in esame accoglie pienamente il ricorso della donna. La ratio decidendi dei precedenti giudizi di merito, basata sull’impossibilità di qualificare la convivente come ‘familiare’, è stata completamente smantellata. Le sentenze della Corte Costituzionale hanno, infatti, un’efficacia retroattiva e si impongono a tutti i giudici.

La Cassazione ha quindi stabilito che l’intera impostazione del giudizio precedente doveva essere rivista. La Corte d’Appello aveva omesso di accertare l’effettiva e continuativa partecipazione lavorativa della ricorrente all’impresa, proprio perché bloccata dal presupposto (ora rimosso) che non fosse una ‘familiare’. Ora, questo ostacolo non esiste più.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione. Il nuovo collegio dovrà riesaminare il caso tenendo conto del principio, ormai legge, secondo cui anche il convivente di fatto è a tutti gli effetti un partecipe dell’impresa familiare. Dovrà quindi valutare nel merito il contributo lavorativo della donna e determinare la quota di utili e di incrementi aziendali a lei spettante.

Questa ordinanza non è solo la fine di una lunga battaglia legale, ma rappresenta una vittoria per tutte le coppie di fatto, garantendo tutele economiche e un riconoscimento giuridico del lavoro prestato all’interno del nucleo familiare, indipendentemente dal vincolo del matrimonio.

Un convivente di fatto può essere considerato parte di un’impresa familiare secondo la legge italiana?
Sì. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2024, applicata in questo caso dalla Corte di Cassazione, il convivente di fatto è stato equiparato ai familiari ai fini della tutela prevista dall’art. 230-bis del codice civile.

Perché la vecchia normativa è stata giudicata incostituzionale?
La Corte Costituzionale ha stabilito che escludere il convivente violava diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, come il diritto al lavoro, alla giusta retribuzione (artt. 4, 35 e 36) e il principio di uguaglianza (art. 3), non riconoscendo il valore del lavoro all’interno di una formazione sociale stabile come la famiglia di fatto (art. 2).

Qual è la conseguenza pratica di questa decisione per il caso specifico?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza precedente e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello. Quest’ultima dovrà ora riesaminare i fatti partendo dal nuovo principio che la convivente ha diritto a essere riconosciuta come partecipe dell’impresa familiare e, di conseguenza, valutare il suo effettivo contributo lavorativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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