Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32834 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
R.G.N. 2579/2020
C.C. 4/12/2024
VENDITA -AZIONE DI RIPETIZIONE DI IMPOSTA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2579/2020) proposto da:
PUGLIESE NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura apposta a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 1835/2019 (pubblicata il 30 settembre 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dalla ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato il 9 febbraio 2017, COGNOME NOME, nella qualità di coniuge erede di COGNOME NOME, adiva il Tribunale di Crotone per ottenere la condanna di NOME NOME a rifonderle la somma di euro 8.494,16, corrisposta dal de cuius all’Agenzia delle Entrate di Crotone a seguito della ricezione di un avviso di rettifica e liquidazione emesso in relazione ad una compravendita immobiliare intervenuta tra il citato COGNOME (quale venditore) e l’ NOME (quale compratore), con riferimento al quale le parti avevano concordato che le relative spese del relativo atto e quelle conseguenti sarebbero state accollate alla parte acquirente.
Nella resistenza dell’ A dorisio, l’adito Tribunale rigettava la domanda del ricorrente.
Decidendo sull’appello formulato dalla COGNOME e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 1835/2019, respingeva il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte catanzarese ravvisava, innanzitutto, l’infondatezza del primo motivo di impugnazione con il quale l’appellante aveva contestato di aver ricondotto -a conforto della propria domanda -il proprio diritto di credito ad una ipotesi di indebito soggettivo ex art. 2036 c.c., essendo, invece, risultato dal contenuto del ricorso introduttivo che tale ragione dell’azione era stata addotta ma che era priva di fondamento avendo il COGNOME adempiuto all’obbligazione verso l’Erario nella consapevolezza di estinguere il debito. Inoltre, la Corte territoriale rilevava l’infondatezza anche del secondo motivo di appello con cui era stato dedotto che il Tribunale aveva errato nel non considerare
i rapporti interni tra i condebitori, formalizzati nei patti contrattuali assunti in sede di stipula dell’atto di compravendita, tali da escludere che la parte venditrice potesse avere qualsiasi obbligazione di pagamento in relazione al trasferimento immobiliare: ciò perché, ai sensi degli artt. 1299 e 1203 c.c., il diritto di regresso postula l’adempimento di un’obbligazione del terzo, la cui esistenza e la cui entità siano divenute certe per fatti o atti giuridici opponibili a questo, fattispecie non sussistente nel caso in esame, trattandosi della sanzione irrogata dall’Erario in funzione del maggior valore del bene alienato per il cui adempimento intercorreva una responsabilità solidale tra le parti, non eludibile con una clausola pattizia. Infine, il giudice di appello respingeva l’ultimo motivo della Pugliese sulla condanna alle spese all’esito del giudizio di primo grado, siccome il Tribunale aveva fatto legittima applicazione del principio della soccombenza.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, l’appellante soccombente COGNOME NOME.
Ha resistito con controricorso l’intimato COGNOME VincenzoCOGNOME La ricorrente ha anche depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione degli artt. 113, comma 1, c.p.c., 1475 e 1321 c.c.
In particolare, la COGNOME sostiene che -pur essendo indubbio che, di regola, le parti contrattuali sono obbligate in solido nei confronti dell’Erario per il pagamento dell’imposta di registro, in virtù dell’art. 57 del d.P.R. n. 131/1986 era altrettanto vero che, nella specifica vicenda dedotta in controversia, le parti avevano concordato nello stipulato atto di compravendita
immobiliare (all’art. 7) ricalcando quanto disposto dall’art. 1475 c.c. -che le relative spese e quelle conseguenti sarebbero state ad esclusivo carico della parte acquirente (testualmente era stato previsto che ‘ le spese del presente atto e conseguenti sono e saranno a carico della parte acquirente ‘: v. pag. 2 del ricorso), ovvero dell’ COGNOME, precisandosi che -diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata -in esse si sarebbero dovute ricomprendere anche quelle imputabili a maggiori imposte dovute a seguito di rideterminazione del maggior valore dell’immobile rispett o a quello dichiarato nell’atto, come accertato dall’Ufficio delle Entrate.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., avendo la Corte di appello affermato tautologicamente e, comunque, apoditticamente che dovevano essere escluse dal novero delle spese accessorie per le quali si era obbligato parte acquirente nel contratto di compravendita intercorso tra le parti quelle richieste dall’Amministrazione finanziaria.
Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1298 c.c., sostenendo l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto applicabile nella fattispecie detta norma nei confronti dell’Erario, che, invece, trova modo di operare solo nei rapporti interni tra debitori solidali.
Rileva il collegio che il primo motivo è fondato.
Si osserva che la clausola di cui all’art. 7 dell’atto pubblico di compravendita -concluso tra il COGNOME (quale venditore) e l’ COGNOMEin qualità di acquirente) – in questione (con cui era stato previsto che ‘ le spese del presente atto e conseguenti sono e saranno a carico della parte acquirente ‘) si sarebbe
dovuta considerare inequivoca nell’accollare all’odierno controricorrente, quale parte compratrice, anche le spese relative ai debiti fiscali, a cominciare dall’imposta di registro (ivi comprese le relative penalità e sanzioni) e, quindi, pure quella imputabile all’eventuale differenza dovuta per tale tributo in virtù dei successivi accertamenti eseguiti dall’Amministrazione finanziaria (in dipendenza dei quali era emerso che l’immobile compravenduto aveva, in effetti, un valore di mercato superiore a quello dichiarato nell’atto pubblico), come verificatosi nel caso di specie.
Pertanto, pur potendo tale Amministrazione esigere il recupero di detta differenza da ognuna delle due parti, in virtù del rapporto di solidarietà tra le stesse intercorrente nei rapporti esterni e, in primo luogo, nei riguardi del Fisco (anche con riferimento al recupero dell’imposta di registro eventualmente accertata come totalmente o parzialmente evasa: cfr. Cass. n. 170/1972; Cass. n. 195/1995 e Cass. n. 9126/2014), avendo il venditore pagato la suddetta imposta integrativa su intimazione dell’Erario, egli aveva diritto di rivalersi, in via di regresso, nei confronti dell’acquirente per il recupero della somma pagata a tale titolo, pagamento, nella causa di cui trattasi, rimasto incontestato (v. anche Cass. n. 26874/2019).
Infatti, per quel che concerne l’imposta di registro, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’assumere l’art. 1475 c.c. quale base normativa per affermare come il compratore sia tenuto al pagamento per l’intero dell’imposta di registro, precisandosi, però, di riferire tale conclusione esclusivamente ai rapporti interni tra alienante ed acquirente, mentre diversamente accade con riferimento ai rapporti esterni con l’Amministrazione finanziaria.
Da ciò si è fatta conseguire l’affermazione del principio di diritto (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) secondo
cui, pur essendo dette parti solidalmente obbligate nei riguardi dell’Erario, rimane salvo il diritto di regresso del venditore, che abbia versato l’imposta di registro (anche con riguardo all’applicazione di eventuali maggiorazioni risultate come dovute a seguito di appositi accertamenti fiscali successivamente effettuati), nei confronti del compratore.
Il piano civilistico dei rapporti tra le parti del negozio di compravendita va, quindi, tenuto ben distinto rispetto al piano pubblicistico, ove vengono in rilievo i rapporti (riconducibili all’obbligazione fiscale) fra i contraenti e la P.A.
Pertanto, avuto riguardo alla specifica pattuizione (in precedenza richiamata) che le parti avevano previsto nel contratto (ma, in difetto, sarebbe stata applicabile l’omologa norma generale di cui all’art. 1475 c.c., dotata, perciò, di carattere suppletivo: cfr. Cass. n. 843/2007), all’ COGNOME incombeva l’obbligo di rivalere la COGNOME quale erede del venditore COGNOME NOME -delle spese sopportate da quest’ultimo per l’avvenuto pagamento della differenza dell’imposta di registro richiesta dalla competente Agenzia delle Entrate a seguito della ricevuta notificazione di avviso di rettifica e liquidazione emesso in relazione al menzionato atto di compravendita immobiliare.
5. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni svolte, deve essere accolto il primo motivo, da cui deriva l’assorbimento dei restanti due.
Ne consegue la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi al principio di diritto prima enunciato, provvederà a regolare anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione