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Imposta di registro compravendita: chi paga?

La Corte di Cassazione chiarisce che, in una compravendita immobiliare, la clausola che accolla tutte le spese all’acquirente include anche la maggiore imposta di registro compravendita dovuta dopo un accertamento fiscale. Sebbene venditore e acquirente siano solidalmente responsabili verso il Fisco, nei loro rapporti interni prevale l’accordo contrattuale. Pertanto, il venditore che ha pagato la differenza d’imposta ha diritto di regresso verso l’acquirente.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Imposta di Registro Compravendita: Chi Paga in Caso di Accertamento Fiscale?

Nell’acquisto di un immobile, una delle certezze è la presenza di costi accessori, tra cui l’imposta di registro. Ma cosa succede se, dopo la vendita, l’Agenzia delle Entrate accerta un valore dell’immobile superiore a quello dichiarato e richiede un pagamento integrativo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come interpretare le clausole contrattuali in questi casi, chiarendo chi debba farsi carico della maggiore imposta di registro compravendita.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce da una compravendita immobiliare. Nel contratto, le parti avevano inserito una clausola standard secondo cui ‘le spese del presente atto e conseguenti sono e saranno a carico della parte acquirente’. Tempo dopo la stipula, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di rettifica, avendo accertato un valore di mercato dell’immobile superiore a quello dichiarato. Di conseguenza, veniva richiesta un’imposta di registro integrativa, comprensiva di sanzioni.

L’erede del venditore provvedeva al pagamento della somma richiesta dal Fisco e, successivamente, citava in giudizio l’acquirente per ottenerne il rimborso, basandosi sulla clausola contrattuale. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la sua richiesta, sostenendo che tale clausola non potesse estendersi ai debiti fiscali sorti successivamente e derivanti da una responsabilità solidale verso l’Erario.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito. Accogliendo il ricorso dell’erede del venditore, ha affermato un principio fondamentale: la distinzione tra il rapporto esterno con l’amministrazione finanziaria e il rapporto interno tra le parti contrattuali.

La Corte ha stabilito che la sentenza d’appello era errata nel non considerare l’accordo privato tra le parti come la fonte regolatrice dei loro obblighi reciproci. La clausola che poneva a carico dell’acquirente tutte le spese ‘presenti e conseguenti’ doveva essere interpretata in modo estensivo, includendo anche gli oneri fiscali emersi in un secondo momento.

Le Motivazioni della Sentenza: il valore della clausola sull’imposta di registro compravendita

Il cuore del ragionamento della Cassazione si basa sulla netta separazione dei due piani giuridici:

1. Rapporto Esterno (Parti vs. Fisco): Ai sensi della legge tributaria (art. 57 del d.P.R. n. 131/1986), venditore e acquirente sono obbligati in solido verso l’Erario per il pagamento dell’imposta di registro. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può legittimamente richiedere l’intero importo a una qualsiasi delle due parti, senza poter essere vincolata da accordi privati.

2. Rapporto Interno (Venditore vs. Acquirente): Tra le parti, invece, prevale la volontà contrattuale. La clausola che accolla tutte le spese all’acquirente non è altro che un’applicazione specifica dell’art. 1475 del Codice Civile, il quale, salvo patto contrario, pone le spese del contratto di vendita a carico del compratore. La Corte ha chiarito che l’aggettivo ‘conseguenti’ si riferisce a tutti i costi che derivano direttamente dalla compravendita, inclusa la maggiore imposta di registro scaturita dall’accertamento. Di conseguenza, se il venditore è stato costretto a pagare il Fisco, egli ha pieno diritto di regresso nei confronti dell’acquirente per recuperare la somma versata.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale nella contrattualistica immobiliare: la chiarezza e la specificità delle clausole sono essenziali. L’accordo con cui si stabilisce che l’acquirente si farà carico di tutte le spese, comprese quelle fiscali e le loro eventuali integrazioni, è pienamente valido ed efficace tra le parti.

Per chi acquista un immobile, ciò significa prestare massima attenzione a queste clausole e comprendere che l’impegno economico potrebbe non esaurirsi con il rogito. Per chi vende, offre la sicurezza di poter recuperare eventuali somme richieste dal Fisco in un secondo momento, a patto che il contratto sia stato redatto in modo inequivocabile. In definitiva, la responsabilità solidale verso lo Stato non annulla, ma anzi convive, con la precisa ripartizione interna dei costi stabilita liberamente dai contraenti.

Nei rapporti interni tra le parti, chi deve pagare l’imposta di registro su una compravendita?
Salvo diverso accordo, l’articolo 1475 del Codice Civile stabilisce che le spese del contratto di vendita, inclusa l’imposta di registro, sono a carico del compratore. Le parti possono comunque prevedere una diversa ripartizione.

Cosa accade se l’Agenzia delle Entrate richiede un’imposta integrativa dopo la vendita?
Verso l’Agenzia delle Entrate, sia il venditore che l’acquirente sono responsabili in solido. Tuttavia, se il contratto prevede che tutte le spese ‘conseguenti’ all’atto siano a carico dell’acquirente, il venditore che ha pagato l’integrazione ha il diritto di chiederne il rimborso totale all’acquirente.

Una clausola contrattuale sulla ripartizione delle spese è opponibile al Fisco?
No. Gli accordi privati tra venditore e acquirente regolano solo i loro rapporti interni ma non hanno alcun effetto nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Il Fisco può richiedere il pagamento dell’intera imposta a una qualsiasi delle due parti, a prescindere da ciò che hanno scritto nel contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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