Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25612 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25612 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15448/2023 R.G. proposto da: NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 191/2023 depositata il 31/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva appello avverso l’ ordinanza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato risolto il contratto preliminare di compravendita dell’8 giugno 2015 , condannandolo al pagamento, in favore di NOME COGNOME , della somma di € 50.000,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, rigettando la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. e le domande riconvenzionali proposte dal resistente.
L’appellante contesta va la pronuncia di primo grado e chiedeva che, in riforma della stessa, fosse ritenuta e dichiarata la risoluzione del preliminare di compravendita per inadempimento del promittente acquirente.
Instaurato il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta del 6 aprile 2018 si costituiva NOME COGNOME, resistendo all’appello, chiedendone il rigetto .
Con l’unico motivo di gravame l’COGNOME aveva censurato il ragionamento seguito dal Giudice di prime cure posto a base dell’accoglimento, seppure parziale, della domanda avanzata dal ricorrente. Infatti, secondo il giudice di primo grado l ‘COGNOME o non aveva rispettato le previsioni negoziali in quanto avrebbe realizzato opere edili, in contrasto con quanto espressamente pattuito sub art. 3).
Secondo l’appellante r isultava evidente che il Giudice di prima istanza avesse addebitato al promittente venditore la responsabilità di aver alterato il sinallagma contrattuale, per avere questi eseguito sull’immobile delle opere che ne avevano di fatto limitato l ‘ utilità, essendo la superficie risultata inferiore rispetto a quella promessa.
La Corte d’Appello riteneva parimenti evidente che la trasformazione della destinazione d’uso non sarebbe stata possibile se non attraverso la realizzazione di quegli interventi che parte
appellante
avrebbe dovuto eseguire e che poi di fatto non aveva potuto eseguire per la ferma opposizione del COGNOME. Ciò in quanto l’art. 33 del Regolamento Edilizio Comunale prevedeva che ‘ I piani interrati devono essere dotati di intercapedini di larghezza non minore a cm. 70, ben ventilate ed ispezionabili, dotate di idonee opere di smaltimento delle acque e rese impermeabili ‘.
Alla luce di ciò, considerato che gli interventi integravano vere e proprie opere edili, come chiaramente evidenziato dal C.T.U. e che il cambio di destinazione d’uso non sarebbe stato possibile se non realizzando tali interventi, come chiaramente previsto dal richiamato Regolamento, ne conseguiva che la pronunzia impugnata, sebbene dovesse rimanere immutata quanto alla restituzione della somma di € 50.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria dal COGNOME allCOGNOME, d oveva tuttavia essere riformata nella parte in cui aveva accertato un inadempimento in capo a quest’ultimo.
Ad avviso della Corte, infatti, il titolo che giustificava la restituzione della caparra confirmatoria non era l’inadempimento colpevole del promittente venditore, bensì la impossibilità originaria dell’oggetto del contratto, ovvero il cambio di destinazione d’uso da realizzarsi senza eseguire opere edili.
A tal riguardo nessuna rilevanza poteva essere attribuita alla circostanza, evidenziata dal COGNOME, che COGNOME aveva presentato domanda di concessione edilizia appena otto giorni dopo la stipula del preliminare: rilevava solo la riferibilità, intesa in termini di imputabilità, della mancata stipula dell’atto definitivo ad una delle due parti.
In altri termini, secondo la Corte, il contratto dedotto in giudizio era nullo per impossibilità dell’oggetto.
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
Nella fattispecie de qua, la volontà delle parti contraenti risultante dalla interpretazione del contratto preliminare di compravendita, era quella di addivenire al trasferimento della proprietà dell’immobile promesso in vendita previo cambio di destinazione d’uso, senza tuttavia eseguire opere edili che potessero in qualche modo limitarne la fruibilità da parte del promittente acquirente, sicché il risultato voluto da entrambe le parti non era raggiungibile sin dall’inizio, con la conseguenza che le presta zioni effettuate dovevano essere restituite.
L ‘accoglimento, da parte della Corte, della domanda proposta in primo grado dal ricorrente per ragioni non coincidenti esattamente con quelle della sentenza di primo grado, ma pur sempre in base agli elementi di fatto emersi dagli atti, non importava violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
È stata f issata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 , n. 5, c.p.c..
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
L a Corte Territoriale ha rigettato l’appello del ricorrente, ritenendo nullo il preliminare di vendita occorso tra lo stesso e NOME COGNOME , poiché non attuabile l’oggetto dello stesso, atteso che per il cambio di destinazione d’uso da deposito a locale abitabile del bene immobile interessato dalla vendita occorrevano delle opere edilizie per contratto non ammesse.
Detta motivazione a parere del ricorrente sarebbe inesistente. In primo luogo, l’intervento edilizio da porre in essere riguardava la realizzazione di una intercapedine di appena 70 cm di superficie, consistente in un volume tecnico, di nessuna incidenza sullo stato delle superfici dell’immobile promesso in vendita, per il quale resterebbe esclusa ogni ipotesi di valenza di opera edilizia, non avendo comportato una trasformazione dell’esistente quanto a volume, altezza e superfici, incidendo nei parametri edilizi, che nel caso di specie non c’è stata.
Secondariamente la realizzazione di detta intercapedine non avrebbe compromesso la consistenza del bene immobile promesso in vendita dal ricorrente al COGNOME, in quanto l’organismo edilizio oggetto del preliminare non sarebbe stato ridimensionato nelle sue superfici e nei suoi volumi dalla realizzazione della intercapedine in parola. In pratica nessun parametro edilizio sarebbe risultato intaccato dall’intervento occorrente per il cambio di destinazione d’uso.
Il Secondo Giudice, nel ritenere nullo il preliminare di vendita, avrebbe erroneamente ritenuto che l’intervento edilizio fosse una opera edilizia, giusto quanto asserito dal CTU nel primo giudizio, senza dire se condividesse o meno detta valutazione tecnica e senza farla propria, limitandosi a riferire le considerazioni tecniche espresse da detto CTU.
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
2. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: «Visto il ricorso proposto da NOME COGNOME (R.G. n. 15448/2023) avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 191/2023, pubblicata il 23 febbraio 2023, notificata il 31 maggio 2023, contro NOME COGNOME, con la quale l’appello proposto dall’COGNOME, previa dichiarazione di nullità del preliminare di vendita concluso tra le parti l’8 giugno 2015 per impossibilità dell’oggetto, è stato rigettato e, per l’effetto, è stata integralmente confermata l’ordinanza impugnata, emessa all’esito del procedimento sommario di cognizione, del Tribunale di Messina del 20 ottobre 2017, che -a sua volta -aveva disposto la restituzione -a carico del promittente alienante -della somma di euro 50.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria dal promissario acquirente;
rilevato che, con l’unico motivo articolato, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa motivazione della pronuncia, per avere la Corte di merito ritenuto non attuabile l’oggetto del contratto, in ragione della nece ssità che, per il cambio di destinazione d’uso da deposito a locale abitabile del bene immobile promesso in vendita, fossero realizzate delle opere edilizie, non ammesse dal preliminare, mentre l’intervento edilizio da porre in essere avrebbe riguardato la realizzazione di un’intercapedine di appena cm. 70 di superficie, consistente in un volume tecnico di nessuna incidenza sullo stato delle superfici dell’immobile promesso in vendita, per le quali sarebbe stata esclusa ogni ipotesi di valenza quale opera edilizia, né tale intercapedine avrebbe compromesso la consistenza dell’immobile, in quanto l’organismo edilizio oggetto del preliminare non sarebbe stato
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
ridimensionato nelle sue superfici e nei suoi volumi, venendo minimamente modificato e cambiato nella sua sola consistenza strutturale;
verificato che la Corte territoriale, nel disattendere il gravame, ha rilevato che, a fronte della prescrizione riportata nell’art. 3 del preliminare di vendita -a mente del quale la parte acquirente intendeva acquistare il fabbricato in oggetto per destinarlo ad uso abitativo e la parte venditrice si obbligava, pertanto, ad ottenere i provvedimenti amministrativi necessari per il suddetto mutamento di destinazione d’uso da deposito a civile abitazione, senza esecuzione di opere edili -, il promittente alienante non era in grado di rispettare tali patti, in quanto, a seguito degli interventi edili indispensabili per il cambio di destinazione d’uso del locale oggetto della vendita da deposito a civile abitazione, detto locale avrebbe dovuto inevitabilmente conseguire una sensibile riduzione delle sue superfici, avendo il consulente tecnico d’ufficio attestato che sarebbero state necessarie, per il cambio di destinazione, delle intercapedini profonde cm. 70, volte ad isolare il bene dal limitrofo terrapieno esterno (allo scopo di rispettare i requisiti igienicosanitari fissati dal regolamento edilizio del Comune di Santa Teresa di Riva), che avrebbero ridotto le superfici utili residenziali, con la precisazione che tali intercapedini sarebbero state delle vere e proprie opere edilizie (e non già dei meri accorgimenti tecnici), in dispregio dei patti sottoscritti nel preliminare di vendita, ove il cambio di destinazione d’uso era stato convenuto tra le parti senza l’esecuzione di opere edilizie;
considerato, per l’effetto, che -mediante congrue argomentazioni -è stato appurato che la creazione necessaria di uno spazio interposto tra due edifici diversi o tra due distinti corpi di
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fabbrica -e segnatamente rispetto al confinante terrapieno -avrebbe ridotto la superficie dell’immobile oggetto della promessa, sicché in realtà il motivo mira inammissibilmente a rivalutare i fatti di causa debitamente ponderati, prospettiva estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. n. 5987/2021; Cass. S.U. n. 34476/2019; Cass. n. 8758/2017); atteso, dunque, che il ricorso si profila manifestamente infondato».
Il ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni ivi formulate, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta, evidenzia di aver censurato la sentenza impugnata per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 , punto 5), c.p.c. e non per ottenere una nuova valutazione dalla Corte di Cassazione dei fatti esaminati dalla Corte Territoriale, sicché non sussisterebbe il vizio di inammissibilità rilevato dal Consigliere Delegato.
Il ricorso è infondato.
4.1 La memoria del ricorrente non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata dovendosi confermare che la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si
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esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato come si è ampiamente evidenziato nella proposta di definizione.
Dunque, per motivazione apparente la giurisprudenza di questa Corte ricomprende, oltre alla motivazione in tutto o in parte mancante, anche le ipotesi in cui la stessa non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum .
Ciò precisato deve osservarsi come nel caso di specie il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata sulle ragioni della impossibilità originaria dell’oggetto del contratto, ovvero il cambio di destinazione d’uso da realizzarsi senza eseguire opere edili è sufficientemente motivato, e le argomentazioni sviluppate consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum .
In particolare, la Corte ha evidenziato che la trasformazione della destinazione d’uso non sarebbe stata possibile se non attraverso la realizzazione di quegli interventi che parte appellante avrebbe dovuto eseguire, e che poi di fatto non ha potuto eseguito per la ferma opposizione del COGNOME. Ciò in quanto l’art. 33 del Regolamento Edilizio Comunale prevedeva che ‘ I piani interrati devono essere dotati di intercapedini di larghezza non minore a cm.
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
70, ben ventilate ed ispezionabili, dotate di idonee opere di smaltimento delle acque e rese impermeabili ‘. Alla luce di ciò, ha considerato che gli interventi integrassero vere e proprie opere edili, come chiaramente evidenziato dal C.T.U. e che il cambio di destinazione d’uso non era possibile se non realizzando tali interventi, come chiaramente previsto dal richiamato Regolamento.
Non risulta fondata pertanto la censura del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello ha fondato la sua decisione sulle risultanze della consulenza tecnica senza spiegare le ragioni in base alle quali l’ausiliario ha reputato detto intervento edilizio un’o pera edilizia e non un volume tecnico. Peraltro, il ricorrente nel ricorso non riporta neanche le eventuali critiche circostanziate mosse alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, in modo da rendere chiaro quale sia il fatto oggetto di discussione tra le parti e omesso dalla Corte d’Appello. Infatti, come chiarisce anche la memoria , il ricorrente non lamenta un vizio di carenza assoluta di motivazione ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. che, come si è detto, non è dato riscontrare ma la violazione del l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. senza tuttavia indicare l’omesso esame d el fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti che è l’unica ragione di censure ammissibile in base alla norma citata.
Occorre conclusivamente ribadire che: L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare, per omesso esame, la sentenza che abbia recepito la consulenza tecnica, ove venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare (Sez. 3, Ordinanza n. 7716 del 21/03/2024, Rv. 670591 – 01).
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
Il ricorso è rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 , terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 3.000,00, nonché ex art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
Ric. 2023 n. 15448 sez. S2 – ud. 17/09/2024
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda